Rugby: accertamento penalistico della colpa sportiva e ruolo solo complementare della scriminante del rischio consentito [Cassazione Penale, sez. IV, 19 mag 2023 n. 21452]

La verifica della colpa sportiva non può prescindere dagli ordinari criteri stabiliti dall’art. 43 comma 3 del Codice Penale, secondo cui il delitto «è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline», dovendosi in particolare verificare l’eventuale violazione della regola cautelare – generica o specifica – non corrispondente alla regola tecnico-sportiva in astratto applicabile, utilizzando i consueti criteri di accertamento della responsabilità penale nei reati caratterizzati dall’evento, mediante riscontro del fatto dannoso (azione e nesso causale) e della colpevolezza dell’agente sotto il profilo del dolo o della colpa.
Infatti:

  1. il principio del “rischio consentito”, che corrisponde a quello accettato dall’atleta in relazione alle regole tecniche della disciplina sportiva di riferimento, la cui esorbitante violazione ricondurrebbe la condotta antisportiva nell’area del penalmente rilevante essendone derivata una lesione non previamente accettata dall’atleta, non risolve il problema di delineare i criteri giuridici da seguire per affermare se il fatto lesivo sia in concreto una condotta tipica penalmente o civilmente rilevante, proprio perché lo sport costituisce di per sè attività lecita, rispetto alla quale i partecipanti accettano di correre determinati rischi, sempre che la loro integrità fisica non sia da altri deliberatamente lesa o danneggiata colposamente a seguito della violazione di predeterminate regole cautelari;
  2. per la colpa generica in particolare – ma anche per la colpa specifica, in caso di regole cautelari elastiche, ossia non dettagliate ma determinate in base a circostanze contingenti – in sede di accertamento della colpevolezza il giudice deve necessariamente indicare la regola cautelare violata preesistente al fatto e quindi specificare quale sia, in concreto ed “ex ante”, il comportamento doveroso prescritto sulla base delle dovute diligenza, prudenza e perizia;
  3. nella valutazione della colpa sportiva assume centralità l’analisi della situazione di fatto in rapporto al contesto e allo sviluppo dinamico dell’azione lesiva, poiché gli atleti fanno affidamento su atti degli avversari aventi caratteristiche e intensità diverse in ciascun ambito (maggiore per i professionisti rispetto ai dilettanti, minore per gli allenamenti rispetto alle gare ecc.), cui potrà conseguire l’operatività di una diversa regola cautelare pertinente alla situazione sportiva oggettivamente acclarata;
  4. ne discende che sono illeciti quei comportamenti non riconducibili al gioco, pur nelle sue espressioni pericolose, se intenzionalmente diretti a procurare danno alla persona oppure se in contrasto con il principio di lealtà sportiva e pertanto estranei all’ambito di applicazione delle regole del gioco (che invece quel principio presuppongono) e sono quindi disciplinati dalle ordinarie regole diligenza, prudenza e perizia, delle quali costituiscono violazione;
  5. la fondamentale regola generale che impone agli atleti di improntare il proprio comportamento ai doveri di lealtà e correttezza sportiva, nonchè di rispetto dell’avversario, va dunque coordinata ai principi della colpevolezza colposa, per la quale non ha rilievo la entità del danno procurato, bensì le specifiche e obiettive modalità della condotta dell’atleta, avuto riguardo alle caratteristiche dell’azione nell’ambito del contesto agonistico di riferimento.

Nella specie la Corte d’Appello penale aveva ritenuto la colpevolezza della giocatrice di rugby che, dopo avere subito un placcaggio da parte dell’avversaria, trovandosi sopra la stessa l’aveva – gratuitamente e con forza eccessiva – colpita con una gomitata, procurandole gravissime lesioni all’orbita e al muscolo oculari, ma la Corte di Cassazione ha rilevato che la motivazione del collegio a quo era viziata per genericità, non avendo specificato quale fosse la predeterminata regola cautelare specificamente violata.

[Armando Argano]

Consulta e scarica Cassazione Penale, sez. IV, 19 maggio 2023 n. 21452

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