Commette bancarotta fraudolenta patrimoniale l’amministratore della società fiduciaria che distragga beni di cui abbia anche solo il possesso [Cassazione Penale, Sez. V, 13 maggio 2016 n. 20108]

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale la distrazione dei beni della società fiduciaria, ancorchè questa funga solo da intermediario tra le altre società del gruppo di cui fa parte e i clienti, nel caso in cui le attività finanziarie di questi ultimi siano oggetto di interversione del possesso e di utilizzo in palese conflitto di interesse, dovendosi attribuire al patrimonio d’impresa, oltre ai diritti nascenti da rapporti suscettibili di valutazione economica, tutti i beni che hanno fatto capo all’imprenditore nella gestione dell’attività, ivi compresi quelli di cui ha avuto solo il possesso. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VECCHIO Massimo – Presidente -
Dott. BRUNO Paolo A. – Consigliere -
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere -
Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da: L.G. n. il [omissis]; R.R. n. il [omissis];
avverso la sentenza n. 13226/2012 Corte Appello di Roma, del 15/12/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in Pubblica Udienza del 17/03/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angelo Caputo;
Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione dott.ssa P. Filippi, che ha concluso, per L., per l’annullamento con rinvio in ordine alla bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente alla concorrenza di 225 milioni di Euro e il rigetto nel resto e, per R., per l’annullamento con rinvio;
Uditi altresì: per la parte civile, l’avv. S. P. Ciotti, in sostituzione dell’avv. G. Corrias Lucente, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi, depositando conclusioni e nota spese;
per R.R., l’avv. L. Lanucara, che si è associato alle richieste del P.G., riportandosi ai motivi; per L.G., l’avv. S. Carraro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza deliberata in data 30/05/2012, il Tribunale di Roma, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava L.G. e R.R. (nonchè, R.A.) colpevoli – in relazione alla succursale italiana di Europeenne De Gestione Privee s.a. (d’ora in poi, EGP Italia), dichiarata in stato di insolvenza – di bancarotta fraudolenta documentale (per avere tenuto i libri e le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio societario e del movimento degli affari) e di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per avere distratto o dissipato il portafoglio di strumenti finanziari e liquidità, per una somma non inferiore a circa 225 milioni di Euro, mediante, tra l’altro:
- sistematici prelievi di strumenti finanziari e/o liquidità, senza alcuna contropartita a garanzia, a favore della controllata Dharma Holdings e di altre società facenti parte del gruppo Dharma, per un ammontare di circa 68,5 milioni di Euro; prelevamento dal portafoglio esistente al 31/12/2008 o conferito successivamente a tale data sul depositario Crest, pari a circa 25,6 milioni di Euro, privi di ragioni economiche connesse alla gestione di EGP Italia;
- quattro trasferimenti di denaro, effettuati nel corso del 2009, per un ammontare complessivo di Euro 1.910.000 in favore di P.R., non cliente di EGP); fatti di bancarotta aggravati dall’aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità e dalla pluralità dei fatti stessi.
Gli imputati venivano condannati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle parti civili Commissario Liquidatore B.G. e Fondo di garanzia dei depositi francesi in persona del procuratore generale avv. R.G..

In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte di appello di Roma, con sentenza deliberata il 15/12/2014, ha ridotto la pena irrogata a R.R. (e a R.A.) e ha dichiarato inammissibile la costituzione di parte civile del Fondo di garanzia dei depositi francesi in persona del procuratore generale avv. R.G., confermando nel resto la sentenza appellata.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione L.G., attraverso il difensore avv. S. Carraro, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., comma 1.

2.1. Il primo motivo denuncia, con riguardo all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale, erronea applicazione degli artt. 216, 219, 223 e 237 L. fall., inosservanza degli artt. 125, 192, 533 e 535 cod. proc. pen. e vizi di motivazione.

Questione centrale è la mancata acquisizione agli atti del processo di primo grado della documentazione sequestrata presso la sede di Dharma il 23/09/2010 dalla Guardia di Finanza e trasferita il 15/04/2011 all’interno di locali sotto la responsabilità del liquidatore B., documentazione che non è mai pervenuta negli uffici del P.M. e del Giudice delle indagini preliminari.
La Corte di appello ha autorizzato le parti ad accedere presso detti locali (ordinanza del 01/04/2014) e ad indicare la documentazione da trasferire presso i locali della stessa Corte per la consultazione e l’eventuale estrazione di copia (ordinanza del 16/04/2014), ma avrebbe dovuto ordinare il trasferimento di tutto il materiale sequestrato al fine di riscontrare il dato oggettivo contestato, tanto più che tra gli atti pervenuti alla Corte di appello vi erano le relazioni semestrali della contabilità, i dati sui controlli contabili, i verbali della Deloitte, sicchè la motivazione della sentenza impugnata si è limitata a far riferimento alla “scarna documentazione contabile” della società, ma ha omesso di considerare l’esistenza dell’enorme mole di documentazione mai oggetto di analisi.
La conferma del fatto che EGP avesse una contabilità interna si ricava dalle dichiarazioni di A.I. e dell’annotazione di P.G. del 21/07/2011, emergenze dalle quali risulta che la sentenza non dà ragione della distinzione tra il sistema “gestionale” interno, riferito esclusivamente ai clienti, e la necessaria tenuta della contabilità della società.

La sentenza impugnata non ha tenuto conto del fatto che la succursale di un’impresa di investimento comunitaria non deve istituire le scritture contabili come una società ordinaria, in quanto esiste un collegamento diretto con la “casa madre” obbligata, nel Paese di origine, alla tenuta formale dei libri sociali della società stessa, laddove già la sentenza di primo grado operava un’ingiustificata sovrapposizione del concetto di “patrimonio sociale” con quello di “patrimonio dei singoli clienti”, ignorando che la contabilità di EGP, come quella di qualsiasi s.i.m., non va confusa con quella dei clienti, laddove le “evidenze” dei clienti sono conti che non rientrano nei conti patrimoniali della società. Agli atti vi è una nota della società Mazars dalla quale si evince che il 03/01/2011 questa aveva restituito a Dharma documenti e scritture sociali anche riferiti a EGP (libro giornale, registri IVA, etc.); inoltre, la difesa ha prodotto i bilanci di esercizio 2009 e 2010 sia della “casa madre”, sia della succursale italiana, parte, questi ultimi, di quelli più generali della prima.

2.2. Il secondo motivo denuncia, con riguardo all’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, erronea applicazione degli artt. 216, 219, 223 e 237 l. fall., inosservanza degli artt. 125, 192, 533 e 535 cod. proc. pen. e vizi di motivazione.

EGP non era una s.i.m., ma un’impresa di investimento comunitaria autorizzata D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF), ex art. 27 avente sede legale in Francia e in Italia solo una succursale, assoggettata al controllo della competente autorità del Paese di origine e di Consob relativamente alle attività e ai servizi di investimento prestati dalla succursale, che costituiva parte, priva di soggettività giuridica, di un soggetto che prestava servizi e attività di investimento (art. 1, comma 5, TUF): tali profili non sono stati valutati dalla sentenza impugnata, che ha omesso di dar conto del fatto che ogni cliente di EGP, come disposto dall’art. 22 TUF, aveva una sua posizione specifica e un conto personale presso i depositari di riferimento.
Dall’analisi dei conti correnti di EGP emergono due tipologie: conti propri della società e conti “terzi”, questi distinti in conti “pool”, che sono sempre “terzi” e, riguardando gli investitori, non si confondono con il patrimonio sociale, e conti individuali dei clienti; altro è il patrimonio di EGP, altro è il patrimonio dei clienti gestito da EGP, risultando quindi una separazione patrimoniale, oltre che contabile, anche di natura territoriale tra gli istituti bancari depositari dei conti di EGP e di quelli dei suoi clienti: i conti dei clienti erano presso Crest/UK (titoli) e presso Barclays/UK (liquidità), tutti fisicamente localizzati in [omissis], laddove i conti di EGP erano presso Intesa San Paolo, a Roma, e riguardavano solo l’ordinaria operatività sociale, in quanto essa non disponeva di conti titoli. Tutti i contratti di EGP riportavano clausole relative alla separazione patrimoniale.

La tracciabilità di una contabilità investitori è riscontrata dalla circostanza che nessun rilievo è mai stato fatto dalle autorità francesi, dall’installazione presso il Commissario Liquidatore dell’applicativo di tenuta della contabilità e dall’inclusione di copiosissimo materiale di monitoraggio e riconciliazione delle posizioni individuali, dall’esistenza di conti ben individuati sui quali EGP operava nell’assoluto rispetto della separatezza patrimoniale, dal fatto che ogni cliente aveva un conto individuale e nominativo presso Crest/UK (monte titoli inglese) e presso Barclays/UK: a fronte di tale complessa situazione, la sentenza impugnata ignora che la succursale italiana di EGP ha operato solo sui conti aperti presso Intesa San Paolo, mantenendo la distinzione tra conto della società in senso stretto (n. [omissis]) e conto di transito destinato ai clienti (n. [omissis]), non potendo operare sui conti della casa madre.

La sentenza impugnata non ha distinto tra i clienti “storici” di EGP (coinvolti nell’operazione di prestito titoli e per i quali si pone un problema di corretta gestione dei soldi da parte della stessa EGP) e i clienti “acquisiti” per l’operazione di scudo fiscale (provenienti, per lo più, da EIM inc.), i quali avevano patrimoni la cui consistenza sarebbe stata verificata al momento del rimpatrio, ma che poi si sono rivelati inconsistenti: da tale confusione deriva che la motivazione tende a dar conto della presunta appropriazione di patrimoni di clienti assimilando posizioni ben diverse tra loro e dando per certi fatti non dimostrati, quali l’esistenza degli strumenti finanziari dei clienti provenienti da EIM inc.
A seguito dell’incisivo incremento della clientela dovuto allo scudo fiscale ter, a marzo 2010 EGP dichiarava all’Ufficio Unico Informatico 842 rapporti (riferibili a 769 posizioni), dei quali, però, ben 660 non erano ancora attivi. I clienti provenienti da EIM inc. avevano sottoscritto con EGP anche contratti di gestione di portafogli per conto terzi ovvero di ricezione e trasmissione ordini, documenti che dimostrano come, per ogni posizione, fossero ben individuati un soggetto, un numero di contratto e un conto personale con il depositario Crest e fosse specificato che “in nessun caso potrà darsi esecuzione al contratto prima che gli strumenti finanziari e/o le somme trasmesse dal cliente siano pervenuti nella disponibilità degli intermediari”.
Quando sono stati conclusi i contratti con i clienti provenienti da EIM inc., vi era la necessità di “censire” tali soggetti, di formalizzare il rapporto, ma bisognava comunque aspettare la provvista affinchè il contratto avesse piena efficacia: è pertanto evidente il salto logico della sentenza impugnata secondo cui EGP, avendo dato semplicemente atto della particolarità della consistenza dei portafogli clienti EIM inc. e avendoli formalmente inseriti nel sistema gestionale ai fini della regolarizzazione della procedura di scudo fiscale, avrebbe ammesso l’esistenza dei titoli in essa contenuti; illogico è poi l’assunto per il quale, dato che di tali titoli è stata persa la traccia, sarebbe stata EGP ad appropriarsene, laddove manca del tutto la prova dell’esistenza dei titoli medesimi.
L’assunto della distrazione o dissipazione del portafoglio di strumenti finanziari e liquidità non trova riscontro sotto il profilo che non possono considerarsi amministrati o gestiti da EGP, per conto dei clienti, denari o titoli mai arrivati sui conti degli stessi e che EGP gestiva o amministrava i portafogli di terzi, portafogli sempre distinti dal patrimonio della società, che non è mai stato in alcun modo confuso con quello dei singoli clienti.

La sentenza impugnata non fornisce motivazione circa la distrazione di almeno 225 milioni di Euro e neppure della minor somma di circa 30 milioni di Euro riferibile ai clienti “storici” di EGP, che, come accertato da Consob, al 30/06/2009 avevano aperte 64 posizioni, di cui 41 riferibili a contratti di gestione dei patrimoni con clienti (per un totale di circa 11 milioni di Euro) e 23 riferibili a contratti di ricezione e trasmissione ordini dei patrimoni dei clienti (per un totale di circa 3,7 milioni di Euro): solo per queste ultime 23 posizioni era necessaria una specifica autorizzazione del cliente per l’utilizzazione degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide, laddove, con riferimento ad esse, la difesa, autorizzata dalla Corte di appello, ne ha esaminato a campione 8, documentando la prova del consenso scritto da parte del cliente, sicchè non vi è prova che, per le ulteriori 15, dette autorizzazioni manchino.
Nella mobilizzazione dei patrimoni dei clienti “storici” EGP è intervenuta quale intermediario tra i clienti stessi, da un lato, e le società Dharma e EIM inc., dall’altro, con esclusione di qualsiasi acquisizione al patrimonio delle somme in questione; le operazioni di prestito, tutte tracciate, sono state eseguite dalla sede di [omissis], perchè solo la casa madre aveva i contratti con i depositari Barclays e Crest e comunque non vi è mai stata confusione patrimoniale. La motivazione della sentenza impugnata è apparente laddove afferma che ai clienti non siano state date spiegazioni “adeguate” così da rendere nullo il consenso esistente per iscritto e non ha dato conto del fatto che le somme asseritamente distratte sono state date a soggetti che nella quasi totalità erano diventati clienti di EGP per effetto dello scudo fiscale e non erano state utilizzate per finalità della società.

2.3. Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 62 bis, 81 e 133 cod. pen. e degli artt. 223, 216, 219 e 237 cod. pen., nonchè vizi di motivazione con riferimento alla pena irrogata, con specifico riguardo alla pena base, oggetto di motivazione apparente, così come il diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

2.4. Con memoria (corredata da vari allegati) depositata in data 04/03/2016, la difesa di L.G. ha evidenziato, con riferimento allo scudo fiscale effettuato dai clienti di EIM inc., che le responsabilità circa la veridicità e la provenienza della certificazione ricadono sul richiedente e che EGP non agiva in veste di depositario delle somme e dei valori di pertinenza dei clienti, come confermato dallo stato passivo di EGP in cui si indica che le somme relative a EIM non sono mai pervenute, sicchè non possono formare oggetto di distrazione.

3. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione R.R., attraverso il difensore avv. L. Lanucara, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., comma 1.

3.1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 74, 76 e 78 cod. proc. pen. , degli artt. 2393 e 2394, richiamati dalla L. fall., art. 206, nonchè vizi di motivazione, reiterando l’impugnazione dell’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare del 14/03/2014, che ha ammesso la costituzione di parte civile del Commissario liquidatore B. pur in assenza del preventivo rilascio della apposita autorizzazione alla costituzione nei confronti degli amministratori da parte dell’Autorità di vigilanza sulla liquidazione. La necessità di detta autorizzazione si ricava dall’ art. 206 L. fall., che la prevede per l’azione di responsabilità, essendo del tutto evidente che la costituzione di parte civile contro gli amministratori per un reato di bancarotta si concretizza in un’azione di responsabilità. Nè in senso contrario può essere richiamato l’ art. 200 L. fall., in quanto l’ art. 206 L. fall. è norma speciale rispetto ad esso, o può essere valutata l’autorizzazione rilasciata al termine del processo di appello dall’autorità di vigilanza.

3.2. Il secondo motivo denuncia, con riguardo all’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, violazione dell’ art. 216 L. fall. e dell’art. 2639 cod. civ. , nonchè vizi di motivazione.

La ricostruzione della sentenza impugnata si rivela solo apparentemente appagante in quanto sulla base di semplici elementi induttivi ritiene provata l’esistenza dei titoli dei clienti (asseritamente oggetto di distrazione fallimentare) e la materiale appropriazione degli stessi da parte di EGP Italia, laddove non viene preso in considerazione che il valore venale dei titoli possa essere inesistente, nè vengono esaminati i motivi di appello e gli elementi acquisiti nel corso del giudizio di secondo grado, quali lo stato passivo definitivo della succursale italiana di EGP (acquisito su concorde parere delle parti). Da detto documento risulta un credito chirografario nei confronti del Fondo di garanzia francese di circa 8,6 milioni di Euro (che non concorre alla determinazione dello stato passivo complessivo), un credito chirografario per obbligazioni di società del gruppo Dharma per circa 16 milioni di Euro (obbligazioni andate in default prima della dichiarazione di insolvenza di EGP Italia, che dunque non ha potuto distrarre detti beni), un credito chirografario per insussistenza di fondi off shore per circa 135 milioni di Euro (anche in tal caso, i fondi [omissis] e [omissis] era illiquidi e incapienti ed esistevano solo sulla carta), sicchè la presunta attività distrattiva – a tutto concedere – si è potuta esplicare solo nei confronti della liquidità e degli strumenti finanziari relativi ai clienti che hanno effettivamente intrattenuto un rapporto di intermediazione mobiliare esistente e perfezionato (elenco sub a) della sintesi dello stato passivo), per un controvalore di circa 30 milioni di Euro; negli altri casi riportati nel prospetto redatto da B. (creditori ammessi per risarcimento danni: elenco sub b della sintesi dello stato passivo, per la somma di gran lunga prevalente), si è realizzata al massimo una “inveritiera rappresentazione di una consistenza patrimoniale dei fatti risultata insussistente”.

Con riferimento almeno ad una gran parte delle somme e dei titoli asseritamente distratti si è eccepito che tali valori non sono in realtà mai entrati nella disponibilità e nel patrimonio di EGP Italia e che, anzi, non sono mai esistiti o comunque che hanno avuto un valore economico pari a zero.
Al riguardo si è richiamata la relazione del Commissario liquidatore B., che, in particolare, evidenzia come più che probabile il mancato effettivo trasferimento dei flussi finanziari dai clienti EIM in EGP in occasione dello scudo fiscale: nella relazione del Commissario liquidatore ha trovato conforto il fatto che titoli e contanti per oltre 150 milioni di Euro, apparente oggetto di trasferimento da parte di clienti EIM a conti EGP, non sono mai entrati nella disponibilità di quest’ultima, trattandosi di titoli illiquidi se non addirittura inesistenti; la gran parte dei “presunti titoli” depositati ed asseritamente gestiti da EGP si sono rivelati una artificiosa creazione di L., essendo inesistenti, sicchè non possono essere stati distratti da EGP. Tali titoli apparenti e virtuali sono rimasti in una specie di limbo, come confermato dalle dichiarazioni di P. (back office di EGP), secondo cui la liquidità e i titoli dei clienti ex EIM scudanti sono stati “caricati” come liquidità in attesa di ricezione, in quanto non ancora trasferita dall’intermediario, sicchè tutti i versamenti fatti dai clienti sono stati in realtà svolti solo a favore di EIM e non di EGP, che, sulla base del contratto di ricezione e ordini della EGP, non rispondeva di disguidi relativi ai trasferimenti. Le operazioni di prestito titoli e liquidità hanno dunque riguardato eventualmente solo i titoli del clienti “storici” di EGP, per un totale di circa 30,5 milioni di Euro di liquidità e di titoli esistenti e oggetto di possibile distrazione, corrispondente all’incirca alla somma della liquidità (circa 22 milioni) e dei titoli (circa 8 milioni) individuata dalle relazione della Consob e realmente esistenti in EGP in quanto effettivamente trasferiti.
La quasi totalità dei titoli di ex clienti EIM che sarebbero dovuti transitare sui conti di EGP sono obbligazioni ([omissis],[omissis], [omissis], [omissis]) che si erano manifestate come del tutto illiquide (anzi, in totale default) già prima che venisse dichiarata l’insolvenza di EGP Italia, sicchè la maggior parte delle somme asseritamente distratte fanno riferimento a strumenti finanziari privi di alcun valore economico. La sentenza ha omesso di valutare i documenti e le dichiarazioni richiamate e di considerare molteplici circostanze: se i titoli dei clienti di cui EGP si sarebbe appropriata sono mai esistiti o se invece si risolvano in un mero artificio riconducibile alle contestazioni per truffe e bancarotte EIM (estranee al presente giudizio); se i titoli, ove effettivamente esistenti, siano stati oggetto di appropriazione indebita da parte degli effettivi amministratori di EGP Italia e se siano stato oggetto di distrazione e avessero un effettivo valore economico.
Il reato di bancarotta distrattiva contestato (ove sussistente) è di un ordine di grandezza inferiore rispetto al capo di imputazione, passando da oltre 225 milioni di Euro a circa 30 milioni di Euro, con conseguenze anche in ordine all’entità della pena.

3.3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’ art. 216 l. fall. dell’art. 2639 cod. civ. e dell’art. 110 cod. pen., nonchè vizi di motivazione.
L’atto di appello aveva censurato l’anomalia del capo di imputazione che contesta alla ricorrente la qualità di consigliere di amministrazione e direttore generale della società di diritto francese EGP s.a., nonchè, di fatto, di EGP Italia, che, invece, aveva piena autonomia ed era soggetto distinto rispetto alla prima: la ricorrente non ha mai ricoperto alcun incarico in EGP Italia, sicchè il riferimento alle cariche avute in EGP France risulta suggestivo e decentrato in quanto estraneo al fallimento (e alla eventuale bancarotta) della sede secondaria italiana dotata di struttura, rappresentanti legale e patrimonio distinti e autonomi rispetto alla società francese.

La contestazione di avere svolto “in fatto” le medesime qualità indicate in seno a EGP France ipotizza la qualità di “componente del consiglio di amministrazione di fatto”, ma l’unica figura rilevante è quella dell’amministratore di fatto, nè può farsi riferimento alle scelte gestionali all’interno della sede secondaria italiana di EGP, poichè, per un verso, è risultato che L. era la figura centrale, in quanto mente creativa dell’intero disegno asseritamente criminoso e autorità che disponeva tutte le condotte esecutive, e, per altro verso, non è stato neppure tentato un processo ricostruttivo dell’attività gestoria della sede secondaria italiana di EGP. La sentenza di appello ha fatto riferimento al sistema complessivo societario, come emergente dal procedimento relativo alla contestazione di associazione per delinquere e abusivismo finanziario, ma la partecipazione alla societas sceleris non necessariamente comporta la responsabilità per i reati fine. Nè la sentenza impugnata fa riferimento ad un effettivo apporto della ricorrente alle condotte di bancarotta contestate e all’eventuale rilevanza causale di tale ipotetico apporto; qualora la ricorrente venisse qualificata come semplice concorrente ex art. 110 cod. pen. , non potrebbe rispondere di una condotta meramente omissiva, non residuando nei suoi confronti alcun obbligo giuridico di attivazione.

Motivi della decisione

1. I ricorsi devono essere accolti, nei termini di seguito meglio specificati, con esclusivo riferimento all’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

2. Le censure proposte, con riguardo all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale, dal primo motivo del ricorso nell’interesse di L.G. non meritano accoglimento.

La Corte di appello muove dal principio di diritto, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010 – dep. 07/06/2010, Suardi, Rv. 247965; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005 – dep. 28/06/2005, Mattia, Rv. 232212).
In questo quadro, la sussistenza della fattispecie in questione è stata argomentata sottolineando, tra l’altro, l’assoluta inattendibilità del sistema informatico interno e, segnatamente, il disallineamento – definito “clamoroso” – tra le posizioni finanziarie ivi registrate e quelle “reali” segnalate dai depositari esteri di EGP Italia, nonchè l’irrisorio numero di contratti futures custode agreement risultanti stipulati rispetto al numero – oltre 600 – di clienti di EGP Italia che si sono avvalsi della cd. scudo fiscale ter.
Richiamata la specifica ricognizione effettuata dalla sentenza di primo grado in ordine alla normativa – primaria e secondaria sugli adempimenti cui è tenuto l’intermediario nell’istituzione e nella conservazione degli strumenti finanziari e del denaro dei clienti e la documentazione che deve essere tenuta allo scopo di consentire la precisa ricostruzione della posizione finanziaria di ogni cliente e le relative movimentazioni, la sentenza impugnata ha quindi rimarcato le difficoltà degli organi della liquidazione coatta amministrativa testimoniate, ad esempio, dalla circostanza che solo attraverso l’ausilio di soggetti esterni era stato possibile conoscere la sorte degli strumenti finanziari affidati a EGP Italia.
La stessa pronuncia di primo grado, richiamando gli accertamenti svolti da varie Autorità e soggetti (tra i quali la società di revisione Ernst & Young su incarico del Fondo di Garanzia dei depositi francesi), ha sottolineato come essi abbiano messo in luce un insieme di gravi criticità nella tenuta e nella gestione delle scritture contabili, alle quali si aggiungevano gravi carenze nello svolgimento dell’attività e nell’informativa e rendicontazione delle operazioni eseguite, in violazione della regolamentazione di settore.
Il Commissario liquidatore, inoltre, aveva dato atto che gli esponenti aziendali non avevano fornito risposte, tra l’altro, sugli elenchi dei sottoscrittori dei fondi off shore e in ordine all’esibizione dei libri sociali obbligatori, le scritture contabili, il libro inventari della succursale e il piano dei conti con i saldi aggiornati.

Rispondendo ai rilievi dell’appellante tesi a valorizzare la circostanza che lo stesso aveva messo a disposizione (oltre alla contabilità gestionale interna “[omissis]“) un documento ritenuto idoneo alla ricostruzione contabile (il documento “[omissis]“), la Corte distrettuale ha rilevato, per un verso, il carattere del tutto parziale della ricostruzione offerta da detto documento, non comprensivo, in particolare, delle posizioni (di ragguardevole controvalore, pari ad oltre 150 milioni di Euro) relative ai possessori di obbligazione [omissis] e [omissis] e dei fondi off shore denominati [omissis] ed [omissis] e, per altro verso, la scorretta rappresentazione contabile delle posizioni considerate nel documento stesso, rappresentazione che dava conto di una compensazione tra i crediti dei clienti verso EGP e i debiti di altri clienti verso la stessa EGP e di uno sbilancio della stessa derivato dal saldo delle posizioni, laddove la compensazione presuppone rapporti debito/credito riferibili allo stesso soggetto e, quindi, una relazione diretta nel caso di specie insussistente, posto che alcuni clienti erano creditori, mentre altri erano debitori di EGP e, quindi, gli stessi non avevano nessun rapporto da compensare tra loro.

A fronte della motivazione resa dalla Corte di merito, le censure del ricorrente che fanno leva sui rapporti tra la “casa madre” e la succursale e, con riguardo a quest’ultima, sulla distinzione della contabilità relativa ai clienti e quella concernente lo stesso intermediario, sono inammissibili: la sentenza impugnata ha fatto riferimento non solo alla disciplina specificamente in tema di documentazione che l’intermediario deve tenere prevista dalla normativa in materia di intermediazione finanziaria, ma anche a puntuali dati (le gravi criticità nella tenuta e nella gestione delle scritture contabili evidenziate dalla sentenza di primo grado, l’inattendibilità assoluta del sistema informatico interno) all’evidenza non scalfiti, nella loro valenza dimostrativa, dai rilievi del ricorrente, rilievi che, anzi, risultano del tutto carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

Non meritano accoglimento le ulteriori doglianze incentrate sulla documentazione sequestrata.
Al riguardo, mette conto sottolineare che nessun vulnus, in punto accesso della difesa agli atti del processo, si è verificato nel caso di specie: del resto, lo stesso ricorrente non propone alcuna censura sotto questo profilo.
Quanto alle doglianze che valorizzano il riferimento alla “scarna” documentazione contabile, esse non investono la argomentata valutazione dei giudici di merito basata sui molteplici e univoci dati probatori sopra in sintesi richiamati, sicchè non risultano autonomamente dotate di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).
Rilievi, questi, estensibili anche alle ulteriori censure basate sulle dichiarazioni di A. e sull’annotazione della polizia giudiziaria, l’una e le altre del tutto inidonee ad inficiare la valenza probatoria degli elementi in forza dei quali le concordi sentenze di merito hanno ritenuto sussistente la fattispecie di bancarotta documentale contestata.

3. Le censure proposte in merito all’imputazione di bancarotta patrimoniale con il secondo motivo del ricorso nell’interesse di L.G. (nonchè con la memoria del 04/03/2016) e con il secondo motivo del ricorso nell’interesse di R.R., che possono essere esaminate congiuntamente, sono solo in parte fondate, nei termini di seguito specificati.

3.1. Per una più agevole messa a fuoco dei tratti essenziali della complessa vicenda nella quale si inseriscono i fatti di bancarotta patrimoniale in esame, è opportuno richiamare, a grandi linee, la ricostruzione degli uni e dell’altra delineata dalle concordi pronunce di merito.

3.1.1. La Corte distrettuale richiama, in sintesi, la sentenza di primo grado che si integra con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep. 05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145) – nella parte in cui ha ricostruito l’origine di EGP Italia e i suoi rapporti con la costellazione di società estere riconducibili, in vario modo, agli imputati. EGP Italia era operativa dal 2004 e faceva parte di un gruppo al cui vertice si trovava Dharma Holdings s.a. (società di diritto lussemburghese, non assoggettata alla vigilanza di Consob, amministrata da L.G. e da R. R.).
La sentenza di primo grado rileva, più in particolare, che Dharma aveva acquisito il 100% del capitale di European Investments Management Ltd, con sede nella Bahamas (EIM Ltd), del cui c.d.a. avevano fatto parte i ricorrenti fino all’approvazione del bilancio 2010; conformemente alla sua natura di holding, Dharma aveva inoltre il diretto controllo di diverse società tra le quali Agharti s.a., che avrebbe poi detenuto le partecipazioni del ramo francese del gruppo Dharma, ossia Europeenne De Gestione Privee s.a. (Francia) e Europeenne De Gestione Privee2 (Svizzera); Dharma Holding deteneva altresì il capitale di European Investements Management Ltd, poi modificata in E.I.M. European Investments Management Trustee Services Ltd, società di diritto inglese: osserva il primo giudice come emerga l’unicità del gruppo, posto che la distinzione tra quello facente capo a Dharma Holdings in [omissis] e l’altro che aveva come elemento centrale European Investments Management in [omissis] si dissolve nel dato che unico azionista di EIM [omissis] e di EIM [omissis] è Dharma.
Al riguardo, rileva in sintesi la Corte di appello che L. possedeva società di gestione in molti paradisi fiscali ([omissis]), svolgendovi (insieme con i R.) incarichi operativi, ma che sostanzialmente unico era il gruppo societario facente capo a Dharma (controllata da L.); EGP era il braccio operativo di Dharma e si occupava della distribuzione dei prodotti tra gli investitori, mentre le società del c.d. “gruppo EIM” gestivano gli investimenti mediante fondi chiusi situati in paradisi fiscali, sicchè EGP Italia si occupava di “acquisire” la clientela, raccogliendone la liquidità e i titoli affidati in gestione, mentre della gestione del portafoglio e della ricezione/trasmissione degli ordini si occupava la “casa madre” EGP [omissis].

3.1.2. E’ nel quadro sinteticamente descritto che si inseriscono le vicende che più da vicino ineriscono ai fatti di bancarotta patrimoniale.
Osserva al riguardo la Corte distrettuale, sulla scorta della ricostruzione del primo giudice, che, fino all’ottobre 2009, EGP non aveva gestito un portafoglio-clienti particolarmente significativo, ma, a seguito dell’approvazione della disciplina del c.d. scudo fiscale ter, dal marzo del 2010 (epoca in cui i rapporti con giacenza non superavano il numero di 182, per circa 91 milioni di Euro), la massa amministrata era aumentata in modo significativo.
A seguito di un incontro giustificato da notizie acquisite informalmente da un cliente di EGP, Consob accertò la massiccia presenza, nei portafogli gestiti e amministrati da EGP Italia, di titoli emessi dalle società Dharma Holdings e Longbow Finance s.a. (altra società – di diritto lussemburghese – amministrata da L. e da R.R.) da considerare illiquidi (in ragione dell’ampia discrezionalità che l’emittente si era riservato nell’individuazione di eventi in grado di precludere l’esecuzione dell’impegno di riacquisto) e molto rischiosi (perchè non adeguati al profilo dei clienti e alla necessità di una diversificazione del rischio): venivano quindi formulati espressi inviti a disinvestire i titoli Dharma presenti nei portafogli clienti, inviti disattesi tanto che, quando nell’ottobre del 2010 giunsero a scadenza alcuni di essi, non furono nè rinnovati, nè liquidati, il che fu segnalato da Consob all’Autorità di vigilanza francese, la quale nominò un amministratore provvisorio, il che comportò altresì, in base ad una specifica delega, l’attivazione dei poteri di controllo della stessa Consob su EGP Italia.

Tale controllo consentì di rilevare una situazione di eccezionale gravità: a parte la già esaminata inattendibilità delle registrazioni interne, si accertò che il conto pool aperto per i terzi da EGP presso Barclays Bank (sul quale affluiva la liquidità derivata dalle vendite dei titoli prima di essere distribuita sui conti dei singoli clienti) era stato usato per fare prestiti a Dharma Holding e per trasferimenti di danaro a favore di persone fisiche non presenti nell’anagrafica dei clienti di EGP; si accertò inoltre che i titoli dei clienti risultanti dalla contabilità interna (di valore complessivo pari a 156,5 milioni di Euro) non trovavano riscontro presso il depositario ufficiale dei titoli stessi (l’istituto di credito Crest Euroclear).
A seguito del riscontro di queste ed altre gravi irregolarità, veniva presentata istanza di fallimento della “casa madre” EGP francese (accolta il 12/01/2011) e si promuoveva l’avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa per EGP Italia, con successiva dichiarazione di insolvenza della stessa.

3.1.3. Sempre ripercorrendo l’iter motivazionale della sentenza di primo grado, la Corte di merito ha sottolineato che dagli accertamenti del Commissario liquidatore B. era emerso, tra l’altro, che vi era stato un sistematico prelievo di titoli o somme dei clienti per “prestiti” fatti alla società Dharma Holdings e ad altre società del gruppo (per un ammontare complessivo stimato in 68,5 milioni di Euro) senza alcuna contropartita a garanzia.
Il complesso dei beni oggetto della distrazione corrispondeva all’ammontare della massa amministrata e gestita da EGP Italia in considerazione del fatto che presso i vari depositari (gli istituti di credito Barclays, per le somme liquide, Crest Euroclear, per i titoli, [omissis], per i titoli del gruppo, MF Global, per i derivati, gestori dei fondi offshore – [omissis] e [omissis] – per i medesimi fondi) non era stata trovata traccia alcuna dei titoli e dei fondi della clientela: in particolare, Crest Euroclear aveva comunicato che non esistevano titoli nei 120 conti dei clienti (risultati oggetto di movimentazioni a beneficio di terzi, le cui modalità non erano in alcun modo ricostruibili) e aveva segnalato la confluenza dei titoli dei clienti su un conto pool intestato direttamente ad EGP (in violazione delle regole della separazione).

La sentenza di primo grado aveva quindi ricostruito il meccanismo utilizzato dagli imputati per acquisire le risorse gestite da EGP, meccanismo incentrato sull’effettuazione, in base al contratto gestionale fatto sottoscrivere alla clientela, di investimenti in obbligazioni di società collegate a EGP, come Dharma Holdings e Longbow Finance, con sostanziale svuotamento del suo patrimonio, giungendo alla conclusione che i beni oggetto di distrazione erano quelli di cui EGP aveva avuto la diponibilità, compresi i titoli e i valori conferiti dai clienti investitori e oggetto di indebita appropriazione.

3.2. Nel quadro delineato dalla conforme pronuncia di primo grado, la sentenza impugnata si è, sotto un primo profilo, confrontata con i rilievi difensivi, riproposti dagli odierni ricorrenti, relativi alla riconducibilità al patrimonio di EGP Italia delle attività provenienti dai clienti delle società del gruppo EIM che si sono avvalsi del c.d. scudo fiscale ter (profilo, questo, non sovrapponibile a quello relativo al “valore” effettivo di tali attività, di seguito esaminato).

3.2.1. Sul punto, diffusamente esaminato, la Corte distrettuale osserva che – a fronte delle due diverse modalità assicurate dallo scudo fiscale ter, il rimpatrio “fisico” e la regolarizzazione (che consentiva di mantenere le attività “scudate” all’estero) – per i patrimoni allocati in Stati diversi da quelli indicati dalla legge era previsto solo il rimpatrio “fisico” e che in tale categoria rientravano quelli rappresentati dai fondi in questione, domiciliati in c.d. paradisi fiscali; d’altra parte, rileva ancora nella medesima prospettiva la Corte di merito, in una nota inviata a Consob il 20/09/2010, la stessa EGP Italia ha ammesso il deposito nei conti da essa amministrati o gestiti dei fondi emessi da EIM Ltd.

Quest’ultimo punto è censurato dal ricorso L. (che, peraltro, omette qualsiasi rilievo circa l’argomento tratto dal giudice di appello dalla disciplina dello scudo fiscale ter e dalla “provenienza” delle attività “scudate” nel caso di specie) sulla base, in sintesi, del duplice rilievo della mancata distinzione tra clienti “storici” e clienti “acquisiti” per l’operazione di scudo fiscale e della nota inviata da EGP Italia a Consob nel marzo 2000, in cui si segnalava che 660 posizione non erano ancora attive (il che dimostrerebbe la mancata disponibilità delle relative attività).
Al riguardo, il primo rilievo è manifestamente inconferente posto che, sul punto, la Corte di appello ha congruamente risposto al motivo di appello (indicato a pag. 9 della sintesi – non contestata – offerta dalla sentenza impugnata) specificamente relativo ai capitali dei clienti EIM oggetto di scudo fiscale, capitali che si assumevano mai entrati nel capitale di EGP Italia.
Nè merita accoglimento la seconda censura: da una parte, infatti, rileva il Collegio che lo specifico riferimento al deposito delle attività nei conti amministrati o gestiti da EGP Italia contenuto nella nota del 20/09/2010 risulta congruamente valorizzato dalla Corte di merito nel senso di disattendere la tesi difensiva secondo cui le predette attività non erano effettivamente “arrivate”, ossia non erano nella disponibilità della stessa EGP; d’altra parte, l’inidoneità del riferimento alla nota del marzo 2010 ad inficiare la tenuta logico- argomentativa della motivazione resa sul punto in esame dalla Corte distrettuale si apprezza anche sotto il profilo della distanza temporale, rispetto alla prima, della seconda nota (del 20/09/2010) valorizzata dal giudice di appello, distanza tanto più significativa se si pone mente all’ulteriore rilievo della sentenza impugnata che ha evidenziato come il termine finale per l’effettivo rimpatrio delle attività “scudate” fosse stato individuato nel 31/10/2010, il che rende del tutto logica la sua inferenza, ossia, che a distanza di un semestre dalla prima nota e a poco più di un mese dalla scadenza del termine, le attività “scudate” fossero state depositate nei conti amministrati o gestiti da EGP Italia. Per completezza, peraltro, osserva il Collegio che deve essere richiamato l’ulteriore argomento della Corte di appello, secondo cui anche il rimpatrio – solo – “giuridico” delle attività “scudate”, in virtù del quale le stesse erano destinate a non rientrare in Italia, ma ad essere affidate in custodia all’intermediario attraverso i suoi depositari di fiducia (Barclays e Crest Euroclear), implica la disponibilità dei beni in capo all’intermediario, messo comunque nelle condizioni di disporne: argomento, questo, rispetto al quale nessuna doglianza viene proposta.

Generica e, comunque, manifestamente infondata è la censura che denuncia l’illogicità della conclusione dei giudici di merito circa l’appropriazione dei titoli di cui si è persa qualsiasi traccia: come si è visto, le concordi sentenze di merito hanno acclarato che presso i vari istituti di credito depositari di EGP (Barclays, Crest Euroclear, [omissis], MF Global, e per i fondi offshore, i gestori degli stessi [omissis] e [omissis]) non era stata trovata traccia alcuna dei titoli e dei fondi della clientela e che, in particolare, Crest Euroclear aveva comunicato l’inesistenza di alcun titolo nei 120 conti dei clienti (risultati oggetto di movimentazioni a beneficio di terzi, le cui modalità non erano in alcun modo ricostruibili), segnalando, altresì, la confluenza dei titoli dei clienti su un conto pool intestato direttamente ad EGP (in violazione delle regole della separazione).

3.2. Non sono fondate le censure proposte con il ricorso L. in ordine alla mancata acquisizione al patrimonio di EGP delle attività dei clienti “storici” in considerazione, in sintesi, del ruolo di mero intermediario svolto tra ì clienti stessi e le varie società quali Dharma e del consenso prestato dai clienti stessi all’utilizzazione degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide.

3.2.1. In premessa, giova ribadire che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, “possono essere oggetto di distrazione non solo i beni patrimoniali della società dichiarata fallita, ma anche tutti i beni che rientrino nella disponibilità autonoma della società e che costituiscano il patrimonio dei rapporti attivi facenti capo all’azienda” (così, in una fattispecie di costituzione in pegno, da parte degli amministratori di una società finanziaria, di titoli acquistati su mandato dei clienti, Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009 – dep. 22/09/2009, Bossio ed altri, Rv. 245132).
Con specifico riferimento al patrimonio di una società fiduciaria, questa Corte ha poi rilevato che, se esso è distinguibile dai titoli dati in gestione dai fiducianti, i quali non passano in proprietà della fiduciaria se, oltre alla detenzione, la società non abbia ottenuto anche la facoltà di servirsene, tuttavia tale facoltà è implicita nel possesso dei beni gestiti dall’imprenditore, in qualsiasi modo da lui ottenuto, e perciò attribuiti al patrimonio dell’impresa fallita, sicchè, conseguita per causa atipica di negozio o in conseguenza di reato, dagli amministratori di una società fiduciaria posta in liquidazione coatta, la disponibilità dei titoli e valori conferiti dai fiducianti, essi al pari di ogni altro bene patrimoniale si considerano oggetto di bancarotta fraudolenta, in quanto a seguito di fallimento si attribuiscono al patrimonio d’impresa, oltre ai diritti nascenti da rapporti suscettibili di valutazione economica, tutti i beni che hanno fatto capo all’imprenditore nella gestione della sua attività, e pertanto quelli di cui ha avuto il possesso (Sez. 5, n. 7814 del 22/03/1999 – dep. 16/06/1999, Di Maio ed altri, Rv. 213866; conf.: Sez. 5, n. 22872 del 14/04/2003 – dep. 23/05/2003, Cipolli e altri, Rv. 224538).

3.3.2. Le conclusioni della Corte di merito sono in linea con i richiamati principi di diritto. La sentenza impugnata, infatti, ha rilevato, tra l’altro, che le attività finanziarie dei clienti sono state oggetto di un’interversione del possesso da parte di EGP Italia, che le ha utilizzate, in palese conflitto di interesse viste le cariche ricoperte nelle società del “gruppo EIM” e in violazione dell’art. 21, comma 1, lett. b), TUF (in forza del quale nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento i soggetti abilitati devono informare “chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse”), per l’effettuazione di operazioni particolarmente rischiose destinate a realizzare l’interesse (non dei clienti stessi, ma) di terzi: in particolare, ha osservato la sentenza impugnata, le risorse dei clienti EGP sono state utilizzate per operazioni di “rimborso” di clienti EIM (e, dunque, al di fuori di qualsiasi rapporto obbligatorio con EGP Italia) e ciò in assenza di qualsiasi prova che alla clientela erano state fornite informazioni circa la destinazione delle operazioni di prestito.
Le censure del ricorrente non inficiano le conclusioni raggiunte dalle concordi pronunce di merito: il riferimento alla natura di intermediario di EGP e alla dedotta esistenza del consenso dei clienti alla (generica) utilizzazione degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide non esclude, alla luce della giurisprudenza richiamata, l’attribuibilità al patrimonio del soggetto in liquidazione coatta amministrativa dei beni dallo stesso gestiti, in qualsiasi modo essi siano stati ottenuti, tanto più che, nel caso di specie, come rilevato dalla Corte di appello, le indebite utilizzazioni di titoli o denaro degli investitori hanno inevitabilmente determinato la loro confusione nel patrimonio dell’intermediario (il che confuta un ulteriore rilievo del ricorrente) e, quindi, l’idoneità a formare oggetto di distrazione.

Le ulteriori doglianze articolate sul punto (in ordine, in particolare, al fatto che le operazioni di prestito erano tracciate ed erano state eseguite dalla “casa madre”) risultano aspecifiche, in quanto non sostenute dalla completa e puntuale individuazione degli atti processuali fatti valere (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 – dep. 14/03/2012, S., Rv. 252349) e comunque manifestamente inidonee a scalfire le valutazioni svolte dalle concordi pronunce di merito sulla base del percorso argomentativo sinteticamente richiamato.

3.3. Nè meritano accoglimento le ulteriori doglianze proposte con il ricorso L. relativamente, in estrema sintesi, al regime di separazione dei conti propri della società e dei conti “terzi”.
Al riguardo, infatti, la Corte di merito, oltre a dar puntualmente conto, come si è visto, di specifiche violazioni della disciplina in materia, ha rimarcato l’irrilevanza della circostanza che, nell’attività di EGP Italia, sia dato riscontrare l’esistenza di distinzioni contabili e di ordine formale idonee ad attestare le posizioni dei singoli clienti: il rilievo, tanto più significativo alla luce di quanto acclarato in ordine all’imputazione di bancarotta documentale, si salda con la considerazione che, in materia di intermediazione finanziaria, il principio di doppia separazione non consiste e non si esaurisce “nella mera sussistenza di distinzioni contabili e di ordine formale in sè idonee ad attestare le posizioni dei clienti, e di ciascuno di essi in particolare, poichè una condizione siffatta, quand’anche in apparenza riscontrabile in tutto od in parte, ben può in realtà sottendere una gestione nient’affatto corrispondente, e prestarsi piuttosto a mascherare il compimento, nella concreta conduzione operativa di poi accertatasi, di atti di commistione fra le disponibilità relative ai singoli investitori, ovvero indebite utilizzazioni di loro titoli e/o denaro, e più in generale operazioni di confusione patrimoniale attuate in trasgressione della discriminante enunciata dal legislatore”; tale principio pur “in presenza di distinti conti di deposito di rispettiva spettanza dell’impresa intermediaria di investimento e della clientela, esige che i servizi in correlazione prestati siano stati nella loro effettività sostanziale denotati da regole conformi” (Sez. 1 civ. n. 19459 del 18/10/2012 – dep. 09/11/2012, puntualmente richiamata dalla Corte di appello).
Effettività sostanziale la cui insussistenza risulta congruamente motivata dalle pronunce di merito.

Tale rilievo vale anche con riguardo alle ulteriori deduzioni che ruotano intorno alla tracciabilità dei conti degli investitori, deduzioni (circa la mancanza di rilievi da parte dell’autorità francese, l’installazione di un applicativo di tenuta della contabilità, la titolarità in capo ai singoli clienti di conti individuali) che, oltre ad omettere il confronto con molteplici dati probatori valorizzati dai giudici di merito (in ordine, ad esempio, alla tempistica dell’intervento di Consob e dell’autorità di vigilanza sulla “casa madre” e alla – già esaminata – assoluta inattendibilità del sistema informatico interno), risultano, in radice, prive di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).

3.4. A diverse conclusioni deve giungersi con riferimento alle censure relative alle attività provenienti dai clienti delle società del gruppo EIM che si sono avvalsi del c.d. scudo fiscale ter proposte dal ricorso R. e incentrate, in sintesi, sull’”effettivo” valore dei titoli provenienti da società del “gruppo” Eim (censure proposte, in termini meno articolati, anche dal ricorso L., laddove fa riferimento all’inesistenza e all’”inconsistenza” degli strumenti finanziari dei clienti provenienti da Eim).
Tali censure devono essere accolte, nei termini di seguito indicati.

Come risulta dalla stessa sintesi dei motivi di gravame offerta dalla sentenza oggi impugnata, R.R. aveva dedotto la mancata disponibilità in capo a EGP Italia dei beni distratti e, in particolare, dei titoli dei clienti della EIM, trattandosi di obbligazioni praticamente illiquide di valore nominale pari a 200 milioni di Euro: in particolare, secondo l’appellante, i versamenti fatti dai clienti sono stati in realtà svolti solo a favore di EIM e non di EGP, sicchè dall’importo totale di circa 225 milioni di Euro complessivamente contestato a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione, devono essere estrapolati i capitali dei clienti EIM scudati, pari a circa 200 milioni di Euro.
Nella stessa prospettiva, il ricorso oggi in esame denuncia che gran parte dei “presunti titoli” gestiti da EGP si sono rivelativi un’artificiosa creazione di L., sicchè, essendo inesistenti sul piano dell’effettivo valore economico, non possono formare oggetto di distrazione.

Al riguardo, occorre ricordare che la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011 – dep. 28/02/2011, Buttitta e altri, Rv. 249715) e, dunque, la sottrazione alla garanzia deì creditori di cespiti attivi effettivi e, pertanto, sicuramente esistenti (Sez. 5, n. 3615 del 30/11/2006 – dep. 31/01/2007, De Paola, Rv. 236047).
Ciò posto, la sentenza impugnata non risulta aver esaminato la specifica doglianza articolata dal gravame, sicchè sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), vizio che ricorre quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano carenti in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 – dep. 22/01/2014, Dall’Agnola, Rv. 257967), tanto più che la Corte di appello ha rilevato come l’attivazione delle procedure del c.d. scudo fiscale ter mediante il trasferimento in EGP Italia delle posizioni dei clienti EIM rappresentasse potenzialmente un’opportunità per prendere tempo sulle restituzioni dovute ai clienti di EIM, titolari di portafogli praticamente illiquidi, rilievo, questo, che richiama il tema del valore delle attività “confluite” in EGP a seguito delle operazioni di scudo fiscale, senza tuttavia esaminarlo alla luce delle specifiche doglianze dell’appellante.
Doglianze la cui decisività nel caso di specie attiene (secondo l’impostazione del ricorso R.) principalmente all’individuazione del quantum delle attività distratte, dato, questo, suscettibile di riflettersi anche sul trattamento sanzionatorio. Pertanto, in parte qua e, di conseguenza, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio nei confronti dei ricorrenti, nonchè, non trattandosi di motivo agli stessi esclusivamente personale, nei confronti del coimputato non ricorrente R.A..
Restano assorbite le ulteriori doglianze articolate sul punto (avuto riguardo, in particolare, a quelle relative allo stato passivo della procedura, che risulta acquisito agli atti della Corte di appello, ma non oggetto di esame).

4. Il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di R. R. è inammissibile, per plurime, convergenti, ragioni.
La Corte di merito ha rilevato che R.R. ricopriva cariche di rilievo in 20 delle 39 società del “gruppo Dharma Holdings” e si trovava nell’amministrazione di 4 delle 7 società del “gruppo EIM”: i due “gruppi”, ha rimarcato il giudice di appello, erano un unicum indissolubile e strettamente collegato, la cui interdipendenza emerge, tra l’altro, dal fatto che proprio attraverso EGP il “gruppo Dharma Holdings” distribuiva i prodotti tra gli investitori, mentre il “gruppo EIM” si occupava della gestione degli investimenti mediante fondi chiusi situati in paradisi fiscali; inoltre, sottolinea ancora la sentenza impugnata, R.R. ha gestito in prima persona il “dirottamento” dei clienti del “gruppo EIM” verso la collegata EGP Italia e ha coordinato le attività volte al perfezionamento delle procedure per l’attuazione dello scudo fiscale.

La sentenza di primo grado, ha rilevato il giudice di appello, ha richiamato la sentenza irrevocabile nei confronti della R. per i reati di associazione per delinquere, ostacolo all’esercizio delle funzioni di Autorità pubbliche di vigilanza e abusivismo finanziario unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità, elementi indicati dal primo giudice nell’assoluto e indispensabile contributo dato all’intero “sistema societario” evidenziato, tra l’altro, dalle dichiarazioni della responsabile del back office di EGP e di clienti/investitori, i quali ne hanno descritto le condotte di fatto assunte.

A fronte della diffusa motivazione resa dalla sentenza impugnata, rileva il Collegio che le doglianze sviluppate dal motivo in esame risultano disgiunte dalla specifica confutazione delle argomentazioni della pronuncia impugnata, rivelando, da questo punto di vista, un generale profilo di aspecificità. Le varie doglianze risultano comunque manifestamente infondate: il riferimento all’assenza di ruoli formali all’interno di EGP Italia è, all’evidenza, confutato dal vero e proprio continuum di soggetti, operazioni contabili e gestionali e personale direttivo delineato dalle sentenze di merito, un continuum alla luce del quale perde di consistenza il preteso legame tra ruolo formalmente rivestito e ruolo di fatto esercitato; la centralità del ruolo di L. è del tutto inidonea ad escludere quello di co-amministratore di fatto attribuito all’imputata, laddove il riferimento al “sistema societario” svolto dalla sentenza impugnata, lungi dal tradurre la mera attribuzione al partecipe di un sodalizio criminoso della responsabilità per qualsiasi reato-scopo, rende ragione della compenetrazione, in un unicum indissolubile e strettamente collegato, per riprendere le espressioni della Corte di appello, dei vari soggetti che hanno agito in rapporto di interdipendenza con EGP Italia: rilievo, questo, che nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, si salda alla specifica individuazione dei compiti, all’evidenza cruciali, svolti in prima persona dalla ricorrente (il “dirottamento” dei clienti del “gruppo EIM” e il coordinamento delle attività relative alle procedure di scudo fiscale), il che conferma la manifesta infondatezza – oltre alla genericità delle censure.

5. Il terzo motivo del ricorso nell’interesse di L.G. resta assorbito dall’annullamento della sentenza impugnata nella parte relativa alla bancarotta patrimoniale.

6. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di R.R. è infondato.
Non ignora il Collegio l’orientamento di questa Corte secondo cui è inammissibile la costituzione di parte civile del commissario liquidatore – nel procedimento per bancarotta a carico degli amministratori di una società dichiarata in stato di insolvenza – privo di autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, considerato che la previsione di cui all’ art. 206 l. fall. richiede tale autorizzazione per il promovimento dell’azione di responsabilità contro gli amministratori e la costituzione di parte civile si sostanzia in un’azione di responsabilità nell’ambito del processo penale, mentre nessun rilievo spiega in quest’ambito l’ art. 200 l. fall. che riguarda solo le cause relative a rapporti di natura patrimoniale, per le quali il commissario liquidatore sta in giudizio senza la previa autorizzazione dell’autorità di vigilanza, orientamento, questo, che muove dal presupposto che la costituzione di parte civile si concretizzi in un’azione di responsabilità nell’ambito del processo (Sez. 5, n. 3407 del 16/12/2004 – dep. 02/02/2005, Capozzi ed altri, Rv. 231415).

Rileva, tuttavia, il Collegio che detto presupposto – così come l’indirizzo che su di esso fa leva – non può essere condiviso.
Secondo un principio di diritto del tutto consolidato nella giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, in tema di poteri in materia giudiziale del commissario liquidatore nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, non si applica, neppure in via analogica, l’art. 31, comma 2, l.fall., che impone l’autorizzazione del giudice delegato perchè il curatore fallimentare possa stare in giudizio, atteso che il legislatore, mentre ha attribuito al detto commissario gli stessi poteri che competono al curatore (art. 201 l. fall.), ha regolato l’esercizio dei poteri del primo non con un rinvio generalizzato alla disciplina dell’esercizio dei poteri da parte del secondo, ma con un rinvio specifico da ritenersi perciò esaustivo (art. 206 l. fall.), sicchè i predetti poteri vanno integrati dall’autorizzazione dell’autorità amministrativa di vigilanza solo se si tratta di promuovere l’azione di responsabilità di cui agli artt. 2393 e 2394 cod. civ. e di compiere gli atti di cui all’ art. 35 l. fall., nonchè quelli necessari per la continuazione dell’esercizio dell’impresa, e non anche nel caso di proposizione di impugnazioni (ex plurimis, Sez. 1 civ., n. 24908 del 10/10/2008, Rv. 605343; Sez. 1, n. 20002 del 11/06/2003).

Ciò posto, la piena “sovrapponibilità” (per riprendere l’espressione della sentenza impugnata) dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale all’esercizio dell’azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 cod. civ. resta esclusa già dal rilievo che la prima investe anche il danno non patrimoniale risarcibile, a norma dell’art. 2059 cod. civ., quando, tra l’altro, il fatto illecito sia appunto astrattamente configurabile come reato (Sez. U civ., n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605491).
Di conseguenza, la tassatività delle ipotesi nelle quali il commissario liquidatore agisce in giudizio previa autorizzazione (ipotesi delineate dalla norma con esclusivo riferimento all’azione ex artt. 2393 e 2394 cod. civ.) impone di ritenere che, nel procedimento per bancarotta a carico degli amministratori di una società dichiarata in stato di insolvenza, sia ammissibile la costituzione di parte civile del commissario liquidatore non munito di autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione.

Peraltro, rileva il Collegio, con riguardo all’autorizzazione intervenuta ex post a favore del commissario liquidatore, che, ferma restando la generale inapplicabilità nel processo penale della disciplina processualcivilistica se non laddove ne sia fatto un espresso richiamo dalla norma del rito penale (Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014 – dep. 17/11/2014, Borrelli, Rv. 260894), ciò che viene in rilievo, ai fini dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale, è la condizione di efficacia dell’attività del commissario liquidatore così come definita dalla disciplina civilistica e che, a questo proposito, è riferibile al caso di specie il principio di diritto in forza del quale l’autorizzazione del giudice delegato a promuovere azione giudiziale o a resistere all’altrui azione è da ritenersi condizione di efficacia dell’attività processuale del curatore, con conseguente possibilità di sanatoria, con effetto ex tunc, anche nel caso in cui l’autorizzazione ad agire o a resistere sia data nel successivo giudizio d’impugnazione (Sez. 1 civ., Sentenza n. 19087 del 11/09/2007, Rv. 598831), il che conferma l’infondatezza della doglianza.

7. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di L.G. e di R.R. e, per l’effetto estensivo, nei confronti di R.A., limitatamente al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con rinvio per nuovo giudizio sui capi relativi a sul conseguente trattamento sanzionatorio finale ad altra sezione della Corte di appello di Roma; nel resto, i ricorsi di L.G. e di R.R. devono essere rigettati. Al definitivo la liquidazione delle spese sostenute nel presente grado.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di L.G. e di R.R. e, per l’effetto estensivo, nei confronti di R.A., limitatamente al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e rinvia per nuovo giudizio sui capi relativi sul conseguente trattamento sanzionatorio finale ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta i ricorsi nel resto.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2016

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