Secondo la Corte di Cassazione (sez. V, 38944/2015) il difensore di fiducia revocato è obbligato a partecipare all’udienza successiva poichè la revoca non ha effetto fintanto che la parte non sia assistita da nuovo difensore e non sia decorso il termine a difesa di cui all’art. 108 c.p.p. [Armando Argano - 12 ottobre 2015]

La recente sentenza 24 settembre 2015 n. 38944 della quinta sezione della Cassazione, rischia di introdurre, sebbene indirettamente, un possibile illecito disciplinare per il difensore di fiducia che rinunci al mandato o che se lo veda revocare, laddove, stante la nomina del nuovo difensore, ometta di partecipare all’udienza successiva alla cessazione del proprio incarico.

La decisione in esame, infatti, prendendo spunto dalla concessione del termine a difesa al nuovo difensore (tempestivamente nominato), ha comunque “forzosamente” proseguito l’istruzione dibattimentale con il difensore revocato (diligentemente presente), facendo letterale applicazione dell’art. 107 comma 3 c.p.p., secondo cui “La rinuncia non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore di fiducia o da un difensore di ufficio e non sia decorso il termine eventualmente concesso a norma dell’articolo 108“.
Da ciò ha inoltre fatto conseguire che “la pendenza del termine a difesa richiesto dal difensore dell’imputato, si tratti del nuovo difensore dotato di nomina fiduciaria o del difensore disegnato d’ufficio, funge da condizione sospensiva dell’efficacia della rinuncia al mandato da parte del difensore precedentemente nominato” e dunque “la concessione di un termine per la difesa non determina alcuna necessità di rinvio dell’atto processuale da compiere e non pone alcun ostacolo al regolare corso del processo“.

Dunque, osservato che nella specie non è stato evidenziato alcun comportamento illecitamente dilatorio che potesse indurre a tanto i Giudici (cfr. Corte Cost. 281/2009), da quanto sopra deriva che:

  1. viene del tutto svuotato il concetto stesso di “termine a difesa”, visto che può essere formalmente concesso e, tamquam non esset, subito bellamente accantonato;
  2. il soggetto assistito è costretto a farsi difendere da professionista di cui non si fida più o che non vuole più assisterlo (con buona pace degli art. 24 e 111 della Costituzione, nonchè artt. 11, 24 e 32 Codice Deontologico Forense);
  3. il difensore rinunciante o revocato – il quale non sa necessariamente se sarà chiesto termine a difesa – ha l’obbligo di continuare l’assistenza in udienza sintanto che si verifichino le due condizioni della nomina di un nuovo difensore e dello spirare di quel termine;
  4. il difensore rinunciante o revocato che non prosegua l’attività potrebbe persino incorrere in illecito disciplinare (ad esempio artt. 10, 12, 26 Codice Deontologico Forense), nonchè commettere il delitto di patrocinio infedele nel caso in cui la sua condotta rechi nocumento all’assistito.

Tutto ciò è palesemente iniquo.

Già molti anni fa, da pochissimo in vigore il Codice Vassalli, sosteneva efficacemente Franco Cordero che “contiene un innocuo lapsus l’art. 107/3, ultima frase: rinuncia e revoca non spiegano effetto fino a quando <<sia decorso il termine eventualmente concesso ex art. 108; ma qui esiste un nuovo difensore; l’ha chiesto lui il termine, (….), e sarebbe irragionevole che, medio tempore, sopravvivesse artificialmente l’abdicante o il revocato. I compilatori avevano in mente un’altra cosa ed era superflo dirla: finchè quel periodo non sia spirato, sarebbe compiuto invalidamente ogni atto a ‘difesa necessaria’ ” (Procedura Penale, Milano, 1991, p. 280).

La presa di posizione della Suprema Corte, invece, dà mostra di non intendere quel lapsus e di dare irragionevole valore alla fictio iuris del difensore-nondifensore, oltretutto con motivazione alquanto sbrigativa che non si cura neppure di inquadrare sistematicamente quel termine a difesa.

[Armando Argano - 12 ottobre 2015]

I commenti sono chiusi.