Quantificazione del danno da demansionamento – T.A.R. Liguria 24 gennaio 2013 n. 157

Il risarcimento del “danno esistenziale”, inteso come pregiudizio di carattere morale conseguente all’illegittimo demansionamento imposto al dipendente – ferma restando la risarcibilità solo se vi è stata effettiva perdita delle mansioni e dei compiti più qualificanti, con conseguente depauperamento del patrimonio professionale e della dignità lavorativa – deve essere necessariamente quantificato mediante determinazione equitativa, tenendo conto dei contrapposti fattori inerenti, da un lato, la rilevanza del demansionamento subito e, dall’altro, la valenza dei motivi che avevano originariamente giustificato il comportamento del datore di lavoro: alla luce di tale elementi di valutazione è congruo riconoscere il risarcimento in misura pari al venti per cento della retribuzione complessiva percepita dal lavoratore per ciascun mese, dall’inizio della condotta illegittima e sino al reintegro nelle corrette mansioni, oltre interessi e rivalutazione monetaria. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 296 del 2012, proposto da:
M.F., rappresentato e difeso dagli avv. Alessandro Malcontenti e Luca Berengan, con domicilio eletto presso il loro studio in Genova, via Malta, 3/25;

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;

per l’annullamento del provvedimento prot. n. 31438 del 30.12.2011, comunicato in data 30.12.2011, del Comando provinciale di Genova dei VV.FF., con il quale è stato confermato il precedente ordine di servizio n. 130 del 5.5.2009, mai comunicato/notificato al ricorrente, che disponeva il trasferimento del C.S.V.F. Filippi dal distaccamento di Genova-Est (con mansioni di responsabile di giornata) alla sede di Genova-Sampierdarena (con mansioni di centralinista); di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso, conseguente e/o consequenziale, e per il riconoscimento del diritto del ricorrente alla riammissione in servizio permanente effettivo con le mansioni che lo stesso svolgeva, prima dei provvedimenti impugnati, presso il distaccamento dei VV.FF. di Genova-Est.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2013 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente presta servizio nel Corpo dei vigili del fuoco dal 1983, con la qualifica di capo squadra dal 1° gennaio 1996.
Nel gennaio 2009, subiva un infarto al miocardio.
Al termine del periodo di convalescenza, la Commissione medica ospedaliera della Spezia lo giudicava “idoneo in forma parziale al servizio operativo, con esclusione del servizio tecnico urgente”.
Tale valutazione era confermata dalla stessa Commissione con verbale del 23 luglio 2009, a seguito di istanza di revisione presentata dall’interessato per asserita completa guarigione.
Infine, pronunciandosi sul ricorso del dipendente, la Commissione medica di seconda istanza di Milano, con verbale del 22 settembre 2009, lo giudicava “temporaneamente inabile al ruolo tecnico operativo in forma parziale; idoneo alle attività tecnico-operative con esclusione dal servizio tecnico urgente di soccorso per mesi sei”.
Avverso quest’ultimo giudizio medico-legale, l’interessato proponeva ricorso giurisdizionale amministrativo, coinvolgendo nell’impugnazione anche l’ordine di servizio del 5 maggio 2009, con cui era stato temporaneamente sospeso dall’espletamento degli interventi di soccorso tecnico urgente nonché dai servizi di vigilanza antincendio e assegnato come addetto, in soprannumero, alla centrale operativa del Comando di Genova, ove era chiamato ad espletare mansioni di centralinista.
Nel corso del giudizio amministrativo, era disposta, con ordinanza n. 128 del 21 gennaio 2011, una verificazione tesa ad accertare se la patologia cardiaca di cui aveva sofferto il ricorrente avesse determinato conseguenze invalidanti permanenti o temporanee per il servizio ovvero se il ricorrente medesimo potesse essere nuovamente adibito a responsabilità di soccorso.
L’organismo incaricato della verificazione (il Dipartimento militare di medicina legale della Spezia), dopo aver sottoposto il ricorrente a visita cardiologica e ad accertamenti clinici e strumentali, rassegnava le proprie conclusioni con verbale del 30 maggio 2011, riferendo che l’infarto miocardico era stato “causa di temporanea inabilità al servizio di istituto, assoluta fino al 23.4.2009 e relativa (con esclusione dal solo servizio tecnico urgente) almeno fino al marzo 2010”; “gli attuali minimi esiti anatomici obiettivabili del sopra ricordato infarto miocardico … non costituiscono attuale controindicazione al reintegro del CSE Filippi Mario nel settore operativo del C.N.VV.F.”.
La controversia giurisdizionale era definita dalla Sezione con la sentenza n. 1596 del 23 novembre 2011, con la quale veniva disposto il rigetto del gravame in quanto, alla luce degli esiti della disposta verificazione, risultava “per il periodo preso in questione dal provvedimento contestato (l’unico rilevante ai fini di causa), confermata la valutazione oggetto di contestazione, sia negli esiti che in relazione ai periodi”.
Con lettera a firma dei propri legali in data 29 novembre 2011, l’odierno ricorrente chiedeva, alla luce della più recente verifica di idoneità al servizio, di essere reintegrato nelle originarie mansioni.
L’istanza era respinta dal Comando provinciale dei vigili del fuoco di Genova, con nota in data 30 dicembre 2011 del seguente tenore: “Si rappresenta che questo Comando, in relazione alle informazioni disponibili, conferma il proprio provvedimento, Ordine di Servizio n. 130 del 05/05/2009 che ad ogni buon conto si allega in copia”.
Con ricorso giurisdizionale notificato in data 28 febbraio 2012 e depositato il 29 marzo 2012, l’interessato ha impugnato il diniego di riammissione al servizio operativo da ultimo indicato, denunciando i vizi di difetto di motivazione e di istruttoria.
Egli agisce, inoltre, per l’accertamento del diritto alla “riammissione in servizio permanente effettivo”, con le mansioni già attribuitegli prima della malattia, nonché per il risarcimento del danno esistenziale cagionato dal demansionamento impostogli.
Si costituiva in giudizio l’intimato Ministero dell’interno, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, opponendosi all’accoglimento del ricorso con comparsa di stile.
Con ordinanza n. 127 del 12 aprile 2012, veniva ordinato al Comando provinciale dei vigili del fuoco di Genova di chiarire se l’amministrazione avesse provveduto, a cura del medico competente o della Commissione medica ospedaliera, alla rivalutazione dell’idoneità del ricorrente.
La richiesta istruttoria era riscontrata negativamente dal Comando, “in quanto non sono emersi nuovi elementi che giustificassero detta rivalutazione” (dell’idoneità fisica del dipendente), “né l’interessato ha presentato un’istanza in tal senso”.
Con ordinanza n. 181 del 24 maggio 2012, quindi, veniva accolta l’istanza cautelare proposta in via incidentale dal ricorrente e stabilito che l’amministrazione avrebbe dovuto sottoporlo a nuova valutazione di idoneità da parte della Commissione medica ospedaliera territorialmente competente.
L’ordinanza è stata ottemperata dall’amministrazione e la Commissione medica ospedaliera della Spezia, con verbale del 19 luglio 2012, ha confermato che l’odierno ricorrente è idoneo “in forma incondizionata al servizio operativo nel C.N.VV.F.”.
Con ordine di servizio del 7 agosto 2012, il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Genova ha disposto, a modifica di quanto stabilito con l’ordine del giorno del 5 maggio 2009, che “il CSE Filippi Mario venga reintegrato nell’espletamento degli interventi di soccorso tecnico urgente come componente delle squadre operative nonché dei servizi di vigilanza antincendio”.
Con memoria depositata il 19 dicembre 2012, l’Amministrazione resistente ha dispiegato le proprie difese, allegando che, per effetto dell’ordine di servizio da ultimo citato, dovesse essere dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine alla richiesta di reintegro nella posizione lavorativa precedentemente ricoperta.
Quanto all’istanza risarcitoria proposta da parte ricorrente, la difesa erariale argomenta nel senso della sua infondatezza, assumendo che il temporaneo demansionamento del lavoratore avrebbe costituito una misura legittima, adottata a protezione della sua incolumità fisica.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 9 gennaio 2013 e ritenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorrente, dipendente del Corpo dei vigili del fuoco con la qualifica di “capo squadra”, propone in giudizio una triplice domanda:
a) per l’annullamento dell’atto in data 30 dicembre 2011, con cui il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Genova, riscontrando un’istanza dell’interessato, ha ribadito che lo stesso era sospeso dagli interventi di “soccorso tecnico urgente” nonché dai servizi di vigilanza antincendio, così sostanzialmente esonerandolo dai compito operativi e confermandone l’assegnazione con mansioni di centralinista presso la Centrale operativa di Genova;
b) per l’accertamento del diritto ad essere riassegnato alle mansioni di capo squadra che espletava prima della malattia (infarto miocardico) che lo aveva colpito nel gennaio 2009, cagionandone la temporanea inidoneità ai servizi di istituto;
c) per la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno esistenziale provocatogli dal demansionamento.

Quanto alla prima e alla seconda pretesa, si rileva, in accordo con l’eccezione proposta dalla difesa erariale, come le misure adottate in corso di giudizio dall’amministrazione di appartenenza del ricorrente abbiano provocato la cessazione della materia del contendere.
Con ordine di servizio del 7 agosto 2012, infatti, il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Genova, implicitamente prendendo atto dell’esito della verificazione eseguita dal Dipartimento militare di medicina legale della Spezia, ha fatto venir meno l’efficacia dei precedenti ordini di servizio e disposto il pieno reintegro del dipendente nelle mansioni affidategli prima della malattia e della declaratoria di inabilità.
L’adozione di tale nuova determinazione risulta integralmente satisfattiva dell’interesse sotteso alle prime due domande che, pertanto, non necessitano di essere scrutinate nel merito.
Rimane inalterato, invece, l’interesse di parte ricorrente a coltivare la pretesa risarcitoria relativa al pregiudizio cagionatogli dalla temporanea assegnazione a mansioni diverse e inferiori rispetto a quelle proprie della qualifica di capo squadra.
Va registrato, al riguardo, come il ricorrente accenni anche ad “accadimenti di tipo somatico” provocati dalla sua dequalificazione professionale, ma è certo, alla luce del tenore letterale del ricorso e della natura degli argomenti impiegati dall’esponente, come lo stesso non intenda agire per il risarcimento del danno biologico.
Parte ricorrente non allega neppure di aver subito alcuna decurtazione del trattamento retributivo in conseguenza delle nuove mansioni.
La pretesa riguarda, in definitiva, solo il risarcimento del “danno esistenziale”, inteso come pregiudizio di carattere morale conseguente al demansionamento imposto al ricorrente e mantenuto in modo asseritamente illegittimo da parte dell’amministrazione.
Entro tali limiti, la pretesa di parte ricorrente è fondata e va conseguentemente accolta la domanda risarcitoria.

E’ consolidato in giurisprudenza, infatti, il principio che riconosce la risarcibilità del danno esistenziale – inteso come nozione descrittiva di un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva non accompagnato da riflessi di ordine economico, quindi riconducibile all’ampia categoria del danno non patrimoniale (Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972) – provocato dall’illegittimo demansionamento o dequalificazione, ossia dal comportamento datoriale che violi il diritto del lavoratore all’esecuzione delle prestazioni lavorative per le quali è stato assunto ovvero equivalenti alle ultime effettivamente svolte (cfr., ex multis, Cass., 14 luglio 2006, n. 14729).
La violazione di tale obbligo datoriale è fonte di responsabilità risarcitoria, anche laddove non sussista uno specifico intento di svilire o punire il dipendente, poiché integra una violazione del diritto costituzionalmente garantito al lavoro, non nella dimensione di mera fonte di reddito, ma in quella di strumento di estrinsecazione della personalità individuale attraverso l’esercizio della professionalità lavorativa.
Fermo restando che, per consentire la tutela risarcitoria, il pregiudizio subito dal lavoratore deve essere serio, comportando l’effettiva perdita delle mansioni e dei compiti più qualificanti propri della qualifica, con conseguente depauperamento del patrimonio professionale e della dignità lavorativa (Cass., 7 dicembre 2010, n. 24794).
Anche nell’ambito del pubblico impiego, peraltro, esistono puntuali precedenti giurisprudenziali che affermano la responsabilità risarcitoria dell’amministrazione nei casi di demansionamento provocati dall’attribuzione di mansioni inferiori non rientranti nella qualifica di appartenenza (cfr., ad es., T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 5 aprile 2012, n. 3151).

Tanto precisato preliminarmente, si rileva la sussistenza, nel caso di specie, di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità datoriale.
È provato in atti, innanzitutto, che l’odierno ricorrente è stato esonerato dai compiti operativi connessi alla qualifica di capo squadra ed assegnato a mansioni (centralinista) di rilievo inferiore e dequalificante: tale assegnazione, confermata anche dopo che la Commissione medica ospedaliera aveva diagnosticato la completa guarigione del dipendente, ha inciso seriamente sulla professionalità lavorativa dello stesso.
La difesa erariale tenta di giustificare questo comportamento con le esigenze di tutela della salute del dipendente, ma si sarebbe trattato di un immotivato eccesso di scrupolo, alla luce delle valutazioni affatto tranquillizzanti che emergevano dalla verificazione disposta nel precedente giudizio, ben note all’amministrazione, tali da escludere l’esistenza di postumi invalidanti di rilievo che costituissero controindicazione attuale al reimpiego nel servizio operativo.
Peraltro, eventuali perplessità residue avrebbero potuto essere pienamente rimosse qualora l’amministrazione si fosse conformata alle puntuali indicazioni del verificatore (cfr. verbale del 30 maggio 2011) che aveva suggerito “una periodica rivalutazione dell’idoneità a cura del medico competente ovvero della CMO competente per territorio”.
Come confermato dall’istruttoria effettuata in questo giudizio, invece, l’amministrazione è rimasta inerte, incongruamente invocando l’inesistenza di nuovi elementi atti a giustificare la rivalutazione dell’idoneità e l’assenza di richieste da parte del dipendente (cfr. nota del Comando provinciale dei vigili del fuoco di Genova acquisita agli atti del giudizio in data 8 maggio 2012).
Anche l’intempestività con cui l’amministrazione ha ottemperato la successiva ordinanza istruttoria n. 181 del 24 maggio 2012, inerente la sottoposizione del dipendente a nuova valutazione di idoneità, ne colora la condotta sotto il profilo della negligenza.
Sussiste, pertanto, il requisito dell’antigiuridicità del comportamento dell’amministrazione, non essendo ravvisabile alcuna causa giustificativa del protrarsi delle misure cautelarmente adottate nei confronti dell’odierno ricorrente.
La privazione dei compiti del lavoratore, sostituiti con altri per nulla corrispondenti alla sua professionalità e allo status che gli competeva nell’organico dei vigili del fuoco, si qualifica, quindi, come risultato di un comportamento difforme dai canoni di corretto esercizio del potere datoriale e, considerando l’obiettiva gravità del demansionamento, espone l’amministrazione al risarcimento del pregiudizio cagionato al lavoratore.

Rimane da affrontare il problema della prova del danno (e del nesso causale con l’accertato demansionamento) che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma richiede una specifica allegazione da parte del ricorrente (Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572).
Nella specie, l’esponente ha adeguatamente assolto l’onere in questione, avendo dedotto nell’atto introduttivo del giudizio precisi elementi che consentono di risalire, attraverso un prudente ragionamento presuntivo, alla prova dell’esistenza del danno.
Si fa riferimento, in particolare, alle allegazioni inerenti il carattere oggettivamente dequalificante delle mansioni di centralinista – siccome imposte ad un soggetto privo di postumi invalidanti e perfettamente idoneo, quindi, a svolgere le proprie mansioni abituali – nonché alla perdita del prestigio che le precedenti funzioni di capo squadra gli assicuravano nel contesto lavorativo nel quale era chiamato ad operare.
Rilevanti, in tal senso, sono anche i riferimenti al trasferimento della sede di servizio che, oltre ai connessi disagi materiali, ha concorso a rendere conoscibile all’interno dell’ambiente di lavoro e nell’intera comunità locale la dequalificazione operata nei suoi confronti.
Ritiene il Collegio che tali allegazioni, più diffusamente esposte nel ricorso introduttivo, valgano a fornire sufficiente dimostrazione del pregiudizio morale subito dal lavoratore e dell’alterazione dei suoi assetti relazionali, da ricondursi con immediata evidenza e in modo esclusivo alle scelte operate dall’amministrazione.

Per quanto concerne il quantum del risarcimento, che deve essere necessariamente individuato con lo strumento della determinazione equitativa, occorre tener conto dei contrapposti fattori inerenti, da un lato, la rilevanza del demansionamento subito e, dall’altro, la valenza dei motivi che avevano originariamente giustificato l’adozione di misure cautelative.
Alla luce di tale elementi di valutazione, pare congruo riconoscere il risarcimento in misura pari al venti per cento della retribuzione complessiva percepita dal lavoratore per ciascun mese, a partire dal 13 dicembre 2011 (data in cui l’amministrazione ha ricevuto la domanda di reintegro, come risultante dal timbro apposto sulla stessa) fino al 7 agosto 2012 (data del provvedimento con cui il ricorrente è stato nuovamente assegnato al servizio operativo), oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono equamente liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara in parte cessata la materia del contendere e in parte lo accoglie, nei limiti di cui in motivazione.

Condanna, per l’effetto, l’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni, quantificati come da motivazione.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese del grado di giudizio che liquida forfetariamente nell’importo complessivo di euro duemila, oltre IVA e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Richard Goso, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 24/01/2013

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