Annullamento del Matrimonio e assegno di mantenimento – Cassazione Civile, Sez. I, 18 aprile 2013 n. 9484

L’accertamento dei fatti compiuto dal tribunale ecclesiastico esaurisce la propria vincolatività nel giudizio di delibazione, mentre in quello relativo alla verifica dei requisiti per il riconoscimento dell’assegno alimentare, stabiliti nell’art. 129 bis cod. civ., l’accertamento della mala fede del coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio e della buona fede dell’altro può essere svolto anche attraverso un’autonoma e diversa valutazione del medesimo materiale probatorio secondo le regole del processo civile, eventualmente disattendendo gli obiettivi elementi di conoscenza documentati negli atti del giudizio ecclesiastico, risultando del tutto irrilevante l’esclusione della “riserva mentale” (intesa come atteggiamento mentale inerente alla formazione della volontà di contrarre matrimonio a certe condizioni e con l’esclusione di taluni “bona matrimonii”), risultando invece cruciale la natura della condizione soggettiva, la sua diretta e pressochè esclusiva incidenza sull’effettività del vincolo e del rapporto matrimoniale, la piena consapevolezza della sua pervasività (desumibile dall’accertata impossibilità di assumere gli “onera matrimonii” a causa di essa) e della potenzialità impeditiva all’instaurazione della relazione coniugale eterosessuale.. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente -
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17192-2008 proposto da: B.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso l’avvocato LAGANA’ GIANCARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato ERMINI SERGIO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -

contro

M.C. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA COLA DI RIENZO 92, presso l’avvocato NARDONE ELISABETTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELA PILLI MARCUCCI, giusta procura speciale per Notaio dott. MASSIMO PALAZZO di PONTASSIEVE (FIRENZE) – Rep. n. 63146 del 17.7.2008;
- controricorrente -

avverso la sentenza n. 668/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato SERGIO ERMINI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato ARTURO BENIGNI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

All’esito del giudizio di riconoscimento della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario intercorso tra C. B. e M.C., conclusosi con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4387 del 2000, con successiva causa instaurata davanti al Tribunale di Firenze è stato dichiarato sussistente l’obbligo del B. di corrispondere definitivamente alla M. l’assegno alimentare nella misura di 850,00 Euro mensili, a decorrere dall’aprile 2000, nonchè l’indennità, consistente in tre annualità del predetto assegno, prevista dall’art. 129 bis cod. civ..
Avverso tale pronuncia ha proposto appello il B., deducendo che nella specie doveva trovare applicazione l’art. 129 cod. civ., attesa la sua buona fede, ed ha resistito la M., proponendo altresì appello incidentale.
La Corte d’Appello di Firenze, per quel che interessa, ha rigettato l’impugnazione principale sulla base delle seguenti osservazioni: la pronuncia del Tribunale Ecclesiastico aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario contratto tra le parti per incapacità del B. di assumere le obbligazioni essenziali del matrimonio, a causa di un’anomalia psichica. La Corte d’Appello di Firenze aveva dichiarato l’efficacia di tale pronuncia ed aveva posto a carico del B. in via provvisoria, l’assegno alimentare di L. 1.600.000, ritenendo la correlazione tra l’anomalia psichica, quale vizio del nubendo e l’errore del coniuge.
La Corte, confermando la decisione del Tribunale di Firenze, nel giudizio promosso dal B., aveva correttamente ritenuto provato, alla luce degli atti del giudizio rotale, delle perizie ivi disposte, dei documenti prodotti dalla parte convenuta e della mancata contestazione dell’appellante che quest’ultimo fosse perfettamente a conoscenza della sua anomalia psichica al momento del matrimonio ma non ne avesse informato la M. o quanto meno non l’avesse resa percepibile alla nubenda, la quale non avrebbe contratto matrimonio ove l’avesse saputo.
La debenza dell’assegno alimentare era giustificata dall’impossibilità di svolgere attività lavorative da parte della beneficiaria in quanto affetta da cecità totale.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione B. C., affidandosi a due motivi. Ha resistito con controricorso M.C.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Nel primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere, la sentenza impugnata, considerato che, in sede di delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico di nullità del matrimonio concordatario, la causa d’invalidità è stata riconosciuta in un’anomalia psichica del B. tale da renderlo incapace di stabilire il rapporto interumano in cui consiste l’essenza stessa del matrimonio.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 4387 del 2000 con la quale si è concluso con decisione definitiva il predetto giudizio di delibazione, ha ulteriormente chiarito che la delibazione non trovava impedimento nei principi fondamentali dell’ordinamento italiano, dal momento che la nullità in questione, discendendo da una grave inettitudine del soggetto ad intendere i doveri del matrimonio, in relazione al momento della manifestazione del consenso, non si sarebbe discostata dalle ipotesi d’invalidità contemplate negli artt. 120 e 122 cod. civ., con conseguente esclusione della contrarietà all’ordine pubblico della sentenza oggetto di delibazione.
Pertanto, nell’attuale giudizio relativo all’assegno alimentare e all’indennità ex art. 129 bis cod. civ., la Corte d’appello, non avrebbe correttamente valutato tale causa di nullità, avendo ritenuto imputabile il B. della predetta invalidità per essere stato a conoscenza della propria anomalia psichica e per non averne messo a conoscenza la coniuge, trascurando, in tal modo, di considerare che il matrimonio era stato dichiarato nullo non a causa della rilevata anomalia psichica ma per la grave inettitudine del ricorrente ad intenderne i doveri al momento della manifestazione del consenso, con conseguente esclusione della condizione soggettiva della malafede.
Ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. veniva svolto il seguente quesito di diritto: “Se al caso di specie, e cioè alla ipotesi di nullità del matrimonio per incapacitas assumendi onera matrimonii, poichè la nullità discende da una grave inettitudine del soggetto ad intendere i doveri del matrimonio, in relazione al momento della manifestazione del consenso, si applichi il disposto dell’art. 120 cod. civ. (incapacità d’intendere e volere) e, correlativamente, l’art. 129 cod. civ. (diritti dei coniugi in buona fede), invece del disposto dell’art. 122 cod. civ. (violenza ed errore) e dell’art. 129 bis (responsabilità del coniuge in malafede e del terzo) che è stato posto a base della sentenza impugnata”.

Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di motivazione nella pronuncia impugnata per aver ritenuto che l’indennità provvisoria posta a carico del B., sia stata determinata, nella sentenza della Corte d’appello di delibazione del giudizio ecclesiastico (e dalla successiva pronuncia della Corte di Cassazione n. 4387 del 2000) dalla correlazione tra il vizio di mente del B. e l’errore dell’altro coniuge, mentre la sentenza rotale oggetto di delibazione non attribuisce alcun rilievo allo stato psichico della M., avendo dichiarato la nullità del matrimonio esclusivamente per incapacità del B. ad assumere i bona matrimonii. Poichè la causa di nullità non può essere modificata in sede di delibazione, risulta evidente l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione.
Preliminarmente devono essere affrontate le due censure d’inammissibilità del primo motivo di ricorso avanzate dalla parte controricorrente.
La prima, relativa al difetto di specificità del motivo e alla mancanza di collegamento causale con il decisum della sentenza impugnata, deve essere respinta, dal momento che, come esplicitamente sintetizzato nel quesito di diritto, il ricorrente censura il procedimento logico giuridico seguito dalla Corte d’Appello per pervenire al riconoscimento dell’assegno alimentare, ritenendo che la causa di nullità accertata in sede rotale e delibata in via definitiva con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4387 del 2000 non fosse compatibile con i requisiti soggettivi d’imputabilità e malafede richiesti dall’art. 129 bis cod. civ..
Anche il secondo profilo d’inammissibilità, fondato sull’eccezione di giudicato relativa alla definitività del giudizio di riconoscimento della sentenza ecclesiastica sulla causa di nullità del matrimonio, deve essere respinto, attesa la mancanza di pregiudizialità di tale accertamento giudiziale e la piena autonomia del presente procedimento in quanto scrutinabile esclusivamente attraverso i parametri normativi definiti dal codice civile.

Deve, infine, essere esaminata l’eccezione di giudicato formulata dalla parte controricorrente. Al riguardo viene – affermato che la sentenza della Corte d’Appello con la quale è stata delibata la sentenza rotale, ha valore di giudicato anche in ordine al positivo accertamento dei requisiti di applicazione dell’art. 129 bis cod. civ..
L’eccezione deve essere disattesa dal momento che il giudicato in ordine a tale pronuncia può formarsi esclusivamente in ordine al riconoscimento della sentenza rotale e non per la parte in cui viene disposto ai sensi della L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 2, un assegno alimentare in via meramente provvisoria, nell’ambito del giudizio di delibazione.
La natura precaria e temporanea del provvedimento, recentemente ribadita dalla giurisprudenza di questa sezione al fine di escludere l’ammissibilità del ricorso per cassazione (Cass. 8857 del 2012) avverso di esso, risulta espressamente affermata dall’art. 8 nella parte in cui, dopo aver previsto la possibilità di adottare un provvedimento economico provvisorio, rimanda “al giudice competente per la decisione sulla materia”. Ne consegue la totale inidoneità al giudicato della statuizione in oggetto.
Il principio da ultimo esposto costituisce, peraltro, la premessa logica per l’esame della fondatezza del primo motivo.
L’accertamento dei fatti compiuto dal tribunale ecclesiastico esaurisce la propria vincolatività nel giudizio di delibazione (Cass. 2467 del 2008), mentre in quello relativo alla verifica dei requisiti per il riconoscimento dell’assegno alimentare, stabiliti nell’art. 129 bis cod. civ., l’accertamento della mala fede del coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio e della buona fede dell’altro può essere svolto anche attraverso “un’autonoma e diversa valutazione del medesimo materiale probatorio secondo le regole del processo civile, eventualmente disattendendo gli obiettivi elementi di conoscenza documentati negli atti del giudizio ecclesiastico” (Cass. 2467 del 2008).
In particolare, costituisce elemento pregiudiziale di discrimine, al fine di valutare la buona fede dei coniugi, la riconducibilità ad entrambi della causa di nullità del matrimonio (art. 129 cod. civ.). Quando si verifica quest’ultima ipotesi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni un assegno a favore dell’altro.
L’articolo 129 bis cod. civ. richiede, invece, il positivo accertamento dei seguenti ulteriori requisiti: l’imputabilità esclusiva della nullità del matrimonio al coniuge tenuto alla  corresponsione dell’assegno, la sua mala fede, la buona fede dell’avente diritto.
Lo scrutinio concreto del riscontro delle condizioni previste dalla legge non può fondarsi sulle categorie di nullità del matrimonio stabilite dal diritto canonico, come indicato dal ricorrente ma può tenere conto dell’accertamento dei fatti compiuto in quella sede, pur dovendosi evidenziare che il giudicato, nella specie formatosi con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4387 del 2000, riguarda esclusivamente l’oggetto dell’accertamento compiuto, consistente nella non contrarietà all’ordine pubblico della sentenza delibata.
Pertanto la riconduzione del giudice ecclesiastico della nullità accertata in un ambito non riconducibile alla riserva mentale, non esclude, come invece ritiene la parte ricorrente, l’accertamento positivo della malafede del coniuge cui sia imputabile tale nullità secondo i parametri normativi dell’ordinamento positivo italiano.
Le norme da considerare sono l’art. 120 cod. civ. che prefigura un’ipotesi peculiare di nullità del matrimonio derivante da incapacità d’intendere e volere al momento della celebrazione e l’art. 122, che disciplina le ipotesi di annullamento del matrimonio per vizio del consenso ed, in particolare, per quel che interessa, prevede che il matrimonio possa essere dichiarato nullo se il consenso di uno dei coniugi è viziato da errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge.
L’errore può derivare dall’esistenza di una malattia psichica o fisica o da un’anomalia o deviazione sessuale, tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale.
L’ulteriore indefettibile condizione consiste nell’accertare che la conoscenza dell’errore avrebbe escluso il consenso al vincolo matrimoniale.
Le due norme vengono in considerazione, alla luce dell’indagine che si sta svolgendo come parametri astratti, senza tenere conto delle condizioni fattuali di applicabilità indicate nell’ultimo comma dell’una (art. 120 cod. civ.) e dell’altra.
Da tale quadro normativo emerge che soltanto il positivo riconoscimento della derivazione causale della nullità dall’incapacità d’intendere e volere al momento della celebrazione del matrimonio, può portare ad escludere in via generale l’applicabilità dell’art. 129 bis cod. civ. in quanto produttivo di una condizione soggettiva incolpevole, d’incapacità, temporanea o definitiva, di prestare il consenso, di comprendere il proprio stato e le conseguenze dell’atto.

Le altre cause, riconosciute in sede ecclesiastica e delibate positivamente sotto il profilo della compatibilità con l’ordine pubblico, o direttamente accertate dal giudice italiano, devono essere valutate concretamente alla luce dei parametri normativi stabiliti agli artt. 129 e 129 bis cod. civ. La giurisprudenza di legittimità ha diversamente modulato le condizioni di applicabilità di quest’ultima norma, richiedendo per il coniuge cui sia imputabile la nullità che “Ai fini della responsabilità, ex art. 129 bis cod. civ., del coniuge in malafede cui sia imputabile la nullità del matrimonio, non è sufficiente la riferibilità oggettiva della causa di invalidità e non basta neppure la consapevolezza, certa o probabile, di essa, occorrendo altresì un comportamento ulteriore, commissivo od omissivo, del responsabile, contrario al generale dovere di correttezza, che abbia contribuito alla celebrazione del matrimonio nullo (ancorchè non sorretto dall’elemento psicologico proprio della fattispecie penale), la cui dimostrazione può anche derivare direttamente dalla sentenza ecclesiastica di accertamento dell’invalidità – la quale fa stato anche in ordine agli accertamenti di fatto che costituiscono il presupposto della finale decisione – o dalla utilizzazione che il giudice faccia della facoltà di desumere elementi di convincimento dalle risultanze della sentenza medesima in ordine a punti non coperti dal giudicato. (Cass. n. 348 del 1993); per l’altro coniuge che “Al fine dell’obbligazione indennitaria del coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio, ai sensi dell’art. 129 bis cod. civ., il requisito della buona fede dell’altro coniuge, da presumersi fino a prova contraria, si identifica nella incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale, nella concreta vicenda, è stata pronunciata la nullità”; (Cass. 1780 del 1996).

Nella specie, il ricorrente, secondo l’accertamento compiuto davanti al tribunale ecclesiastico, era affetto fin da prima della celebrazione del matrimonio da un’anomalia psichica produttiva di una grave inettitudine ad assolvere agli “onera matrimonii”. Nè dal giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica nè dalle difese del ricorrente è possibile inferire che tale causa di nullità possa avere determinato una condizione d’incapacità d’intendere e di volere del B. al momento della celebrazione del matrimonio, e tanto meno d’ inconsapevolezza della propria situazione soggettiva complessiva, essendo emersa, al contrario (l’inequivoca conoscenza di tale “affezione” e la mancata contestazione di tale specifica circostanza da parte del ricorrente. L’accertamento di fatto compiuto dalla sentenza impugnata su tale punto non è stato oggetto di specifica censura. Pertanto, è alla luce di tale accertata piena conoscenza della propria condizione e pratica di vita, incompatibile con l’assunzione del ruolo coniugale, che bisogna valutare l’esistenza del requisito della mala fede.
Al riguardo, come già osservato, del tutto irrilevante, è l’esclusione della “riserva mentale”, (intesa come atteggiamento mentale inerente alla formazione della volontà di contrarre matrimonio a certe condizioni e con l’esclusione di taluni “bona matrimonii”), risultando invece cruciale la natura della condizione soggettiva, la sua diretta e pressochè esclusiva incidenza sull’effettività del vincolo e del rapporto matrimoniale, la piena consapevolezza della sua pervasività (desumibile dall’accertata impossibilità di assumere gli “onera matrimonii” a causa di essa) e della potenzialità impeditiva all’instaurazione della relazione coniugale eterosessuale.
La malafede, in conclusione, non si evince soltanto dalla conoscenza della peculiarità della propria condizione soggettiva ma dall’assunzione volontaria (non ravvisandosi, come già evidenziato, una situazione d’incapacità d’intendere e di volere) di un impegno con essa palesemente incompatibile, occultandone l’esistenza all’altro coniuge. In questo ulteriore comportamento omissivo di natura relazionale in quanto direttamente incidente sulla scelta e sulla condizione esistenziale dell’altro coniuge, può cogliersi il nucleo di maggiore gravità del comportamento contrario a correttezza del ricorrente, così come richiesta dall’orientamento di legittimità sopra descritto. Per quanto riguarda la posizione dell’altro coniuge, l’ignoranza dell’accertata condizione impeditiva all’assunzione degli “onera matrimonii” è del tutto incontestata.

Del pari indubitabile la riconducibilità di tale condizione (non riducibile, alla luce dell’accertamento eseguito in sede rotale e definitivamente delibato con la sentenza n. 4387 del 2000 alla mera omosessualità) ad un errore sulle qualità personali dell’altro coniuge consistente in “un’anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale” (art. 122 c.c., comma 3, n. 1) che, se conosciuto avrebbe escluso la prestazione del consenso al matrimonio.
A fini di completezza deve essere osservato che la stessa Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 4387 del 2000 ha precisato che la causa di nullità accertata in sede rotale in ordine al matrimonio B. – M. “non si discosta dalle ipotesi d’invalidità contemplate dagli artt. 120 e 122 cod. civ (…) . E non rileva in contrario la diversità di disciplina di siffatta invalidità (ex art. 122 cod. civ. n.d.r.) in t punto di legittimazione attiva e di rilevanza ostativa della coabitazione”.

L’esame del secondo motivo risulta del tutto assorbito dal rigetto del primo.

Al rigetto del ricorso segue l’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese del presente procedimento. Deve, altresì, procedersi alla liquidazione delle spese del procedimento incidentale svoltosi davanti alla Corte d’Appello ex art. 373 cod. proc. civ., previa declaratoria di ammissibilità dei documenti prodotti a tale esclusivo fine (Cass. 7248 del 2009), essendo stato al riguardo di recente ribadito anche dalla giurisprudenza di questa sezione che “La liquidazione delle spese della procedura incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza, prevista dall’art. 313 cod. proc. civ., spetta al giudice di legittimità e non al giudice di appello (ad eccezione della cassazione con rinvio al giudice del merito, al quale competerà la regolazione delle spese anche del giudizio di cassazione) (Cass. 16121 del 2011).

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo.

Condanna il ricorrente a pagare in favore della parte resistente le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 3700,00 di cui Euro 3500,00 per compensi, nonchè al pagamento delle spese del procedimento ex art. 373 cod. proc. civ. liquidate in Euro 1200,00 di cui 700,00 per onorari, 300,00 per diritti e 100,00 per spese oltre ad accessori di legge.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2013

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