E’ reato di pericolo presunto l’assunzione di sostanze dopanti ex art. 9 comma 1 Legge 376/2000, ma non può essere ritenuto sussistente sulla sola base della manifestazione dell’intento di farne uso, che da solo non consente di superare la soglia del ragionevole dubbio [Cassazione Penale, Sez. III, 19 aprile 2016 n. 16066].

Il delitto di assunzione di sostanze dopanti cui all’art. 9 comma 1 Legge 376/2000, pur essendo reato di pericolo presunto, non può essere ritenuto sussistente sulla sola base della – ancorchè chiara – manifestazione dell’intento, ma, per superare la soglia del ragionevole dubbio, deve essere provata l’effettiva disponibilità di quelle, quantomeno mediante valutazione dell’incremento delle prestazioni dell’atleta. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO Silvio – Presidente -
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere -
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere -
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere -
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Brescia;

nei confronti di T.F., nato a [omissis];

avverso la sentenza del 4-11-2014 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Baldi Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito per l’imputato l’avv. Azzaroli Fabio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale.

Svolgimento del processo

1. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Brescia ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Brescia ha confermato quella emessa dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Mantova nei confronti di T.F. con la quale quest’ultimo è stato assolto perchè il fatto non sussiste dal reato (capo c) previsto dalla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1, per aver assunto farmaci e sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricomprese nelle classi di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 2, comma 1, non giustificati da condizioni patologiche e idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche dell’atleta ovvero diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci e sostanze. Reato aggravato ex art. 9, comma 3, lett. e), trattandosi di componenti o dipendenti Coni ovvero di federazione sportiva nazionale, di società, associazione, ente riconosciuti dalla Coni. Accertato in [omissis].
Nonchè del reato (capo c1) previsto dall’art. 648 c.p. per avere acquistato o comunque ricevuto i farmaci e le sostanze di cui al capo c), di illecita provenienza nonchè provento dei delitti di cui al L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1. Accertato in [omissis].

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza il ricorrente articola un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente lamenta la mancanza e la contraddittorietà della motivazione su punti decisivi per il giudizio ( art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e)).

Assume che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di mancanza e/o contraddittorietà della motivazione, nella sua necessaria correlazione con le imputazioni e con altro atto del processo specificamente indicato nel gravame e relativo alla conversazione tra presenti svoltasi tra il T. e il coimputato N., di cui alla intercettazione ambientale n. 338 del 31 marzo 2009, peraltro integralmente e fedelmente riportata nel testo della sentenza assolutoria di primo grado.

Secondo il ricorrente da tale conversazione emergerebbe la prova di un ricorso da parte del T. a pregresse assunzioni, in precedenti competizioni, di prodotti dopanti, in diretto e non certo arbitrario collegamento con le caratteristiche e proprietà di sostanze altamente dopanti come l’eritropoietina. Se quindi un esasperato (se non addirittura sistemico) utilizzo del criterio epistemologico del dubbio può comprensibilmente interessare la copertura di quanto accaduto nel periodo successivo alla conversazione del 31 marzo, nel senso di non consentire l’accertamento di responsabilità per l’effettiva (e non meramente progettata) realizzazione dei programmati doping successivi a tale data, non si comprenderebbe, ad avviso del ricorrente, la ragione di come – al cospetto degli evidenti e coerenti riferimenti, smaccatamente confessori, al doping praticato nell’ambito di precedenti competizioni del medesimo periodo – la Corte d’appello abbia potuto coltivare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del T..
Pertanto la sentenza impugnata, non facendosi carico di prendere posizione su una prova decisiva, difetterebbe completamente di motivazione ponendosi in insanabile contrasto con le risultanze dell’indicato atto del processo e della medesima sentenza che lo riporta.

3. L’imputato ha depositato, tramite il difensore, memoria con la quale chiede dichiararsi inammissibile o comunque infondato il ricorso del Procuratore Generale, sul rilievo che la Corte d’appello, con una valutazione esclusivamente di merito, ha respinto l’impugnazione ritenendo non probanti, oltre ogni ragionevole dubbio, gli elementi di doglianza relativi anche alla conversazione intercettata ed anzi restringendo espressamente il profilo fatto valere dal ricorrente con una motivazione del tutto scevra da vizi logici o giuridici.
Peraltro, il ricorso non tiene conto della contraddittorietà di tutti gli elementi di valutazione utilizzati dalla Corte territoriale pretendendo di inferire la nullità della sentenza esclusivamente sulla base di un solo elemento di valutazione estrapolato dal complesso di una decisione del tutto immune da vizi logici o giuridici.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato.

2. La Corte territoriale, nel rigettare l’appello del pubblico ministero, ha preso specificamente in considerazione la conversazione ambientale n. 338 captata il giorno 31 marzo 2009, intervenuta tra il farmacista N. e l’imputato, pervenendo alla conclusione che il contenuto della conversazione, unitamente a tutto il resto del compendio processuale, non fosse sufficiente a ritenere raggiunta, oltre ogni ragionevole dubbio, la prova dell’acquisto illegale di farmaci dopanti da parte dell’imputato sia presso il N. che altrove (la Corte d’appello ha scrutinato anche ulteriori conversazioni captate nel corso delle indagini preliminari).

Peraltro, lo stesso ricorrente ammette che, dal testo della conversazione intercettata, non può ritenersi raggiunta la prova di una successiva erogazione di farmaci dopanti all’imputato ma si duole del fatto che la Corte distrettuale non abbia ritenuto raggiunta la prova in relazione a pregresse assunzioni di farmaci dopanti da parte del T. e con riferimento a precedenti competizioni agonistiche.

Il rilievo non è fondato in quanto la Corte di appello – condividendo l’interpretazione della fattispecie incriminatrice fornita dall’appellante secondo la quale il reato contestato, essendo di pericolo presunto, rende irrilevante, ai fini dell’integrazione della fattispecie, i risultati delle prestazioni agonistiche dell’imputato (del tutto in controtendenza rispetto ai benefici che ne avrebbe dovuto trarre dall’assunzione di sostanze dopanti) – ha osservato come dovesse valorizzarsi l’assenza di prova circa l’acquisto di farmaci proibiti presso il N. o altrove, sicchè soltanto la positività dei controlli antidoping e/o il miglioramento dei risultati agonistici, valutati unitamente alla consulenza prestata dal N., avrebbero consentito di ritenere provati i reati contestati, pur a fronte di intercettazioni ambientali e telefoniche prive di elementi sufficientemente esplicativi dell’effettivo acquisto di sostanze dopanti, con ciò stesso estendendo la valutazione probatoria anche a pregresse vicende dalle quali si sarebbe potuto desumere la commissione del reato.

La qual cosa è risultata ancora più chiara allorquando la Corte distrettuale ha evidenziato come il gravame proposto dal pubblico ministero contenesse un salto logico, nella misura in cui la prova certa di un rapporto stabile con il N. sarebbe valsa a comprovare la contestata condotta di assunzione di farmaci dopanti sul rilievo che, in mancanza di una costante propensione alla pratica del doping, le visite del T. al farmacista ( N.) non avrebbero avuto alcun senso.
Sul punto i Giudici d’appello hanno logicamente osservato come un tale rilievo fosse insufficiente per la dimostrazione del fatto da provare perchè, pur partendo da un fatto noto (la consulenza, richiesta dal T. ed ottenuta dal N., finalizzata al ricorso alla pratica di doping in vista di una gara ciclistica), pretendeva di dimostrare la contestata assunzione di farmaci dopanti da parte dell’imputato, omettendo del tutto di considerare il passaggio intermedio (processualmente non comprovato e che, ai fini dell’affermazione della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, avrebbe invece richiesto l’acquisizione di una prova certa e rigorosa) ossia che l’imputato si fosse in concreto procurato prodotti dopanti, assumendoli, dimostrazione che poteva ritenersi raggiunta solo ove fosse risultata, nel caso di specie, acquisita in atti la positività al doping. In siffatto contesto, la Corte distrettuale ha ricordato come il tribunale fosse giunto ad analogo approdo evidenziando che nulla deponeva circa un effettivo utilizzo in gara di sostanze dopanti da parte dell’imputato, emergendo invece dalla documentazione difensiva che il T. non avesse affatto migliorato le prestazioni agonistiche e che il nominativo dell’imputato non compariva neppure tra i ciclisti della società Lampre destinatari delle ricette sequestrate al N. nell’aprile 2009, circostanza che ha indotto i Giudici del merito fondatamente a dubitare che il T., pur avendo usufruito della “consulenza farmacologica” fornitagli dal N., avesse effettivamente ricevuto (da quest’ultimo o altrove) i farmaci dopanti consigliati e, quindi, assunto gli stessi.

In altri termini, la Corte d’appello ha evidenziato come mancasse la prova del segmento successivo, indispensabile per configurare in capo al T. le condotte di reato contestate, e cioè la prova della materiale consegna da parte del N. dei farmaci proibiti da lui stesso consigliati o, comunque, dell’effettivo acquisto di essi da parte dell’imputato attraverso altri canali clandestini, potendo l’assunzione di sostanze proibite, in vista della competizione da espletare, risultare sostenibile solo nella misura in cui ne fosse stato dimostrato l’ingresso nella effettiva disponibilità dell’imputato.

Su queste basi, la Corte d’appello, per ribaltare l’esito assolutorio del giudizio di primo grado, avrebbe dovuto sviluppare un ragionamento probatorio idoneo a superare incontestabilmente le criticità del compendio processuale posto a fondamento della prima decisione in maniera da pervenire, oltre ogni ragionevole dubbio, ad affermare la colpevolezza dell’imputato, con motivazione alternativa rafforzata.

In materia, quanto ai doveri motivazionali del giudice d’appello, va ricordato l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte che hanno espresso il principio per il quale, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679), principio anche recentemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907).

Nondimeno la doglianza – per come proposta in appello e riproposta con il presente ricorso – non ha consentito, secondo l’adeguato e logico convincimento espresso dal Giudici di appello, di superare i dubbi circa l’effettivo possesso e la conseguente assunzione di farmaci dopanti da parte dell’imputato, con la conseguenza che, da un lato, la sentenza impugnata non merita la censura di carenza motivazionale che le viene mossa avendo valutato la contestazione in tutta la sua estensione temporale, posto che il dato probatorio ritenuto mancante in ordine al fatto da provare è apparso assoluto e non cronologicamente limitato ad un determinato periodo rispetto a quello preso in considerazione dalla contestazione dell’accusa, e che, dall’altro, la Corte distrettuale ha stimato non ribaltabile la sentenza assolutoria di primo grado nell’impossibilità, congruamente espressa nella sentenza impugnata, di poter pervenire ad una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ritenendo che, in presenza di un ragionevole dubbio ampiamente manifestato con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, dovesse essere applicata la regola di giudizio di cui all’art. 530 c.p.p. , comma 2, per la quale in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova l’imputato va assolto.

3. Consegue il rigetto del ricorso del Procuratore Generale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2016

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