Bancarotta – Cassazione Penale, Sez. V, 29 aprile 2010 n. 16566

L’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, Legge Fallimentare, nel prevedere l’aumento di pena fino alla metà “se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati” (nella specie artt. 216 e 217 L.F.), non intende la pluralità di “fatti” come contestuale presenza di più fattispecie diverse, ma la reiterazione di condotta comunque sussumibile in entrambe o in ciascuna delle due ipotesi: con la conseguenza che anche fatti dello stesso tipo, riferibili alla stessa ipotesi di bancarotta, sono sufficienti ai fini dell’applicazione della detta circostanza aggravante. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello – Presidente
Dott. BEVERE Antonio – Consigliere
Dott. OLDI Paolo – rel. Consigliere
Dott. SCALERA Vito – Consigliere
Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) C.F. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2753/2007 CORTE APPELLO di CATANIA, del 16/06/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. OLDI Paolo;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Monetti Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16 giugno 2008 la Corte d’Appello di Catania, sostanzialmente confermando (salvo esclusione della continuazione) la decisione assunta dal locale Tribunale, ha fra l’altro riconosciuto C.F. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata in relazione al fallimento della società “Italiana Gioielli s.r.l.”, della quale era stato amministratore.
Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, il C. aveva distratto dalla massa attiva orologi e preziosi acquistati presso la ditta Calderoni Gioielli e pagati solo in parte; inoltre dopo il fallimento aveva dato in pegno a titolo personale dei preziosi facenti parte dell’attivo fallimentare; infine aveva venduto, quando già la società era in decozione, un garage sul quale era stata iscritta ipoteca.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a quattro motivi.
Col primo motivo il ricorrente deduce travisamento della prova in ordine alla distrazione delle merci acquistate presso la Calderoni Gioielli, contestando l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui egli avrebbe acquistato con l’intenzione di non pagare.
L’illustrazione del vizio motivazionale denunciato si estende alla trascrizione di una sentenza della Corte di Cassazione sulla portata dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Col secondo motivo, ancora deducendo vizi di motivazione, il C. sostiene esservi una imponente prova logica della appartenenza alla propria famiglia, e non alla società, dei gioielli costituiti in pegno dopo il fallimento, al solo scopo di far fronte ad una momentanea esigenza di liquidità. Contesta, inoltre, la qualificazione del fatto come bancarotta postfallimentare, assumendo doversene eventualmente contemplare l’assorbimento nella già contestata bancarotta prefallimentare.
Col terzo motivo il ricorrente lamenta la mancata risposta ai motivi di appello con cui aveva rilevato la mancata specificazione della condotta fraudolenta attribuitagli, in rapporto alla pura e semplice vendita a terzi di un bene immobile del cui prezzo non gli è mai stata contestata la distrazione. Sotto tale profilo eccepisce la nullità derivante dalla divergenza fra contestazione e condanna.
Col quarto motivo, infine, contrasta l’applicazione dell’aggravante del danno di particolare gravità, osservando che il danno ipoteticamente causato (corrispondente al residuo credito della Calderoni Gioielli) è sostanzialmente pareggiato dall’attivo fallimentare. Impugna, altresì, la disposta applicazione dell’aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, attesa l’omogeneità dei fatti di bancarotta contestati.

Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.
Il primo motivo si appunta vanamente su un passo della motivazione – quello in cui si addebita al C. di aver acquistato la merce presso la Calderoni gioielli con l’intenzione di non pagare – di poco o nessun rilievo ai fini dell’affermazione di penale responsabilità per il reato contestatogli.
Ciò che interessa accertare, infatti, perchè possa dirsi integrato il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è l’inganno eventualmente perpetrato ai danni del fornitore, ma l’avvenuta distrazione della merce acquistata; e su quest’ultimo punto la motivazione della sentenza impugnata non lascia spazio a perplessità, dimostrando con logica incalzante la non plausibilità dell’assunto difensivo dell’imputato, secondo il quale i preziosi sarebbero stati venduti e il ricavato utilizzato per il pagamento del fornitore.
Valga in proposito ricordare che, secondo un principio da tempo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, una volta provato dall’accusa che una determinato bene appartenente all’impresa – poi – fallita sia entrato nella disponibilità dell’amministratore, se ne presume la distrazione se l’autore del fatto non provi di avervi dato legittima destinazione (Cass. 5 dicembre 2004, Sabino; Cass. 10 giugno 1998, Vichi).
Quanto alla tesi difensiva sviluppata col secondo motivo, volta ad accreditare l’assunto secondo il quale il C. avrebbe dato in pegno dei preziosi appartenenti non alla società, ma a qualche suo familiare, del tutto pertinente è l’obiezione secondo cui una tale versione dei fatti, resa inverosimile dall’attività di commercio di gioielli svolta dalla società da lui amministrata, avrebbe richiesto una prova ben più adeguata della mera allegazione: prova che il ricorrente sostiene di avere fornito in modo imponente sul piano logico, col sostenere che la parte preponderante delle merci trattate dalla società Italiana Gioielli s.r.l. fosse costituita da orologi, ma cui la Corte d’Appello non ha prestato credito per mancanza di qualsiasi elemento concreto.
E’ pacifico in atti che il fatto si sia verificato dopo la dichiarazione di fallimento; sicchè, non risultando che i preziosi in questione fossero stati oggetto di atti distrattivi anteriormente all’apertura della procedura concorsuale, corretta è la qualificazione giuridica di bancarotta postfallimentare, datane dal giudice di merito.
Per quanto si riferisce alla vendita del garage, va detto che la sottrazione di un bene appartenente al patrimonio della società, attraverso la sua alienazione, comporta un depauperamento della massa attiva, che potrebbe trovare giustificazione soltanto nell’acquisizione di un adeguato corrispettivo, se questo risultasse essere stato destinato alle esigenze dell’impresa: orbene, poichè nulla è dato sapere in concreto – al di là delle mere allegazioni di parte – circa l’impiego del prezzo riscosso dal C., ciò che rimane certo è soltanto un decremento del patrimonio immobiliare, nel quale si concreta l’atto distrattivo contemplato dall’imputazione. Non sussiste, pertanto, la denunciata divergenza fra l’accusa contestata e la condanna.
A confutazione, da ultimo, del quarto motivo di ricorso corre l’obbligo di osservare che il danno risentito dal ceto creditorio non è costituito dal residuo credito della Calderoni Gioielli, ma dal coacervo delle attività distratte dal patrimonio della società; al valore così determinato, per nulla compensabile con l’entità della massa attiva residua (che è soltanto la parte del patrimonio non colpita dall’attività di distrazione), la Corte di merito, nell’esercizio della valutazione discrezionale rimessale dall’ordinamento, ha riconosciuto una rilevanza tale da dar luogo all’applicazione dell’aggravante contestata: e l’apprezzamento così espresso non è sindacabile in sede di legittimità.
Sussiste, altresì, l’aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1; ed invero, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la pluralità di “fatti” cui si riferisce la norma in questione non richiede la contestuale presenza di più fattispecie diverse descritte nella L. Fall., artt. 216 e 217, ma la reiterazione della condotta, comunque sussumibile in entrambe o in ciascuna delle due ipotesi: con la conseguenza che anche fatti dello stesso tipo, e riferibili alla stessa ipotesi di bancarotta, sono sufficienti ai fini dell’applicazione di quella circostanza aggravante (v. Cass. 22 aprile 1998 n. 8327).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010

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