Non se ne risentano i pur tanti Magistrati che con dedizione ed equilibrio, fanno tutti i giorni il loro dovere per il bene della giustizia, ma non possiamo non evidenziare come la loro corporazione sia artefice diretta e protagonista - pro domo sua – del complessivo riassetto dei poteri in corso in Italia.
Ora, tutti sanno che le leggi sono in stragrande prevalenza scritte da Magistrati, in quanto distaccati o acquisiti come consulenti presso Ministeri, Parlamento, Regioni e Autorità Indipendenti, ma dove non si arriva legiferando, soccorre “salvifica” giurisprudenza (mi sia consentito di rinviare, in questo sito, ad un mio inerente intervento del 30 dicembre scorso: http://www.anailatina.it/2013/12/buon-2014-ce-la-possiamo-fare/).
L’Avvocatura è, in tal quadro, evidentemente vista come un ostacolo, o meglio un fastidioso sassolino nella scarpa che rallenta inutilmente il lavoro quotidiano dei Giudici.
Ecco allora che la quinta sezione della Corte di Cassazione, rilevando (per fortuna) un contrasto di orientamento con altre sezioni, con ordinanza 51524 del 20 dicembre 2013, ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito: “Se, anche dopo l’emanazione del codice di autoregolamentazione dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con delibera del 13 dicembre 2007, permanga il potere del giudice – in caso di adesione del difensore all’astensione proclamata dall’associazione di categoria – di disporre la prosecuzione del giudizio in presenza di esigenze di giustizia non contemplate dal codice suddetto“.
La decisione è stata già oggetto di una condivisibile presa di posizione da parte dell’UCPI (cfr. http://www.camerepenali.it/news/5577/Il-diritto-di-astensione-degli-avvocati-finisce-alle-SSUU-con-la-scusa-del-teste-venuto-da-lontano.html), ma a mio avviso non è in sè da “criminalizzare”, atteso che si riaggancia ad un orientamento che c’è, ci piaccia o no, anzi, tutto sommato rimettendo la questione alle sezioni unite perchè risolvano il contrasto.
Ciò che appare inquietante e pericoloso è, a mio avviso, l’artificioso calembour attraverso cui il Giudice del merito di quel processo aveva negato la legittimità dell’astensione del difensore, affermando che il codice di autoregolamentazione dell’Avvocatura “indica le ragioni per cui il difensore non può astenersi, e non, invece, quelle che, sole, possano consentire al Tribunale di dichiarare di doversi procedere“.
Circonlocuzione “diabolica” alla stregua della quale la volontà del Giudice può prevalere sulle ragioni del difensore e quindi anche prevalere, ove quelle siano legittime, persino sulla legge che le fonda.
Il tutto nel nome di un preteso contemperamento di interessi di cui il magistrato diviene così arbitro assoluto, ben oltre il limite postogli dall’art. 101 comma 2 della Costituzione (“I giudici sono soggetti soltanto alla legge“).
Del pari viene riscritta la portata dell’art. 18 della Costituzione sulla libertà di associazione, posto invece dalla Consulta a fondamento del diritto di astensione dalle udienze con la famosa sentenza 171/1996, nonchè dell’art. 24 sul diritto di difesa.
Peccato che il contemperamento d’intessi che tanto preme a quella Magistratura, dinanzi ad un testimone che aveva fatto invano un lungo viaggio, non trovi spazio quando – esperienza quotidiana – il mero rinvio del processo avvenga per un qualsivoglia impedimento del Giudice (non sempre una malattia grave al punto di “non poter lasciare il letto“, ma anche, ad esempio, ferie improvvise, permessi, corsi d’aggiornamento), ovvero disservizi del sistema giudiziario (elenco interminabile).
Va d’altra parte osservato che l’Avvocatura non risulta abbia mai proclamato astensioni a tutela di posizioni strettamente corporative, ma sempre e soltanto per difendere il diritto di tutti ad una giustizia giusta.
Su questo ultimo punto proprio l’ordinanza della Cassazione in esame è invece anfibologica, poichè, nel riconoscere in generale il diritto “sindacale” del difensore di astenersi dall’udienza, volutamente ne sottende ed insinua l’interesse esclusivamente di categoria, sganciandolo da quello della collettività e dalla funzione di soggetto coessenziale alla giurisdizione.
Qui sta il vero pericolo politico e qui si giocherà il ruolo dell’Avvocatura nella giustizia italiana.
[Armando Argano - 16 gennaio 2014]
——
Cass. pen., Sez. V, Ord. (ud. 21-11-2013) 20-12-2013 n. 51524
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDI Alfredo – Presidente -
Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere -
Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Anton – rel. Consigliere -
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G. – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da: L.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 6834/2009 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 17/07/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;
- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
- Udito il difensore del ricorrente l’avv. MERLUZZI Fabrizio, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 17/7/2012, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Ferrara, ha condannato L.A. per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commessa quale amministratore di fatto della Euro Motors 2000 srl, dichiarata fallita il 25/7/2003, nonchè A.R. per bancarotta fraudolenta documentale, commessa in concorso con L., nella qualità di amministratrice di diritto della società suddetta.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione L.A., con sei motivi, dolendosi:
- della violazione dell’art. 420 ter cod. proc. pen., per essere stata rigettata la richiesta di rinvio dell’udienza del 3/5/2007, formulata per impedimento del difensore;
- di nuovo, della violazione dell’art. 420 ter cod. proc. pen., per essere stata rigettata la richiesta di rinvio dell’udienza del 5/7/2007 per adesione del difensore allo stato di agitazione proclamato dalle Camere penali (rigetto motivato con l’urgenza del procedimento);
- della violazione dell’art. 507 cod. proc. pen., per essere state rigettate le richieste di prova avanzate all’udienza del 6/3/2008;
- della violazione degli artt. 216 e 223 L.F. e del vizio di motivazione reso, sul punto, dalla Corte territoriale. Deduce che nessun teste (le cui dichiarazioni passa in rassegna) ha reso dichiarazioni atte a dimostrare l’esistenza dei beni dei cui si presume la distrazione e che l’attività sociale è cessata nel 2002, per cui non sussisteva obbligo di tenuta delle scritture dopo detta data;
- della illogicità della motivazione resa in ordine alla partecipazione di L.A. alla gestione della società (il ricorrente passa in rassegna alcune prove documentali, le dichiarazioni dei testi e alcuni passaggi della deposizione del teste Z. per confutarne la veridicità, l’esattezza o la rilevanza);
- della errata interpretazione ed applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. e art. 219 della L.F., nonchè della illogicità resa, sul punto, dalla Corte d’appello. Lamenta che le attenuanti generiche siano state negate per l’assenza dell’imputato al procedimento di primo grado e che l’attenuante dell’art. 219 L.F. sia stata negata in considerazione dell’ammontare, presunto, della distrazione (su cui, aggiunge il ricorrente, non vi è, invece, alcuna certezza).
Motivi della decisione
1. Osserva preliminarmente questa Corte che l’esito del ricorso proposto dall’imputato dipende, primariamente, dalla decisione della doglianza in rito sollevata col secondo motivo: se, cioè, sia legittima la decisione del Tribunale di Bologna adottata all’udienza del 5/7/2007 di disporre la prosecuzione del giudizio in assenza del difensore di fiducia che aveva comunicato la propria adesione all’astensione dichiarata dalle Camere penali, motivata con la necessità di assumere la testimonianza di L.P.G., che aveva affrontato un lungo viaggio da Bari a Bologna per partecipare all’udienza. La questione di diritto affrontata dal Tribunale, e poi, con esito conforme, dalla Corte d’appello, è se il giudice, nel valutare la richiesta di rinvio dell’udienza proposta dal difensore dell’imputato per adesione ad una astensione collettiva, sia tenuto all’osservanza del codice di autoregolamentazione dell’Avvocatura circa la disciplina delle modalità di astensione collettiva.
La soluzione data dai giudici di merito è nel senso che l’art. 4 codice di autoregolamentazione – che disciplina le prestazioni indispensabili in materia penale – “indica le ragioni per cui il difensore non può astenersi, e non, invece, quelle che, sole, possano consentire al Tribunale di dichiarare di doversi procedere”.
Conseguentemente, ha riconosciuto al giudice il potere di accertare l’esistenza di altre situazioni, oltre quelle contemplate dal Codice di autoregolamentazione, la cui ricorrenza legittima la prosecuzione del giudizio nonostante l’adesione allo sciopero del difensore.
2. In materia occorre osservare che si è venuto affermando nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui la proclamazione dell’astensione dalle udienze, e l’adesione ad essa del difensore, non integra una ipotesi di assoluto impedimento ai sensi dell’art. 420 ter cod. proc. pen., introdotto dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 (e, prima, dell’art. 486 cod. proc. pen.), in quanto non si ricollega a situazioni oggettive, indipendenti dalla volontà del soggetto “impedito”, ma costituisce una libera scelta del difensore e rappresenta una forma di esercizio della libertà sindacale riconosciuta a tutti i soggetti dell’ordinamento.
In conseguenza di ciò si ritiene, pressochè unanimemente, che il rinvio dell’udienza disposto per l’adesione del difensore allo sciopero comporta la sospensione del corso della prescrizione per tutto il tempo necessario allo svolgimento degli adempimenti tecnici imprescindibili al fine di garantire recupero dell’ordinario svolgersi del processo (e non solo per sessanta giorni); l’adesione del difensore all’astensione proclamata dall’associazione di categoria rende operante la causa di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. b, (Cass., sez. Sez. 5, Sentenza n. 19646 del 19/04/2011); non vi è un diritto del difensore ad ottenere la notifica del provvedimento di differimento dell’udienza a cagione dell’adesione all’astensione (Sez. 3, n. 9107 del 13/05/1999). Per lo stesso motivo è stato ritenuto che il rinvio del dibattimento per mancata presentazione del difensore che privi di assistenza l’imputato non comporta la necessità di notificazione al difensore medesimo dell’ordinanza di fissazione della nuova udienza, come nel caso di rinvio per impedimento del difensore (Sez. 2, Sentenza n. 28937 del 02/07/2009).
3. L’emanazione di un codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze, adottato dall’Avvocatura il 4 aprile 2007 in adempimento dell’obbligo posto dalla L. 12 giugno 1990, n. 146, come modificata dalla L. 11 aprile 2000, n. 83, ha arricchito il quadro normativo di una serie di prescrizioni e di adempimenti a carico degli avvocati che intendano aderire allo sciopero proclamato dall’associazione di appartenenza, finalizzati ad assicurare un ordinato e prevedibile svolgimento della protesta e ad assicurare, nel processo penale, l’assistenza legale nelle situazioni di più accentuata criticità (imputati detenuti o arrestati, processi prossimi alla prescrizione, atti urgenti o a sorpresa, ecc.).
Il rispetto delle condizioni previste nel codice di autoregolamentazione è condizione perchè la mancata comparizione dell’avvocato all’udienza o all’atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorchè non obbligatoria, sia ritenuta legittima e attuata in adesione all’astensione regolarmente proclamata ed effettuata.
Questa Corte ha infatti fissato il principio che il rispetto del Codice di Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007, costituisce la precondizione per la sussistenza del diritto che si afferma voler esercitare.
Pertanto, l’astensione proclamata senza l’osservanza dei principi, delle cautele e dei limiti fissati nel codice suddetto pone l’astensione collettiva, e quella individuale che a questa faccia riferimento, al di fuori dell’area di tutela riconosciuta dalle norme in tema di libertà sindacale (Cass., 39248 del 12/7/2013. Conf., n. 7620 del 2010, Rv 246197).
4. Questa conclusione, però, non esaurisce il tema dei rapporti tra libertà sindacale e progressione del procedimento penale, giacchè, se il rispetto delle condizioni e dei limiti posti dalla normativa sopra richiamata rappresenta un requisito per la legittimità dell’astensione, la normativa emanata dopo la storica sentenza n. 171 della Corte Costituzionale in materia di sciopero dei professionisti (sentenza n. 171 del 16 maggio 1996) ha lasciato intatto il potere del giudice di regolare lo svolgimento del processo secondo i canoni dell’ordinamento processuale.
E’ stato quindi affermato che “le disposizioni fissate in un codice di autoregolamentazione possono avere efficacia vincolante per la categoria di soggetti che hanno contribuito alla creazione della fonte normativa, in funzione dello scopo di porsi alcuni limiti all’esercizio concreto di un fondamentale diritto. Il giudice ha certamente il dovere di non interferire nella libera espressione di quel diritto, ma rimane soggetto ai vincoli che derivano dall’ordinamento processuale e soprattutto alla norma che impone l’obbligo di ragionevole motivazione – soggetta a controllo – per giustificare una valutazione di merito…imprescindibile dalla diversa funzione assunta nella dinamica del processo” (Cass., n. 3047 del 1999).
E, più recentemente, che “il giudice nel valutare le circostanze che, rendendo urgente la trattazione, impediscono l’accoglimento di una richiesta di rinvio del dibattimento motivata dall’adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalla categoria, non è legato dai principi fissati dall’avvocatura per autodisciplinare l’astensione medesima (Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati pubblicato in G.U. n. 3 del 4 gennaio 2008), ma deve autonomamente procedere al bilanciamento degli interessi in gioco in quanto il codice di autoregolamentazione è un atto che vincola i soli associati” (Cass., sez. 2, n. 22353 del 19/4/2013. In senso conforme: Cass. 3047/1999 rv 212952; Cass. 46686/2011, Bencivenga; Cass., 24533 del 2009).
Ciò sul presupposto, riconosciuto dalla stessa sentenza della Corte Costituzionale sopra richiamata, che l’astensione dall’attività defensionale proclamata dall’Unione delle Camere Penali Italiane non si configura come diritto di sciopero e non ricade sotto la specifica protezione dell’art. 40 Cost. trattandosi invece di una “libertà” riconducibile al diverso ambito del diritto di associazione (art. 18 Cost.). Pertanto, “la salvaguardia degli spazi di libertà dei singoli e dei gruppi che ispira l’intera prima parte della Costituzione non esclude, tuttavia, che vi siano altri valori costituzionali meritevoli di tutela. Vengono cosi in evidenza i diritti fondamentali dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, in ispecie il diritto di azione e di difesa di cui all’art. 24 Cost., nonchè i principi di ordine generale che sono posti a tutela della giurisdizione.
Significativamente la L. n. 146 del 1990, art. 1, comma 1, qualifica come essenziale il servizio pubblico che garantisce il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati: quello alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione. Esso dunque fa riferimento non tanto a prestazioni determinate oggettivamente, quanto al nesso teleologia) fra queste e gli interessi e beni costituzionalmente protetti” (CC, sentenza n. 171 del 1996).
Sembra potersi affermare, quindi, sulla base della giurisprudenza affermatasi dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. n. 146 del 1990, art. 1 e dopo l’emanazione delle norme ad essa succedute, che il codice di autoregolamentazione non esaurisce il novero delle situazioni potenzialmente idonee a fondare la potestà valutativa del giudice di fronte a situazioni create dall’adesione del difensore all’astensione proclamata dall’associazione di riferimento, dovendosi tener conto, da parte del giudice, delle altre situazioni, non catalogabili a priori, idonee ad incidere su diritti costituzionalmente rilevanti, da bilanciare col diritto del difensore all’esplicazione della propria libertà sindacale.
5. In questo panorama giurisprudenziale è intervenuta, però, l’ordinanza delle S.U. di questa Corte, emessa nell’ambito del proc. n. 11751/2012 (sentenza n. 26711 del 30/5/2013), che, nel rigettare la richiesta di rinvio del processo formulata dal difensore dell’imputato che aveva dichiarato di aderire all’astensione proclamata dalle Camere penali, ha parlato, con riferimento al codice di autoregolamentazione emanato ai sensi della L. n. 146 del 1990, come novellata ad opera della L. n. 83 del 2000, di “normativa secondaria alla quale occorre conformarsi”, senza peraltro precisare se ad essa debba “conformarsi” il difensore oppure anche il giudice e mostrando di ritenere che il codice suddetto, essendo approvato dalla Commissione di Garanzia istituita dalla L. n. 83 del 2000, è destinato a realizzare il “contemperamento con i diritti della persona costituzionalmente tutelati”, di cui alla L. n. 146 del 1990, art. 1.
Rimane perciò aperto il problema se analoga potestà di contemperamento sia riservata al giudice di fronte a interessi, diritti e situazioni – frequenti a verificarsi – non contemplate dal codice suddetto, quali, a titolo di esempio, la ragionevole durata del processo (ormai assurta a rango costituzionale), la coesistenza di situazioni configgenti (imputati con interessi contrapposti), la persistenza di misure cautelari non custodiali ma comunque incidenti su un diritto fondamentale (la libertà di locomozione) o – per rimanere al caso concreto – il grave disagio di un teste chiamato a testimoniare da città lontana rispetto al luogo di svolgimento del processo.
Si tratta, quindi, di definire l’esatto ambito di operatività e di cogenza della normativa autoregolamentare emanata in attuazione della L. n. 146 del 1990, che, per il suo rilievo pratico e l’importanza dei diritti coinvolti appare opportuno rimettere alle valutazioni del Supremo consesso.
Questa Corte ritiene perciò la necessità di investire le Sezioni Unite del seguente quesito: “Se, anche dopo l’emanazione del codice di autoregolamentazione dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con delibera del 13 dicembre 2007, permanga il potere del giudice – in caso di adesione del difensore all’astensione proclamata dall’associazione di categoria – di disporre la prosecuzione del giudizio in presenza di esigenze di giustizia non contemplate dal codice suddetto”.
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2013