Non si applica la Legge Balduzzi al medico che ometta un pronto taglio cesareo in presenza di prolungata sofferenza fetale per brachicardia – Cassazione Penale, Sez. IV, 7 aprile 2014 n. 15495

La restrizione della portata dell’incriminazione ex art. 589 cod. pen. operata dall’art. 3 Legge  189/2012 (cd. Legge Balduzzi), richiede la realizzazione, da parte del terapeuta, di una condotta aderente ad accreditate linee guida e la sussistenza, in tale ambito, di un profilo di mera colpa lieve: pertanto versa in colpa di particolare gravità e non è esente da responsabilità penale il chirurgo che, a fronte di tracciati cardiotocografici segnalanti chiari segni di sofferenza fetale per brachicardia per oltre due ore e trentacinque muniti, omette di intervenire prontamente con il taglio cesareo, come raccomandato dai protocolli nazionali ed internazionali accreditati scientificamente. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente -
Dott. MARINELLI Felicetta – Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da: C.N.A. N. IL (omissis);

avverso la sentenza n. 50/2011 della CORTE DI APPELLO di POTENZA, in data 20.10.2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11.03.2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONTAGNI ANDREA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ALDO POLICASTRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per le parti civili, l’Avv. Sorge Gaetano, del foro di Taranto, che deposita conclusioni e nota spese;
Udito per il responsabile civile Azienda Sanitaria Locale USL n. (omissis) di Matera l’Avv. Leone Raffaella, del foro di Matera, che si rimette alla valutazione della Suprema Corte;

Udito per il ricorrente l’Avv. Comi Vincenzo, del foro di Roma, sostituto processuale dell’Avv. Buccico Emilio Nicola, del foro di Matera, che dopo ampia discussione insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Matera, con sentenza in data 8.03.2010 dichiarava C.N.A. responsabile del delitto di omicidio colposo, per avere cagionato la morte della bambina R.A..
Al C. si contesta, nella sua qualità di medico ginecologo, in servizio presso l’Ospedale “Madonna della Grazie” di (omissis), di non aver prestato la dovuta assistenza a D.C.M., primigravida alla 39 settimana, entrata in sala parto alle ore 14.00 del (omissis).
In particolare, al ginecologo, che era presente e che controllava il decorso degli eventi, si addebita di aver omesso di considerare i segni di sofferenza fetale indicati per oltre due ore e 35 minuti dal continuo monitoraggio con tracciati cardiotocografici al quale la paziente era stata sottoposta durante il travaglio e di aver omesso di intervenire e di richiedere o di disporre il taglio cesareo; e ciò benchè si vedesse la testa della bambina che aveva attraversato il canale uterino e che si fosse bloccata la fuoriuscita della nascitura.
In assunto accusatorio C. attivò tardivamente i meccanismi di urgenza per l’esecuzione di taglio cesareo, che avvenne solo alle ore 18.05, di talchè la bambina alla nascita presentava mancanza di attività cardiorespiratoria e decedeva alle successive ore 19.30, per grave sofferenza ipossica perinatale evoluta in arresto cardiorespiratorio.

2. La Corte di Appello di Potenza, con sentenza in data 20 ottobre 2011, confermava integralmente la sentenza di primo grado.
Il Collegio rilevava che il ginecologo aveva violato, per imperizia, le leges artis, atteso che le linee guida nazionali ed internazionali raccomandano di intervenire subito per via chirurgica, in caso di brachicardia; ed osservava che, nel caso di specie, la condizione di primipara della partoriente, la posizione del feto e l’andamento del ritmo cardiaco fetale, avrebbero imposto di intervenire chirurgicamente senza indugio.
La Corte territoriale rilevava che la causa esclusiva della morte della bambina era da rinvenirsi nella condotta omissiva dell’imputato che aveva deciso di eseguire il parto cesareo solo alle ore 18.00; e che risultava irrilevante, in riferimento all’exitus, la pure accertata funisite.
Il Collegio evidenziava che il grado della colpa, ascrivibile all’imputato, non si poneva a livello minimo, per la gravità della imperizia e per la durata temporale della omissione.

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione C.N.A., a mezzo del difensore.
Il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in riferimento agli artt. 40 e 589 cod. pen. rispetto alle leges artis ed alla incidenza causale della infiammazione placentare. Rileva, inoltre, l’applicabilità al caso di giudizio degli artt. 2 e 43 cod. pen. e della L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3.

La parte considera che la Corte di Appello ha omesso di affrontare il tema del significato da assegnare alle decelerazioni cardiache, essendosi limitata ad affermare che gli esiti della cardiotocografia, secondo tutti i medici intervenuti a vario titolo nel processo, delineavano un quadro clinico grave ed allarmate che avrebbe imposto di procedere immediatamente per via chirurgica e che in caso contrario la morte per asfissia del feto è certa.
L’esponente ritiene che la Corte territoriale non abbia proceduto al vaglio delle contrapposte tesi scientifiche – sul valore del tracciato e sulla rilevanza causale della funisite – che venivano in rilievo nel caso di specie, disattendendo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, sul tema del controllo critico rimesso al giudice di merito, rispetto ai risultati della prova scientifica.

In ordine alla lettura del tracciato cardiotocografico, l’esponente osserva che la Corte di Appello ha richiamato le valutazioni espresse dai consulenti del pubblico ministero e dal perito; e considera che il Collegio ha errato nel valutare il contenuto delle considerazioni espresse dal consulente della difesa.
Il ricorrente rileva che la valutazione clinica della cardiotocografia risulta di speciale complessità; ed assume che il riferimento alle sole decelerazioni, effettuato nel caso dei giudici di merito, sia influenzato dalla consapevolezza, a posteriori, di quanto si era verificato.
La parte richiama quindi il contenuto delle linee guida nazionali, evidenziando che nelle linee guida si afferma che un tracciato cardiotocografico anormale ha scarso valore predittivo di compromissione fetale, rappresentando un falso positivo nella maggioranza dei casi; che il riscontro di una frequenza cardiaca fetale non rassicurante non da indicazioni reali sullo stato di ossigenazione fetale; e che sequenze cardiache fetali infauste risultano associate ad una incidenza del 50/60% di depressione neonatale. L’esponente, dopo avere fatto riferimento a letteratura medica sui protocolli e le procedure relative alle emergenze ostetriche, rileva che, nel caso che occupa, in considerazione della totale normalità delle condizioni antecedenti il travaglio, attestate in tutte le relazioni cliniche dai periti, il travaglio della paziente poteva considerarsi a basso rischio.

Dal punto di vista dei tempi, l’esponente rileva che il travaglio della paziente D.C. procedeva regolarmente, con raggiungimento della dilatazione alle ore 16.13; e considera che la paziente avrebbe partorito entro le due ore, se non ci fosse stata una posizione della testa fetale, con occipite posteriore, sfavorevole ad un più rapido espletamento del parto. Al riguardo, la parte assume che la predetta evenienza non è diagnosticabile prima del parto.

Il deducente rileva poi che altro elemento fondamentale nella valutazione clinica del travaglio di parto è rappresentato dall’aspetto del liquido amniotico; sottolinea che nel caso di specie il liquido è sempre rimasto chiaro, sino al termine della procedura chirurgica; e ritiene che tale evenienza mal si concili con una condizione di sofferenza fetale ipossica, ipotesi sostenuta dai consulenti del pubblico ministero.
Ritiene, pertanto, che le condizioni del feto alla nascita siano state condizionate da altri fattori, nell’ambito dei quali la corionamniosite e la funisite, documentate dall’esame istologico placentare, hanno svolto un ruolo determinante.

La parte si sofferma sul merito della valutazione cardiotocografica relativa allo stato fetale in travaglio di parto, secondo la procedura clinica ragionata elaborata in letteratura, già sopra richiamata; e rileva che il tracciato della paziente D.C., rispetto a tali parametri, si è mantenuto nell’ambito di una normale linea di base, tenuto pure conto della variabilità della frequenza cardiaca fetale; e ritiene che l’evento bradicardia finale che si è verificato nel caso di specie fosse totalmente imprevedibile. Osserva che secondo le linee guida nazionali l’associazione tra decelerazioni cardiache e condizioni ipossiche in utero è valida nel 50% dei casi; e che tale dato si riduce al 13% nei casi di variabilità normale.

Il ricorrente ritiene che la condotta posta in essere dal dott. C. sia conforme alle indicazioni delle linee guida nazionali e internazionali e che ciò che ha modificato la risposta fetale alla condizione di adattamento del travaglio è stata la imprevedibile e non visibile flogosi placentare diffusa. Rileva che in presenza di un tracciato con decelerazioni e variabilità mantenuta non vi è alcuna linea guida che indichi la necessità del taglio cesareo, nè un tempo limite per effettuarlo.
Il ricorrente rileva che l’analisi del tracciato della paziente D. C. evidenzia che le condizioni per un parto da espletare in urgenza si manifestarono alle ore 17,40 e che in tale momento il dott. C. si attivò, espletando il taglio cesareo in tempi brevissimi, con estrazione alle 18,05, tempi del tutto allineati alle indicazioni fornite dalle linee guida. La parte confuta le valutazioni effettuate dai consulenti del pubblico ministero e dal perito, richiamando letteratura medica, ritenuta equiparabile a una linea guida internazionale.
L’esponente osserva che il giudice del merito non si è posto il problema di valutare, anche sulla base delle linee guida, il grado di consenso scientifico delle tesi esposte dall’imputato.
Ciò chiarito, la parte rileva che la condotta posta in essere dall’imputato rientra comunque nell’ambito applicativo della disposizione di cui alla L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, poichè l’imputato ha rispettato gli approdi scientifici consacrati nelle linee guida; osserva, poi, che viene in rilievo una ipotesi di colpa lieve.

Sotto altro profilo, il ricorrente ribadisce che l’esito drammatico è conseguenza della corionamnionite e della funisite, da qualificarsi come autonomi fattori causali dell’evento.
Rileva che la grave infezione placentare, del cordone ombelicale, della membrana amniotica e fetale, protrattasi nel tempo, in condizioni occulte, stante l’assenza di segni clinici febbrili, ha rappresentato la premessa per gli eventi imprevedibili che si sono determinati.
Il deducente considera che le forme di flogosi placentari non danno luogo ad alcun evento sulla frequenza cardiaca fetale ma determinano un danno diretto a livello delle regioni cerebrali.
Ritiene che il ragionamento sviluppato dalla Corte di Appello, in riferimento al rapporto tra emissione di meconio ed infiammazione placentare e laddove viene posta in relazione la chiarezza del liquido amniotico con una insorgenza recente della infiammazione, si ponga in insanabile contrasto con gli approdi scientifici condivisi.

Motivi della decisione

5. Il ricorso in esame, affidato in realtà ad un unico articolato motivo di censura, muove alle considerazioni che seguono.

5.1 Occorre in primo luogo richiamare i principi che, secondo diritto vivente, governano l’apprezzamento giudiziale della prova scientifica da parte del giudice di merito e che presiedono al controllo che, su tale valutazione, può essere svolto in sede di legittimità.

Nel delineare l’ambito della scrutinio di legittimità, secondo i limiti della cognizione dettati dall’art. 609 cod. proc. pen., si è infatti chiarito che alla Corte regolatrice è rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali è giunto il giudice di merito, che ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti.
La Suprema Corte ha evidenziato, sul piano metodologico, che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l’esito di accreditare l’esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l’obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell’uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell’incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa dell’opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio (Cass. Sez. 4, sentenza n. 80 del 17.01.2012, dep. 25.05.2012, n.m.).

5.2 Chiarito che il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, deve rilevarsi che, non di rado, la soluzione del caso posto all’attenzione del giudicante, nei processi ove assume rilievo l’impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall’affidabilità delle informazioni che, attraverso l’indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo.
Si tratta di questione di centrale rilevanza nell’indagine fattuale, giacchè costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito è chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridico compiute nel processo. Il giudice deve, pertanto, dar conto del controllo esercitato sull’affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l’imparzialità e l’autorevolezza scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.

E, come sopra chiarito, il controllo che la Corte Suprema è chiamata ad esercitare attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito ha espresso nella sentenza impugnata.
Del resto, la Corte Suprema ha anche recentemente ribadito il principio in base al quale il giudice di legittimità non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate; esso è chiamato a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Rv. 248944; Cass. Sez. 4, sentenza n. 42128 del 30.09.2008, dep. 12.11.2008, n.m.).
E si è pure chiarito che il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorchè gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purchè dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire.
Entro questi limiti, è del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per sè, l’omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della perizia (o della consulenza), poichè la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (vedi, da ultimo, Cass. Sez. 4, sentenza n. 492 del 14.11.2013, dep. 10.01.2014, n.m.).

5.3 Orbene, con riguardo all’apprezzamento della prova scientifica, afferente specificamente all’accertamento del rapporto di causalità, la giurisprudenza di legittimità ha in particolare osservato che deve considerarsi utopistico un modello di indagine causale, fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali.
Ciò in quanto, nell’ambito dei ragionamenti esplicativi, si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l’analisi di contingenze fattuali.

In tale prospettiva, si è chiarito che il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica non è solitamente molto importante; e che è invece importante che la generalizzazione esprima effettivamente una dimostrata, certa relazione causale tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi (cfr. Cass. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, Rv. 222138).
Nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, cioè, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.

Con particolare riferimento alla casualità omissiva – che viene in rilievo nel caso di specie – si osserva poi che la giurisprudenza di legittimità ha enunciato il carattere condizionalistico della causalità omissiva, indicando il seguente itinerario probatorio: il giudizio di certezza del ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili, e culmina nel giudizio di elevata “probabilità logica” (Cass. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, cit.); e che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto quando l’apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Cozzini, Rv. 248943).
Ai fini dell’imputazione causale dell’evento, pertanto, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto all’imputato dall’ordinamento.

5.4 Applicando i richiamati principi di diritto al caso in esame, deve allora considerarsi che le conformi valutazioni, effettuate dai giudici di merito, di primo e secondo grado, in tema di prova relativa alla riferibilità causale del decesso della bambina alla condotta omissiva posta in essere dal C., come pure in riferimento al grado della colpa ascrivibile al professionista, per essersi discostato dalle linee guida nazionali ed internazionali, che raccomandano di intervenire subito per via chirurgica, in caso di bradicardia, risultano immuni dalle dedotte aporie di ordine logico e del tutto congruenti, rispetto all’acquisito compendio probatorio.

Ed invero, la Corte di Appello ha osservato che i consulenti del pubblico ministero avevano evidenziato che nell’arco di due ore e 35 minuti erano comparse decelerazioni tardive, variabili, atipiche, ripetitive e ingravescenti che avrebbero imposto di procedere, senza alcuna attesa, al cesareo.
Il Collegio ha pure sottolineato che anche il nominato perito aveva chiarito che nel caso la decelerazione del battito, tra le ore 15.50 e le ore 16.55, risultava tardiva e patologica, indicativa di uno scarso recupero da parte del feto; e che dette circostanze, tenuto pure conto del fatto che era stata registrata la posizione posteriore della testa del feto, dovevano indurre il C. ad eseguire il cesareo immediatamente.

La Corte di Appello si è poi soffermata sulla ipotesi alternativa, prospettata dal consulente della difesa, rilevando che il nominato perito aveva anche precisato che la funisite e la carioamniosite, nel caso di specie, non avevano determinato una alterazione della attività cardiaca fetale, che sarebbe stata improvvisa, giacchè la paziente aveva fatto registrare un tracciato patologico perdurante per circa due ore, sino alle ore 17.40, quando si era registrata ipossia fetale terminale.
Ed il Collegio ha precisato che tutti i medici che avevano esaminato il caso concordavano nel rilevare che le riscontrate decelerazioni del battito avrebbero imposto di accelerare il parto per via chirurgica; che il parto per via naturale, data la posizione del feto, non era praticabile; e che la condotta del C. non era in sintonia con le linee guida nazionali ed internazionali, che raccomandano di intervenire immediatamente per via chirurgica in caso di bradicardia.

La Corte di Appello ha infine sviluppato uno specifico ragionamento controfattuale, rilevando che la conclamata violazione della legge scientifica, da parte dell’imputato, che avrebbe imposto di procedere senza indugio per via chirurgica, costituiva il fattore causale che aveva determinato il decesso della bambina, come in concreto verificatosi.

Con riguardo all’elemento psicologico del reato, la Corte territoriale ha poi considerato poi che la protratta condotta omissiva del C. integrava un profilo di imperizia di grado non minimo, in considerazione del grave discostamento dalla legge scientifica che si era verificato, legge scientifica che il professionista aveva l’obbligo di conoscere e di applicare.

6. Le considerazioni sin qui svolte inducono poi a rilevare che il caso di specie non risulta altrimenti sussumibile nell’ambito della fattispecie, in tema di responsabilità medica, dettata dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, ove è stabilito che l’esercente una professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attiene a linee guida ed a buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve.

Richiamando, in via di estrema sintesi, l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità nel procedere alla ermeneusi della norma ora richiamata, si osserva che la Corte regolatrice ha chiarito che la novella esclude la rilevanza della colpa lieve, rispetto a quelle condotte che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purchè esse siano accreditate dalla comunità scientifica. In particolare, si è evidenziato che la norma ha dato luogo ad una “abolitio criminis” parziale degli artt. 589 e 590 cod. pen., avendo ristretto l’area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici; con la precisazione che tale disciplina trova il suo terreno di elezione nell’imperizia (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 11493 del 24/01/2013, dep. 11/03/2013, Rv. 254756; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, dep. 09/04/2013, Rv. 255105).
Ed i tratti qualificanti la novella del 2012 sono stati individuati da un lato nella distinzione tra colpa lieve e colpa grave, per la prima volta normativamente introdotta nell’ambito della disciplina penale dell’imputazione soggettiva; dall’altro, nella valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purchè corroborate dal sapere scientifico.

6.1 Ebbene, la Corte di Appello di Potenza si è specificamente soffermata su entrambi i temi di interesse, ora richiamati.
Il Collegio, come sopra evidenziato, ha rilevato che i protocolli nazionali ed internazionali, accreditati scientificamente, raccomandano di intervenire prontamente, per via chirurgica, in caso di brachicardia; ed ha sottolineato che il chirurgo, a fronte dei tracciati cardiotocografici che segnalavano chiari segni di sofferenza fetale per oltre due ore e trentacinque muniti, aveva omesso di intervenire prontamente con il taglio cesareo, cesareo che era stato effettuato soltanto alle ore 18.05.
La Corte territoriale ha, quindi, rilevato che la condotta omissiva del professionista integrava uno specifico profilo di colpa per imperizia, anche in riferimento alla mancata osservanza delle linee guida disciplinanti lo specifico settore di attività; con la precisazione che il grado della colpa risultava di particolare gravità, stante la protratta durata temporale della condotta omissiva da parte dello specialista, rispetto al comportamento di elezione, che risultava imposto dalle regole tecniche.

6.2 I rilievi che precedono inducono, pertanto, a rilevare che il fatto per il quale si procede non risulta sussumibile nell’ambito della abolitio criminis realizzata dalla novella del 2012.
Come si è visto, la restrizione della portata dell’incriminazione ex art. 589 cod. pen. richiede, infatti, la realizzazione, da parte del terapeuta, di una condotta aderente ad accreditate linee guida e la sussistenza, in tale ambito, di un profilo di mera colpa lieve: evenienze – entrambe – che non ricorrono nel caso di giudizio.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, per questo giudizio di cassazione, liquidate come a dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè a rimborsare alle parti civili D.C.M. e R.A. le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2014.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2014

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