Non configurabile il concorso formale tra bancarotta fraudolenta e bancarotta impropria ex art. 223 comma 2 n. 2 L. Fall. – Cassazione Penale, Sez. V, 17 marzo 2014 n. 12427

Non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta di cui allo schema ex art. 216 Legge Fallimentare e quello di bancarotta impropria di cui al successivo art. 223 comma 2 n. 2, dovendo considerarsi il secondo assorbito nel primo quando l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta, poichè, mentre non è concepibile la realizzazione di un reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale, che non si accompagni alla volontà deliberata o quanto meno all’accettazione del rischio che la condotta costituisca causa – unica o concorrente – del fallimento (che è elemento costitutivo del reato), in tale atteggiamento psicologico si concreta anche l’elemento soggettivo della bancarotta impropria.
Può invece configurarsi il concorso materiale, ma solo se, oltre ad azioni comprese nello specifico schema della bancarotta fraudolenta, si siano verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi che – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico-finanziario della società – siano stati causa del fallimento.
Sussiste inoltre il reato di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 comma 1 n. 2 non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (su tale ultimo punto la Suprema Corte precisa che la scritture contabili poste dell’attivo inattendibili e inesistenti, e che ciò aveva impedito al Curatore di ricostruire con facilità e completezza il patrimonio ed il movimento di affari della società). [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDI Alfredo M. – Presidente -
Dott. BEVERE Antonio – Consigliere -
Dott. FUMO Maurizio – Consigliere -
Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere -
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da: S.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza pronunciata dalla corte di appello di Milano l’8.3.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza pronunciata l’8.3.2012 la corte di appello di Milano, confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 10.11.2011, aveva condannato S.S., per i reati di cui alla L. Fall., art. 216, nn. 1) e 2), art. 223, comma 2, n. 2), art. 219, comma 1, n. 1), in relazione al fallimento della “S.S.B. Italiana Costruzioni s.r.l.”; art. 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia.

Secondo l’ipotesi accusatoria, confermata in primo ed in secondo grado, il S., in qualità di amministratore di fatto della società fallita, con la sua condotta, consistita nell’avere utilizzato fatture false attestanti operazioni inesistenti per prestazioni fornite alla società fallita da società inesistenti o non risultanti all’anagrafe tributaria, ha integrato quattro fattispecie delittuose ed, in particolare: 1) il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale; 2) il reato di bancarotta fraudolenta documentale per falsificazione delle scritture contabili della società; 3) il reato di bancarotta impropria per avere cagionato il fallimento della società con operazioni dolose, avendo utilizzato le fatture innanzi indicate per gli anni dal 2001 al 2006 al fine di compensare i ricavi conseguiti; 4) il reato in materia fiscale di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando violazione di legge, travisamento dei fatti e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto, 1) con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, non risulta dimostrato che l’obbligazione simulata sia stata riconosciuta dal soggetto fallito, anche per acquiescenza, con l’attribuzione ad essa di rilevanza causale nella procedura fallimentare, condizione per la punibilità della condotta, laddove la semplice esposizione fittizia di costi sostenuti non incide sulla garanzia patrimoniale dei creditori; 2) in relazione alla bancarotta fraudolenta documentale, si tratta di una fattispecie in concreto non configurabile, perchè l’imputato ha subito evidenziato la falsità delle scritture contabili, che, limitata alle false fatture, non ha reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società, trattandosi, peraltro, di falsità accertata già prima della dichiarazione di fallimento dalla Guardia di Finanza; 3) in applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15, c.p., il S. deve essere dichiarato responsabile solo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, che si configura come reato speciale rispetti agli atri reati fallimentari ritenuti sussistenti; 4) in ordine al reato di bancarotta impropria, del pari esso, stante la sua natura di ipotesi residuale nella previsione del legislatore, non appare configurabile nel caso in esame, sia perchè la condotta dell’imputato è già sussumibile nel paradigma normativo della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1), sia perchè non risulta dimostrato che il fallimento sia stato determinato dalla condotta addebitata al S., difettando, pertanto, la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in questione.

3. Il ricorso va parzialmente accolto, per le seguenti ragioni.

4. Al riguardo, va, innanzitutto, rilevato che nell’esaminare i motivi di ricorso si procederà ad una lettura integrata delle sentenze di primo e di secondo grado, da considerare un prodotto unico, in quanto la decisione della corte territoriale e quella del tribunale hanno utilizzato criteri omogenei di valutazione e seguito un apparato logico argomentativo uniforme (cfr. Cass., sez. 3, 1.2.2002-12.3.2002, n. 10163, Lombardozzi D., rv. 221116).

5. Orbene fondato appare il motivo di impugnazione con cui si deduce l’impossibilità di configurare nel caso in esame l’ipotesi di reato di bancarotta impropria.
Costituisce, infatti, costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, quello secondo cui non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, che deve considerarsi assorbito nel primo quando, come nel caso in esame, l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta, poichè, mentre non è concepibile la realizzazione di un reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale, che non si accompagni alla volontà deliberata o quanto meno all’accettazione del rischio che la condotta costituisca causa – unica o concorrente – del fallimento, che è elemento costitutivo del reato, in tale atteggiamento psicologico si concreta anche l’elemento soggettivo della bancarotta impropria.

Esclusa, dunque, la possibilità di configurare il concorso formale tra la bancarotta fraudolenta patrimoniale e la bancarotta impropria ai sensi della L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, il concorso materiale, invece, può configurarsi, ma solo se, oltre ad azioni comprese nello specifico schema della bancarotta “ex” L. Fall., art. 216, si siano verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi, assenti nel caso in esame, i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico-finanziario della società – siano stati causa del fallimento (cfr. Cass., sez. 5^, 5.7.2007, n. 35066, rv. 237716; Cass., sez. 5^, 19.5.2010, n. 34559, rv. 248167).

6. Nel resto il ricorso va rigettato.

7. Infondato, invero, appare il motivo di ricorso volto a contestare la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Ed invero, come affermato da autorevole e condivisibile dottrina, la diminuzione illecita del patrimonio del debitore può avvenire non solo attraverso la sottrazione di attività, ma anche “gonfiando” le passività, in modo da assottigliare la quota di garanzia disponibile per i creditori, condotta che si verifica tutte le volte in cui, in relazione allo stato patrimoniale del soggetto fallito, si fanno apparire debiti od obblighi che, in realtà non esistono, trattandosi di operazioni mediante le quali viene sottratta o distratta la quota di patrimonio corrispondente al debito fittizio (cfr., Cass., sez. 5^, 20.4.2007, n. 29336, rv. 237255), con conseguente pregiudizio del ceto creditorio alla veridica indicazione del passivo (cfr. Cass., sez. un., 27.1.2011, n. 21039, rv. 249669).

La fattispecie concreta portata all’attenzione di questa Corte ben si adatta allo schema testè delineato, in quanto risulta pacifica l’esposizione di passività inesistenti, realizzata attraverso l’inserimento nelle scritture contabili di fatture false passive, riguardanti prestazioni in realtà mai ricevute dalla società fallita, essendo inesistenti i soggetti che nelle suddette fatture apparivano come fornitori.

Ciò appare sufficiente ad affermare la sussistenza del delitto di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1).
Anche a voler seguire, infatti, la tesi menzionata dal ricorrente, che, nel ricostruire la nozione di “passività” penalmente rilevante, opera una distinzione tra gli elementi patrimoniali negativi costituiti, in linea di principio, dai debiti, ed i componenti negativi del reddito, rappresentati dai costi sostenuti, attribuendo solo ai primi la natura di “passività” in senso tecnico, in ogni caso il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1), risulta consumato con la registrazione di inesistenti costi sostenuti dalla società fallita, destinata a dissimulare la destinazione illecita data ad attività già sottratte (cfr. nuovamente la già citata Cass., sez. 5^, n. 29336, rv. 237255), senza che ci sia bisogno di dimostrare, ai fini dell’integrazione degli elementi costitutivi della suddetta fattispecie delittuosa, perchè estranea alla previsione normativa, quale sia stata la destinazione effettiva di tali attività.

L’ulteriore principio richiamato dal ricorrente a sostegno del suo assunto, infine, attiene ad un caso, completamente diverso da quello in esame, in cui il Supremo Collegio, dovendo affrontare il problema del concorso del terzo creditore fittizio, al quale vengano rilasciate dal fallito cambiali o scritture di ricognizione ovvero di assunzione di obbligazioni simulate da parte dell’imprenditore insolvente, nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, ha affermato che il reato si considera integrato soltanto se e quando il fallito riconosca – anche mediante acquiescenza – nella procedura fallimentare la passività inesistente e le conferisca rilevanza concorsuale.
In questo caso, infatti, il creditore fittizio (figura che non ricorre nel caso in esame, in cui i creditori non vantano un credito fittizio nei confronti della società fallita, ma sono del tutto inesistenti) viene a rispondere quale concorrente nel reato proprio del fallito e, se non vi è concorso con costui, sarà responsabile del reato di presentazione di domanda di ammissione al passivo di credito fraudolentemente simulato (cfr., Cass. sez. 5^, 3.10.1989, n. 2781, rv. 183521).

8. Del pari infondato deve ritenersi il motivo di ricorso con il quale si contesta la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2).
Al riguardo appare sufficiente rammentare che il bene giuridico protetto dalla suddetta previsione normativa non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell’impresa, concernendo, piuttosto, una conoscenza di tali vicende, documentata e giuridicamente utile, in relazione all’interesse dei creditori ad apprendere nei loro termini reali le vicende e la consistenza del patrimonio della società destinato a soddisfare le loro regioni (c.d. ostensibilità della situazione patrimoniale del debitore: cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5^, 18/05/2005, n. 24333, rv.232212; Cass., sez. un., 27/01/2011, n. 21039, rv. 249669).

Bene giuridico che, nel caso in esame, è stato vulnerato dalla condotta dell’imputato, in quanto, come sottolineato da entrambi i giudici di merito, il curatore fallimentare, anche grazie alla attività di indagine della guardia di finanza ed alla collaborazione dell’imputato, ebbe a rilevare l’assoluta inattendibilità dei dati di bilancio – confermata dallo stesso S., il quale gli aveva rivelato come le poste dell’attivo erano “complessivamente inattendibili, per non dire inventate” (cfr pp. 4 – 5 della sentenza di primo grado) – che gli ha impedito di ricostruire con facilità e completezza il patrimonio ed il movimento di affari della società.
Come è noto, infatti, per giurisprudenza costante della Suprema Corte, condivisa dal Collegio, sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5^, 19/04/2010, n. 21588, rv. 247965; Cass., sez. V, 18/05/2005, n. 24333, rv.232212).

9. Premesso, inoltre, che l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui si discute può essere realizzata anche a mezzo di false registrazioni nei libri e nelle scritture contabili (cfr. Cass., sez. 5^, 26/10/2004, n. 45431, rv. 230353), tale reato può concorrere con quello di bancarotta fraudolenta documentale (cfr. Cass., sez. 5^, 20.4.2007, n. 29336, rv. 237255), così come, stante la differenza dei beni giuridici protetti, è possibile configurare il concorso formale tra i reati in materia fallimentare ed il reato fiscale pure addebitato al S., come da tempo affermato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. 5^, 26/10/2004, n. 45431, rv. 230353Cass., sez. 5^, 25.11.1998, n. 1842, rv. 212352; Cass., sez. 5^, 1/7/1993, n. 7177, rv. 194615).

10. Va, infine, rilevato che il riconoscimento della recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale ex art. 99 c.p., comma 4, operato, all’esito di un approfondito giudizio dal giudice di primo grado, impedisce di ritenere estinto per prescrizione il reato fiscale di cui al capo B) dell’imputazione.

11. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, l’impugnata sentenza va annullata senza rinvio in relazione al reato di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 223, comma 2, n. 2), perchè il fatto non sussiste, con conseguente trasmissione degli atti ad altra sezione della corte di appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio da infliggere all’imputato in relazione ai reati residui e fermo restando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata per tutti gli altri profili non investiti dalla pronuncia di annullamento, il parziale accoglimento delle ragioni del ricorrente comporta che quest’ultimo non sia condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 223, comma 2, n. 2), perchè il fatto non sussiste e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per la rideterminazione della pena per i reati residui.
Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2014

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