Anche nei processi per reati contro i minori la perizia non è di per sè prova decisiva e l’eventuale inosservanza della Carta di Noto non costituisce automatico motivo nè di nullità nè di inutilizzabilità della prova [Cassazione Penale, Sez. IV, 29-1-2015 n. 4352]

Nel processo penale la perizia non rientra nella categoria della “prova decisiva” ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione: in tale contesto i protocolli prescritti dalla cosiddetta “Carta di Noto”, lungi dall’avere valore normativo, si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni e la protezione psicologica del minore, sicchè la loro inosservanza non determina nè nullità nè inutilizzabilità della prova. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente -
Dott. FOTI Giacomo – Consigliere -
Dott. D’ISA Claudio – Consigliere -
Dott. IZZO Fausto – rel. Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da: C.C. e S.T. – parti civili -;
e Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna;

nei confronti di:

S.M., n. a (OMISSIS) – imputato;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna de 21/5/2013 (n. 4069/2011);
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Fausto Izzo;
udite le conclusioni del Procuratore Generale, dott. Pietro Gaeta, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni dell’Avv. Carlo Federico Grosso, per le parti civili, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
udite le conclusioni degli Avv.ti Benussi Carlo e Guglielmo Gullotta, per l’imputato, che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Piacenza, con sentenza 13 maggio 2010, dopo avere confermato la responsabilità dell’imputato S.M. per il delitto di violenza sessuale ai danni del figlio T. (minore degli anni dieci: fatti acc. in (omissis), ravvisata la ipotesi della minore gravità e concesse le attenuanti generiche prevalenti, rideterminava la pena in anni tre di reclusione. Veniva, inoltre confermata la condanna al risarcimento del danno ed al pagamento delle provvisionali.
Il giudice di merito reputava attendibile il racconto accusatorio della giovane vittima (di anni due e mesi undici all’epoca delle prime dichiarazioni) la quale, affidata alla madre C.C. in sede di separazione, aveva narrato di atti sessuali patiti ad opera del padre.
Per giungere a tale conclusione, la Corte aveva disatteso la prospettazione della difesa la quale aveva sostenuto che il bambino era stato oggetto per mesi di atteggiamenti manipolatori da parte della madre che avrebbero determinato falsi ricordi come dimostrato da registrazioni di colloqui effettuate dalla C. e riportanti le dichiarazioni del figlio.

In ordine alla capacità a testimoniare del minore ed all’assenza di creazioni fantastiche, la Corte di merito aveva recepito il parere positivo del perito che aveva svolto tutte le necessarie indagini anche sull’ambito familiare, sul contesto nel quale era nata la denuncia e sulla conflittualità della coppia oltre che sullo sviluppo psicofisico del minore e la attitudine alla fantasia.
Le critiche all’elaborato peritale – con particolare riguardo alla omessa considerazione della amnesia infantile – erano state disattese come valide in astratto, ma non nel caso concreto. Il piccolo T. era stato ritenuto credibile, perchè aveva riferito con parole e disegni di esperienze sonore (l’ansimare del padre) e tali (l’appiccicaticcio dello sperma), circostanza queste frutto di un vissuto e non di invenzioni.

In relazione alla registrazione dell’incontro del piccolo con il padre, dopo il quale il bambino aveva riferito della masturbazione dell’imputato, la Corte rilevava che, dopo la perizia fonica disposta in appello, era inattendibile la tesi difensiva che nulla fosse successo: invero, il papà si era intrattenuto con il figlio nella stanza da letto (ove non vi erano strumenti di registrazione), per un arco di tempo sufficiente a porre in essere quanto dal bambino asserito.

2. A seguito di ricorso per cassazione dell’imputato, la terza sezione di questa Corte annullava con rinvio la pronuncia di appello.

Osservava il giudice di legittimità che quando si devono esaminare le dichiarazioni di un minore in età prescolare (che ha scarse capacità cognitive e competenze a livello lessicale e semantico, difficoltà di memorizzare, sia a breve che a lungo termine, e di collocare gli eventi nel tempo e nello spazio) si pone, innanzitutto, il problema del livello della credibilità del suo racconto in rapporto alla sua naturale suggestionabilità.
Pertanto, le persone che raccolgono le prime confidenze possono, anche involontariamente e con il fine di tutelare il bambino, alterare il processo di libera e genuina rievocazione del suo ricordo con domande mal poste ed inducenti, con il suggerire l’argomento o la riposta prima ancora che il piccolo parli, con l’inquinare le sue informazioni, con la richiesta di ripetizione del racconto.
Se ciò avviene, le parole di un bambino possono essere il frutto suggestioni interne o esterne che alterano il contenuto dei suoi racconti ed il significato che attribuisce alle sue esperienze; la probabilità che una tale interferenza si verifichi diventa maggiore se il bambino è in tenerissima età e l’intervistatore è una figura primaria di attaccamento (es. la madre).

Fatte queste premesse, riteneva la Corte di legittimità che le articolate censure del ricorrente meritavano accoglimento.
Invero si poteva convenire con la conclusione dei Giudici di merito sulla mancanza di prove circa un deliberato comportamento della madre ed un suo “indottrinamento” organizzato per calunniare l’imputato ed allontanarlo dal figlio.
Non era, invece, condivisibile la reiezione delle considerazioni difensive (circa il processo ricostruttivo della memoria infantile) motivata sotto il profilo che sono “astratte, non calate nel caso concreto”.
La prospettazione difensiva necessitava di un più articolato esame perchè era ancorata non a studi teorici, sia pure condivisi dalla comunità scientifica, ma aveva agganci con le evidenze agli atti.

In particolare:
- la C. aveva problemi con il coniuge sulla gestione del figlio (accertati con le testimonianze raccolte) e nutriva il timore che l’imputato oltre ad essere un cattivo marito fosse un cattivo padre e che trattasse in modo improprio T. durante le visite regolamentate in sede di separazione;
- la moglie, per controllare i movimenti dello S. ed il suo rapporto con il piccolo, aveva assunto un investigatore; costui aveva riferito che la cliente gli aveva espresso dubbi su possibili comportamenti erotici del marito verso il figlio in epoca antecedente alle prime confidenze di T.;
- inoltre, le videocassette registrate dalla C. erano un esempio di come le interviste su un bambino non debbono essere effettuate. Infatti numerosi erano stati gli stimoli a parlare/le domande suggestive (alle quali il piccolo rispondeva compiacendo l’interlocutore) o ripetute (con squalifica della prima risposta di T. che non soddisfaceva), sì che si doveva concludere che le dichiarazioni erano state influenzate, anche se non intenzionalmente, dalla madre.
- per superare questo rilievo (condiviso anche dal perito psicologo) la Corte di merito aveva osservato che le domande erano state solo apparentemente suggestive, in quanto in realtà prendevano spunto da precedenti risposte e racconti del minore;
- tale conclusione non era condivisibile in quanto il giudice di merito avevano dato atto che il piccolo era già stato sottoposto a precedenti interviste sottovalutando che tale circostanza costituiva un rischio di inquinamento del narrato (l’attendibilità del minore è inversamente proporzionale al numero degli esami cui è sottoposto);
- la Corte distrettuale aveva basato la sua decisione su una premessa non fondata perchè considerava accertata la circostanza, che invece era da verificare, che i precedenti interrogatori della madre fossero stati condotti con modalità corrette idonee a favorire il ricordo del bambino, senza contaminarlo;
- di contro, proprio per i dubbi della C. sulla natura dei toccamenti del marito al piccolo, era plausibile l’ipotesi che avesse interpretato in chiave sessuale un comportamento che non aveva tale valenza ed avesse posto, su questo tema, esplicite domande che contenevano informazioni e che il figlio aveva poi introiettato;
- se tale situazione si era verificata, era irrilevante il contenuto dell’incidente probatorio nel quale, il T. aveva riferito fatti che esulavano dal bagaglio di conoscenze di un bambino della sua età.

Sulla base di tali valutazioni la terza sezione della Cassazione annullava con rinvio la sentenza, sollecitando il giudice di merito ad effettuare una ricostruzione dei fatti, a cominciare dalla prima confidenza del piccolo; ciò al fine di verificare se l’arricchimento del narrato del T., il quale più passava il tempo, più diveniva loquace (contrariamente a ciò che avviene con i bambini della sua età a causa della nota amnesia infantile), fosse dipeso dalla corretta abilità degli interroganti o dai loro metodi intrusivi che avevano interferito sulla emersione dei ricordi.

3. Con sentenza del 21/5/2013 la Corte di Appello di Bologna, giudicando in sede di rinvio, ai sensi dell’art. 530 c.p.p. , comma 2 assolveva lo S. perchè il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili.

Osservava la corte di merito, dopo avere effettuato una ricostruzione della vicenda processuale, che:
- il percorso valutativo del materiale probatorio raccolto non consentiva di giungere al superamento di ogni ragionevole dubbio, lasciando spazio alla plausibilità di ricostruzioni alternative del fatto;
- la vicenda della denuncia e delle prime dichiarazioni era calata in un contesto connotato dalla conflittualità dei coniugi che avevano in corso la separazione giudiziale;
- in tale contesto rilevante era comprendere se i sospetti della C. di abusi erano pregressi rispetto alle prime dichiarazioni del minore o in esse avevano trovato origine;
- dagli atti risultava che la moglie dell’imputato aveva iniziato la propria personale attività investigativa all’inizio di (omissis), mentre le prime confidenze fatte dal minore alla nonna e poi alla C. erano databili all’inizio di giugno;
- tale circostanza poteva avere indotto la madre di T. ad intendere atti di mero accudimento, come conferma dei suoi sospetti di abusi;
- pertanto, sebbene in buona fede, nei dialoghi con il minore la C. poteva avere esercitato sul figlio un’attività induttiva che aveva determinato il dubbio di attendibilità delle successive dichiarazioni del bambino;
- tenuto conto di ciò, la progressiva maggiore precisione dei ricordi da parte di T., non era certo che fosse attribuibile alla abilità dell’interrogante, piuttosto che all’attività suggestiva involontariamente indotta dalla madre;
- pertanto anche i riferimenti, fatti nelle deposizioni dal piccolo T., al “ciccio di papa”, all’ansimare, alla “roba bianca” ed i disegni, perdevano di valore probatorio, una volta ritenuto plausibile che la madre del piccolo avesse, sebbene involontariamente, svolto un’attività suggestiva sul figlio.

Riteneva, in sintesi, la Corte di merito che i pregressi sospetti della C. circa condotte di abuso del marito e successive interviste della madre al figlio con forti modalità induttive, potevano avere determinato di attribuire una valenza diversa ad a semplici atti di accudimento.
Se a ciò si aggiungeva l’assenza di riscontri oggettivi alle dichiarazioni del T., in ragionevole dubbio imponeva l’assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 530 c.p.p. , comma 2.

4. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna ed i difensori delle parti civili, lamentando:

4.1. il P.G.: a) la nullità dell’ordinanza della corte di appello del 29/l/2013 con cui era stata immotivatamente negata la assunzione di nuova prova costituita da una perizia collegiale e specialistica al fine di ricostruire la dinamica della vicenda, per poi valutare la portata della prova accusatoria; b) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, laddove erano stati avanzati dubbi sulla attendibilità del racconto del piccolo T., a fronte di conclusioni peritali e tecniche che deponevano per la genuinità del narrato. Inoltre il collegio era incorso in due travisamenti: quanto alle dichiarazioni dell’investigatore privato, questi aveva riferito di avere avuto esternazioni dalla madre del piccolo, su sospetti di abusi, solo in occasione dell’ultimo incontro ((omissis)), non prima, e cioè dopo che T. aveva fatto le prime dichiarazioni. Quanto al perito B., costei non aveva citato suggestioni indotte dalla madre del piccolo. Infine dall’intercettazione del 10 agosto, emergeva che dopo un iniziale contesto gioioso dell’incontro padre-figlio, tutto ad un tratto, in modo innaturale, il bambino era divenuto serio e freddo, il che rendeva plausibile che in quei momenti si fosse perpetrato l’abuso.

4.2. il difensore del minore S.T. e di C.C., con motivi sovrapponibili, lamentavano: a) la nullità dell’ordinanza già citata nel ricorso del P.G. Nella sua motivazione si leggeva che il vaglio di attendibilità di un teste non può essere affidato a terzi ma è compito esclusivo del giudice e che in ogni caso il materiale probatorio acquisito era esaustivo. Tale motivazione tradiva il mandato dato alla corte di merito dalla cassazione, la quale aveva invitato a valutare se il comportamento della madre del minore era stato particolarmente intrusivo e tale da condizionare la narrazione dei fatti da parte del piccolo T.; ciò non era possibile se non con l’ausilio di esperti della materia; b) il vizio della motivazione, ove la corte territoriale aveva ritenuto che il racconto del minore alla nonna e poi alla mamma, circa il fatto che il papa gli “tirava il ciccio”, fosse frutto di un’attività intrusiva della madre che, certamente non poteva esser stata svolta prima di avere ricevuto le confidenze del figlio. In ogni caso, se è vero che una condanna non può essere pronunciata al di là di ogni ragionevole dubbio, è pur sempre necessario che le ipotesi alternative siano concrete e riscontrate e non meramente astratte, c) la contraddittorietà tra le premesse della motivazione relativamente ai criteri di valutazione delle prove e le modalità effettive con cui era stata svolta tale valutazione. Invero la corte distrettuale, a fronte di un narrato del minore caratterizzato da particolare precisione e concordanza e riferito all’ansimare del padre, all’eiaculazione indicata come “roba bianca” ed “appiccicosa”, aveva ritenuto che il ricordo di tali circostanza potesse essere stato indotto dalla madre nel corso dei suoi colloqui con il figlio. Ma tale possibilità non era stata affidata ad un rigoroso riscontro probatorio, ma a frasi quali “non può escludersi”, “il falso ricordo possa in qualche modo”, che tradivano la astrattezza della proposta ricostruzione alternativa dei fatti che, invece, emergevano chiari delle dichiarazioni del piccolo T.. L’attendibilità delle dichiarazioni e l’assenza di possibilità di induzioni della madre erano state attestate sia dal perito che dai consulenti di parte; la corte di merito, dunque, invece di supportare l’elaborazione di argomenti contrari a dati scientifici, si era esercitata in mere empiriche e soggettive valutazioni. Peraltro il racconto del bambino, nelle due audizioni protette era stato specifico (“dal ciò del papa esce la roba bianca, dal suo la pipì”), nonostante che il C.T.U. cerchi di farlo cadere in contraddizione; d) il travisamento delle dichiarazioni dell’investigatore privato Ba. laddove era stato ritenuto che questi, nel corso del suo esame, a seguito delle domande del P.M., avesse collocato le confidenze della madre di T., circa possibilità di abusi, a fine maggio, quindi in concomitanza con il primo racconto del bambino alla donna e non successivamente a tale narrazione; c) il travisamento delle dichiarazioni del perito d.ssa B., laddove era stato ritenuto che costei, nel suo elaborato avesse sostenuto che le risposte del bambino fossero state accidentalmente o preordinatamente suggerite; inoltre avesse rilevato che dalle registrazioni effettuate non si poteva escludere che i toccamenti fossero meri giochi. Da tali dichiarazioni, invece, emergeva che non era vero, come sostenuto in sentenza, che il perito avesse avallato la tesi di ricordi indotti dalla madre della vittima; f) il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta irrilevanza probatoria della registrazione ambientale del 10/8/2003 effettuata nella casa dei nonni dove si trovavano lo S. ed il piccolo T.. Tale registrazione avallava il racconto della avvenuta masturbazione, tenuto conto che nello spazio temporale dal minuto 10 al minuto 14, il tono di voce del padre e del bambino erano mutati, non più gioiosi, ma sussurrati.

4.3. Con memoria depositata il 5/9/2014 il difensore dell’imputato S., richiamando le argomentazioni, ritenute coerenti e logiche, della sentenza impugnata, evidenziava che la C. aveva sempre contrastato la ripresa di un rapporto di frequentazione del padre con il figlio, ma esteriormente aveva manifestato una disponibilità per accattivarsi le simpatie dei giudici e consulenti. In ordine ai ricorsi presentati, quanto a quello del P.G., rilevava:
- la inammissibilità, per manifesta infondatezza, del motivo di censura riguardante l’ordinanza dibattimentale con cui era stata negata la perizia in sede di giudizio di rinvio;
- la infondatezza della tesi del travisamento delle dichiarazioni dell’investigatore privato Ba., che aveva collocato a fine maggio la confidenza della C. sugli abusi sospettati. Peraltro tali dichiarazioni erano state fatte dopo ripetute sollecitazioni del Presidente e dopo che la C. aveva negato di avere reso partecipe altre persone dei suoi sospetti;
- nessun travisamento, inoltre, vi era stato del contenuto della cassetta registrata, da cui si rilevava che padre e figlio stavano giocando e pitturando;
- infine, andava rimarcata la irragionevolezza del ricorso, a fronte del fatto che il P.G. di udienza aveva chiesto l’assoluzione.

Quanto al ricorso delle parti civili, evidenziava la difesa dell’imputato che osservazioni fatte nell’impugnazione non erano in grado di superare le argomentazioni logiche della sentenza impugnata, con specifico riferimento alle dichiarazioni del perito B. che aveva dichiarato come le circostanze riferite dal piccolo T. ben potevano essere considerati atti di gioco, non sessualmente orientati.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono infondati.

2. In ordine alla censura di rito formulata, va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo la quale la perizia non rientra nella categoria della “prova decisiva” ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 6, Sentenza n. 43526 del 03/10/2012 Ud. (dep. 09/11/2012), Rv. 253707).

Pertanto la decisione del giudice di non dare ingresso alla perizia dovrà essere valutata ai sensi dell’art. 606, lett. e), controllando la coerenza e logicità della motivazione della sentenza, ricordando un altro principio statuito dalla giurisprudenza di legittimità in materia e per il quale, in tema di reati sessuali nei confronti di minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non rende per ciò stesso inattendibile la testimonianza della persona offesa, giacchè un tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non è tuttavia un presupposto indispensabile per la valutazione dell’attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 38211 del 07/07/2011 Ud. (dep. 24/10/2011), Rv. 251381).
Da ultimo va rilevato che la formulazione del quesito fatta dal P.M. e dalla difesa di parte civile (“nominare un collegio peritale particolarmente qualificato al quale affidare il compito di ricostruire in modo scientificamente inoppugnabile quanto specificamente richiesto dalla Cassazione”, cfr. pag. 4 ric. P.C.), appare connotata da ampia genericità e coglie nel segno l’ordinanza della Corte di Appello che ha respinto la richiesta, laddove sottolinea che un incarico così congegnato avrebbe espropriato il giudice del suo compito ricostruttivo e valutativo, affidandolo di fatto ai periti.

Tale soluzione offerta dalla corte di merito trova riscontro nelle indicazioni della “Carta di Noto” (richiamata non per il suo inesistente valore normativo, ma perchè riepiloga massime di esperienza scientifica in materia), laddove all’art. 2 è consigliato che la valutazione psicologica da parte dei consulenti non può avere ad oggetto l’accertamento dei fatti per cui si procede che spetta esclusivamente all’Autorità giudiziaria. Infatti l’esperto deve esprimere giudizi di natura psicologica avuto anche riguardo alla peculiarità della fase evolutiva del minore.
La doglianza è pertanto infondata.

3. Nell’affrontare i motivi di censura attinenti al lamentato difetto di motivazione della sentenza, va fatta una premessa sulla regola di giudizio codificata nell’art. 533 c.p.p, comma 1.

Come già rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, la previsione normativa della regola di giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato (Sez. 2, Sentenza n. 7035 del 09/11/2012 Ud. (dep. 13/02/2013), Rv. 254025; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20371 del 11/05/2006 Ud. (dep. 14/06/2006), Rv. 234111; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30402 del 28/06/2006 Ud. (dep. 13/09/2006), Rv. 234374).

Ciò detto va osservato che per risolvere l’alternativa di fronte alla quale si trova il giudice, condanna od assoluzione, la valutazione del materiale probatorio che quest’ultimo è chiamato ad effettuare non ha una perfetta simmetria. Infatti, per la pronuncia di condanna è necessaria la certezza della responsabilità dell’imputato; per giungere alla assoluzione, invece, non è necessario che sia provata l’innocenza, ma è sufficiente che sussista il “ragionevole” dubbio.
Tale asimmetria riverbera i suoi effetti anche sul carico dell’onere probatorio gravante sulle parti, evidentemente maggiore per l’accusa, sia pubblica che privata.

4. In ordine alla censura del travisamento della prova relativa alle dichiarazioni dell’investigatore privato Ba., incaricato dalla C. di controllare lo sviluppo dei rapporti tra il marito ed il bambino, va chiarita la ragione per la quale le parti attribuiscono particolare importanza alla deposizione.

La sentenza di appello di assoluzione basa il dubbio sulla valenza probatoria delle dichiarazioni del piccolo T., sulla circostanza che la madre, in buona fede, abbia potuto influenzare il figlio nei ricordi e nella ricostruzione dei fatti.
Ebbene, tenuto conto che le prime confidenze del piccolo alla nonna furono fatte ai primi di giugno (2003), se la C. ebbe ad esternare i suoi sospetti all’investigatore in epoca antecedente, a maggio, ciò significherebbe che avendo già in tale epoca dei sospetti di abusi, poteva averli indotti, sebbene involontariamente, al figlio, così da rendere equivoche le confidenze fatte alla nonna, come detto, a giugno.
Ora, se è vero che in tema di testimonianza del minore vittima di violenza sessuale, i protocolli prescritti dalla cosiddetta Carta di Noto, lungi dall’avere valore normativo, si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni e la protezione psicologica del minore, come illustrato nelle premesse della Carta, sicchè la loro inosservanza non determina nè nullità nè inutilizzabilità della prova (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45607 del 05/11/2013 Ud. (dep. 13/11/2013), Rv. 258315), è anche vero che, è insegnamento di questa Corte di legittimità che in tema di reati sessuali, una volta accertata la capacità di comprendere e riferire i fatti della persona offesa minorenne, la sua deposizione deve essere inquadrata in un più ampio contesto sociale, familiare e ambientale, al fine di escludere l’intervento di fattori inquinanti in grado di inficiarne la credibilità (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8057 del 06/12/2012 Ud. (dep. 20/02/2013), Rv. 254741).
Pertanto correttamente la corte distrettuale ha svolto un’attenta analisi sulla possibilità che la esclusiva fonte di prova sia stata inquinata.

Ebbene dalla lettura della sentenza e degli atti processuali richiamati, nessuna contraddizione processuale appare essersi consumata. Infatti a specifica domanda del presidente del collegio il Ba. (l’investigatore), invitato ad indicare la data delle confidenze e dei sospetti di abusi esternatigli dalla madre del T., sua committente, esplicitamente risponde “verso fine maggio”. Non risulta aver indicato testualmente, in altra parte della deposizione, un diverso mese.

I ricorrenti, per collocare tale episodio nel mese di giugno (quindi dopo il racconto del minore alla nonna), svolgono un ragionamento basato sulla scansione temporale degli incontri tra la C. ed il Ba., collocando la confidenza all’ultimo incontro, presumibilmente a giugno.
Ora se è vero che il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, nel caso di specie il vizio non ricorre, in quanto la collocazione fatta dalla Corte della confidenza a fine maggio è il frutto di una esplicita dichiarazione del teste e della complessiva analisi dell’episodio fatta dal giudice di merito; di contro la collocazione del fatto a giugno è il frutto di un articolato ragionamento dei ricorrenti che seppur argomentato, non trova riscontro in una informazione certa e negletta presente in atti.

Peraltro la corte bolognese, a supporto della convinzione che la C. avesse, già prima delle confidenze fatte dal minore alla nonna dei sospetti di abusi, evidenzia la circostanza come per controllare i rapporti del minore con il padre avesse incaricato un investigatore; nonchè la circostanza che si era opposta a che il bambino dormisse a casa del padre, ciò a dimostrazione della scarsa fiducia che riponeva nel marito.

5. Insussistente è anche il lamentato travisamento delle dichiarazioni del dott.ssa B.. Sul punto la sentenza viene censurata laddove sembra far dire al perito che i ricordi del bambino gli erano stati indotti dalla madre.
Anche in tal caso soccorrono gli atti processuali richiamati dalle parti, laddove a proposito della possibilità che la madre, con le sue interviste al figlio, avesse potuto inquinare i ricordi del minore, nella relazione B. si legge: “Tuttavia la buona fede con la quale sono poste in essere le domande non scioglie il nodo della portata suggestiva e come tale inquinante delle interviste della madre a T.”.
Da tale dichiarazione, pertanto, si rileva ancora una volta come correttamente il giudice di appello abbia fatto una esatta valutazione delle prove raccolte, evidenziando come anche da tale passaggio della perizia si rilevasse il dubbio sulla valenza probatoria della narrazione del minore e del fatto che meri atti di accudimento fossero stati interpretati come comportamenti sessualmente orientati.

6. Inoltre, contrariamente all’assunto dei ricorrenti, nessuna sottovalutazione è stata fatta della registrazione ambientale svolta il 10/8/2003 nella casa dei nonni dove si trovavano l’imputato ed il minore.
La corte bolognese ha evidenziato come il tenore delle registrazioni, confuse e difficilmente intelleggibili e non erano in grado di chiarire se in quei pochi minuti effettivamente si fosse consumato un atto di masturbazione o piuttosto una normale attività di gioco.
Peraltro questa stessa Corte, in sede di annullamento con rinvio, aveva rilevato come la registrazione effettuata non apportava elementi decisivi perchè, per la cattiva percezione delle voci e dei rumori e che la interpretazione dei colloqui e dei luoghi ove si svolgevano era equivoca e compatibile sia con la tesi proposta dal ricorrente sia con quella accolta nella impugnata sentenza.

7. I ricorrenti hanno lamentato, inoltre, il vizio della motivazione, laddove a fronte di un narrato del piccolo T. connotato da precisione quanto alla connotazione sessuale dei comportamenti del padre (papa tirava il ciccio e glielo faceva diventare lungo; il riferimento alla “roba bianca”, ecc), aveva svalutato tali dichiarazioni facendo appello ad un’attività intrusiva della madre.
La censura è infondata.

Va premesso che l’annullamento della prima sentenza di appello è stato determinato proprio dal dubbio, non sciolto dai giudici di merito, circa la genesi delle dichiarazioni del minore.
Questa Corte, nell’annullare la sentenza, ha precisato che “I Giudici del rinvio dovranno effettuare una ricostruzione, non possibile in questa sede per i limiti cognitivi della Cassazione, dei fatti per cui è processo a cominciare dalla prima confidenza del piccolo (che non è chiaro se sia stata effettuata alla madre o alla nonna); ciò al fine di verificare se l’arricchimento del narrato di T., che (contrariamente a ciò che avviene con i bambini della sua età a causa della nota amnesia infantile) più passa il tempo più diventa loquace, sia dipesa dalla corretta abilità degli interroganti o dai loro metodi intrusivi che hanno interferito sulla emersione dei ricordi”.

Ebbene la corte di merito, lungi dall’eludere l’invito della Cassazione, ha motivato sul punto in modo esaustivo, coerente e non manifestamente illogico.
Ha precisato la corte bolognese che le prime confidenze del minore furono fatte alla nonna, sig.ra M., nei primi giorni di giugno; immediatamente tali confidenze erano state portate a conoscenza della madre, sig.ra C., la quale invece di affidare il caso alle autorità, di sua iniziativa ebbe a registrate tre interviste al figlio nei giorni 9, 10 e 11 giugno 2003.
Ha osservato la corte che tali condotte erano già di per sè anomale ed a rischio di inquinamento della fonte di prova.
Vero è che il minore aveva confermato le dichiarazioni anche in sede di due audizioni protette, ma in tali circostanze si era verificata una situazione non comune e cioè che il racconto del minore, con il trascorrere del tempo, si era andato arricchendo di particolari, con un recupero di memoria non consueto in bambini in tenera età, tanto vero che il riferimento alla “roba bianca” compariva per la prima volta in sede di seconda audizione protetta, nel marzo del 2004.
La corte distrettuale ha ritenuto che l’attività intrusiva della C. poteva avere inquinato le dichiarazioni del figlio, sia originarie che successive.

Vero è che la corte, nel fare tale affermazione usa termini quali “non può escludersi” “è sostenibile”, “verosimilmente”, ecc, ma l’affermazione di base trova espliciti riscontri processuali nella obiettiva circostanza che è stata la C., prima ancora della pubblica autorità, a registrare tre interviste del figlio.
Inoltre dalla verbalizzazione del colloqui del T. del febbraio 2004, la dott.ssa B. ricorda che allorquando il bambino aveva fatto riferimento al “ciccio del papa”, ad esplicita domanda, il T. aveva dichiarato che quelle cose le aveva riferite anche alla mamma, precisando che ne aveva parlato “tanto”. Ciò dimostrava, secondo la corte di appello bolognese che l’attività intrusiva della C. non era stata limitata alla genesi delle prime dichiarazioni, ma era continuata anche successivamente, determinando un rischio di inquinamento concreto ed effettivo.

8. I motivi di ricorso nel loro complesso, in sostanza, censurano la sentenza evidenziando come a fronte di esplicite dichiarazioni del minore, colorate da riferimenti a specifiche circostanze, la corte di merito aveva svilito la loro valenza probatoria sulla base di un ipotetico e non provato inquinamento della fonte di prova, giungendo ad affermare che meri atti di accudimento genitoriale erano stati confusi per condotte sessualmente orientate.

E’ noto che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la condanna al là di ogni ragionevole dubbio implica, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (ex plurimis, Cass. Sez. 4, Sentenza n. 30862 del 17/06/2011 Ud. (dep. 03/08/2011), Rv. 250903; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 31456 del 21/05/2008 Ud. (dep. 29/07/2008), Rv. 240763).
Nel caso che ci occupa, come evidenziato dal giudice di merito, il dubbio non è ancorato a dati congetturali, ma concreti ed effettivi.
Premesso che la vicenda è calata nell’ambito di un rapporto altamente conflittuale tra la C. e l’imputato (con separazione in corso), la moglie ha manifestato immediatamente sospetti e sfiducia nei confronti del marito, tanto da incaricare un investigatore privato di indagare sui comportamenti del marito; raccolte le confidenze del minore, aveva effettuato tre interviste, registrandole; infine continuava a parlare con il figlio (“tanto”) della vicenda.

Tali condotte manifestano una non comune intraprendenza investigativa della C., che concretamente e non solo ipoteticamente è stata idonea, secondo la corte di merito, all’inquinamento probatorio.
Pertanto con la pronuncia della sentenza impugnata è stata fatta una corretta applicazione del canone di cui all’art. 533 cod. proc. pen. per il quale, in presenza di un ragionevole dubbio, deve essere pronunciata sentenza di assoluzione.

Al rigetto del ricorso delle parti civili segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. , la condanna delle stesse al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna le parti civili ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2015

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