La responsabilità contabile del curatore fallimentare pigro – Corte dei Conti, S.G. Sicilia, 28 ottobre 2013 n. 3161

Appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti l’autonomo e differenziato giudizio di responsabilità amministrativo-contabile che consegue all’accoglimento della domanda di equa riparazione per eccessiva durata della procedura concorsuale: in tal caso il curatore risponde a titolo di colpa grave se la sua condotta – causa efficiente del danno erariale indiretto corrispondente agli esborsi sostenuti dal Ministero della Giustizia per ottemperare alla condanna inflitta ai sensi della legge n. 89/2001 (c.d. Legge Pinto) – è contrassegnata da un abnorme allontanamento da quella astrattamente da lui esigibile e che, nel caso di un’attività professionale, deve valutarsi con riferimento all’attività esercitata (nella specie l’ammontare del risarcimento è stato diminuito avendo la Corte dei Conti rilevato anche la concorrente inerzia del Tribunale Fallimentare e del Giudice Delegato). [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA

composta dai seguenti magistrati:
Dott. Luciana SAVAGNONE – Presidente
Dott. Antonio NENNA – Consigliere relatore
Dott. Giuseppe COLAVECCHIO – Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA N. 3161/2013

nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 60676 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di D’ANDREA BIAGIO, nato a Mazara del Vallo il 1 dicembre 1945 ed ivi residente in via Mario Rapisardi, n. 30.

Esaminati gli atti e documenti di causa.
Uditi, nella pubblica udienza del 23.10.2013, il relatore, dott.  Antonio Nenna e il Pubblico Ministero, nella persona della dott.ssa Adriana La Porta. Non costituito il convenuto.

Ritenuto in fatto

Con ricorso del 26/09/2008, proposto avanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta, il Sig. Maltese Vincenzo chiedeva, ai sensi della legge n. 89/2001 (c.d. Legge Pinto), il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per la non ragionevole durata della procedura fallimentare, aperta con sentenza del Tribunale di Marsala del 21/12/1992, che aveva dichiarato il fallimento del predetto, esercente attività di bar – pasticceria.
All’esito del giudizio, la Corte d’Appello, con Decreto n. 280/09 depositato il 16/12/2009, condannava il Ministero della Giustizia a pagare, a favore del sig. Maltese a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale subito, la somma di € 14.400,00, oltre € 543,315 pari a metà delle spese processuali (essendo stata dichiarata compensata tra le parti la restante metà).
L’importo dell’indennizzo veniva individuato determinando in anni undici la durata non ragionevole della procedura (che avrebbe potuto, ragionevolmente, concludersi nell’arco di cinque anni, “considerata la presenza in attivo solo di pochi beni mobili”).

Con nota del 4/02/2011, la Procura generale della Corte dei Conti trasmetteva, per competenza funzionale e territoriale, alcuni decreti emessi dalle Corti d’appello, ai sensi dell’art. 5 della legge  24 marzo 2001, n. 89, in materia di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, fra cui il Decreto n. 280/09 della Corte di Appello di Caltanissetta.
La Procura presso questa Sezione, in data 6/07/2012, notificava l’invito a dedurre nei confronti del curatore fallimentare pro tempore, Avv. D’Andrea Biagio, ravvisando a suo carico un’ipotesi di danno erariale indiretto, connesso alla condanna al risarcimento del danno per la non ragionevole durata della procedura fallimentare operata dalla Corte d’Appello di Caltanissetta.
L’Organo Requirente, quindi, non essendo state prodotte deduzioni difensive, con atto depositato in segreteria in data 5.11.2012 e ritualmente notificato, citava l’Avv. Biagio D’Andrea chiedendone la condanna al pagamento, in favore del Ministero della Giustizia, della somma di € 14.943,31, oltre alla rivalutazione monetaria dalla data dell’esborso, agli interessi dalla data della emananda sentenza ed alle spese di giudizio.
La Procura, dopo avere affermato la sussistenza della giurisdizione di questa Corte in materia, alla luce del rapporto di servizio tra il curatore fallimentare e l’Amministrazione della Giustizia nell’ambito di una procedura fortemente connotata da profili pubblicistici, agendo in rivalsa per il danno patito dal Ministero della Giustizia, riteneva causalmente riconducibile a violazioni dei doveri di diligenza nonché dei compiti di gestione e di impulso incombenti sulla curatela la dilatazione, oltre i limiti del tollerabile, della procedura.
Evidenziava, in particolare, al riguardo che:
-  l’attivo risultava formato da soli beni mobili e pertanto la procedura non presentava i benché minimi profili di complessità;
- il curatore, avv. D’Andrea, non aveva svolto alcuna attività a favore del fallimento;
- il Tribunale di Marsala, in data 4/11/2004, gli revocava l’incarico per assegnarlo ad altro curatore avendo egli riportato condanna penale con interdizione dai pubblici uffici;
- il curatore, oggi convenuto, lasciando totalmente deperire tutti i beni mobili acquisiti all’attivo aveva cagionato nocumento patrimoniale al fallimento, di cui è stato ritenuto responsabile nella sentenza del 26/4/2007 resa dal Giudice unico del Tribunale di Marsala che per questo lo aveva condannato al risarcimento del danno (liquidato in euro 7.602,24).

Il convenuto non si costituiva in giudizio.
All’udienza di discussione odierna il Vice Procuratore Generale, dott.ssa Adriana La Porta, reiterava le conclusioni rassegnate in atti.

Considerato in diritto

In via preliminare va dichiarata, ai sensi e per gli effetti degli artt. 291 e 171 c.p.c.,  la contumacia dell’odierno convenuto, che, sebbene regolarmente evocato in giudizio, non si è costituito.
L’odierno giudizio è finalizzato all’accertamento della fondatezza della pretesa azionata dal Pubblico Ministero concernente un’ipotesi di danno erariale indiretto, riconducibile agli esborsi sostenuti dal Ministero della Giustizia per ottemperare alla condanna, inflitta, ai sensi della legge n. 89/2001 (c.d. Legge Pinto), per la non ragionevole durata di una procedura fallimentare.
Secondo la prospettazione attorea il pagamento da parte del Ministero sarebbe causalmente riconducibile alla condotta gravemente colposa del soggetto, odierno convenuto, che in quella procedura aveva ricoperto l’ufficio di curatore fallimentare.
La vertenza rientra certamente nella giurisdizione di questa Corte, per orientamento giurisprudenziale pacifico, avuto peraltro riguardo al condivisibile orientamento manifestato dalle SS.RR. di questa Corte con la sentenza n.1/2006/QM del 20/2/2006 (secondo cui «il giudizio sull’equa riparazione di cui alla legge 2001 n. 89 (legge Pinto) costituisce il presupposto, in caso di accoglimento (…) per un autonomo e differenziato giudizio di responsabilità amministrativo-contabile appartenente alla giurisdizione della Corte dei conti») ed in coerenza con l’orientamento giurisprudenziale formatosi su vicende analoghe a quella in esame (Sez. Giur. Sicilia, sentenza n.2604/2008; Sez. Giur. Lombardia, sent. n. 133/05).

Nel merito l’azione è fondata.
Ai sensi dell’art. 31 della Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), nel testo vigente all’epoca dei fatti per i quali è causa, il curatore “ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del Giudice Delegato”.
Inoltre, l’articolo 33 L.F. disponeva che: ”Il curatore, entro un mese dalla dichiarazione di fallimento, deve presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata sulle cause e circostanze del fallimento, sulla diligenza spiegata dal fallito nell’esercizio dell’impresa, sul tenore della vita privata di lui e della famiglia, sulla responsabilità del fallito o di altri e su quanto può interessare anche ai fini dell’istruttoria penale.
Il curatore deve inoltre indicare gli atti del fallito già impugnati dai creditori, nonché quelli che egli intende impugnare. Il giudice delegato può chiedere al curatore una relazione sommaria anche prima del termine suddetto.
Se si tratta di società, la relazione deve esporre i fatti accertati e le informazioni raccolte intorno alla responsabilità degli amministratori, dei sindaci, dei soci e, eventualmente, di estranei alla società.
Nei primi cinque giorni di ogni mese il curatore deve presentare al giudice delegato una esposizione sommaria della sua amministrazione ed esibire, se richiesto, i documenti”.
L’art. 37 L.F., rubricato “Revoca del curatore”, disponeva che “Il tribunale può in ogni tempo, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d’ufficio, revocare il curatore.
Il tribunale provvede con decreto, sentiti il curatore ed il pubblico ministero”.
L’art. 38 L.F. impone al curatore di adempiere con diligenza i doveri del proprio ufficio, diligenza che, con la riforma della L.F. del 2006, è stata parametrata alla natura dell’incarico.

Orbene il presente giudizio è finalizzato ad accertare se l’eccessiva durata della procedura fallimentare di che trattasi sia etiologicamente ricollegabile alla condotta del curatore D’Andrea secondo i parametri propri del giudice contabile.
Dall’esame dei fatti è emerso che la curatela D’Andrea è stata caratterizzata dalla più totale inerzia.
Il successivo curatore, Dott. Russo, nominato nel 2004, a seguito della revoca dell’odierno convenuto, nella sua relazione esplicativa dell’attività svolta, ha confermato come la curatela D’Andrea fosse stata caratterizzata dalla più totale inattività.
Anzi il curatore, oggi convenuto, lasciando totalmente deperire tutti i beni mobili acquisiti all’attivo, ha addirittura cagionato nocumento patrimoniale al fallimento, di cui è stato ritenuto responsabile nella sentenza del 26/4/2007 resa dal Giudice unico del Tribunale di Marsala (che per ciò lo ha condannato al risarcimento del danno, liquidato in euro 7.602,24)

Alla luce di quanto sin qui esposto, la condotta del D’Andrea, non può non ritenersi causalmente ricollegabile all’eccessiva durata della procedura concorsuale in quanto innegabilmente, macroscopicamente, lontana dai parametri di diligenza e perizia richiesti  per lo svolgimento dell’attività professionale parametrata alla natura dell’incarico.
La sua condotta, pertanto, deve ritenersi caratterizzata da colpa grave che, come noto, è contrassegnata dall’abnorme allontanamento della condotta tenuta in concreto da quella astrattamente esigibile dal soggetto interessato che, nel caso di un’attività professionale, deve valutarsi con riferimento all’attività esercitata.
Qualora si tratti di valutare comportamenti omissivi, al fine di misurare la gravità della colpa, è necessario valutare il grado di consapevolezza, nel soggetto interessato, della condotta che si sarebbe dovuta tenere e che, invece, non si è tenuta.
Nel caso di specie, così, a seguito della dichiarazione di fallimento il curatore avrebbe dovuto attivarsi per svolgere le più elementari attività imposte dalla legge al fine di procedere alla liquidazione dell’attivo e pagare, quindi, i creditori.
Al riguardo emerge dagli atti che, in data 5.3.1993, veniva redatto l’inventario e valutate attrezzature per lire 6.620.000.
In data 14.4.1993 il Giudice Delegato autorizzava il curatore a trasferire i beni dal luogo dove essi erano stati inventariati previa stima dei beni stessi.
L’esperto nominato valutava i beni in complessive lire 14.720.000.
I crediti ammessi ammontavano a complessivi euro 17.219,24, mentre le insinuazioni tardive erano pari ad  euro 18.759,60.
Con provvedimento del 25.06.1996 il G.D., su richiesta del curatore, autorizzava un ulteriore trasporto dei beni in altro luogo. Beni che, però, a seguito di sopralluogo (effettuato a detto fine)  in un terreno di terzi (dove il curatore aveva dichiarato essere stati trasportati), “risultavano ammassati a ridosso del muro di cinta che delimitava il terreno senza alcuna protezione e risultavano totalmente distrutti dalle intemperie”.

Il Tribunale di Marsala, in data 4/11/2004, revocava l’incarico per assegnarlo ad altro curatore avendo egli riportato condanna penale con interdizione dai pubblici uffici.
Su richiesta in data 29.04.2005 del nuovo curatore, il G.D. lo  autorizzava ad esperire azione di responsabilità neo confronti dell’Avv. D’Andrea.
Non essendo ancora stato designato il comitato dei creditori, con istanza del 10.02.2006, il nuovo curatore ne chiedeva al G.D. la nomina.
Con sentenza del 20.04.2007, il Tribunale di Marsala condannava il precedente curatore al pagamento in favore della curatela di euro 7.606,24.
Il convenuto D’Andrea non ha fornito né all’organo requirente a seguito della notifica dell’invito a dedurre, né tantomeno al Collegio dopo la notifica della citazione, elementi tali da indurre il Collegio medesimo ad una rilettura dei fatti tale da attenuare il suo grado di colpa.
Da quanto sopra argomentato risulta palese che il ritardo della procedura fallimentare è dipeso dal comportamento commissivo e omissivo gravemente colposo dell’odierno convenuto, il quale, avendo posto in essere una condotta in totale contrasto con i doveri d’ufficio, deve rispondere del danno subito dal Ministero della Giustizia.
Le evidenze documentali inducono, quindi, univocamente a ritenere che:
1) la procedura fallimentare ha avuto una durata assolutamente non ragionevole;
2) tale non ragionevole durata è, in gran parte, causalmente riconducibile ad un esercizio non diligente delle prerogative facenti capo al soggetto che in quella procedura ha ricoperto l’ufficio di curatore fallimentare;
3) tale difetto di diligenza raggiunge la soglia di intensità (colpa grave) richiesta dalla legge per la configurazione della fattispecie della responsabilità amministrativa.

Con riguardo al primo profilo risulta incontestata la circostanza che la procedura fallimentare era particolarmente agevole, sotto il profilo sia dell’accertamento del passivo sia della liquidazione dell’attivo (consistita nella vendita di pochi mobili).
In un simile contesto, caratterizzato dall’assoluta assenza di elementi di criticità, la diluizione in un arco temporale di oltre quindici anni  rende palese il superamento del limite di durata ragionevole della procedura.
Quest’ultima, secondo il congruo apprezzamento compiuto dall’AGO,  avrebbe dovuto avere una durata fisiologicamente contenuta in cinque anni, sicché l’indugio si è protratto per undici anni.
Per ciò che attiene al secondo aspetto, gli elementi valutativi offerti evidenziano che il diligente esercizio, da parte del curatore fallimentare, avrebbe impedito il totale deperimento di tutti i beni mobili acquisiti all’attivo e quantomeno concorso ad impedire la dilatazione della procedura oltre il limite del ragionevole.
Ove, infatti, il curatore, espletati i non complessi incombenti di competenza, avesse assunto con la dovuta solerzia le indispensabili iniziative propedeutiche alla chiusura della procedura, quest’ultima avrebbe potuto essere esitata (non risultando né essendo state prospettate dal convenuto, che ha scelto di restare contumace, concorrenti circostanze idonee ad interferire con l’ordinaria sequenzialità procedurale) con ragionevole celerità.
Deve, riconoscersi, dunque, che le inerzie operative e le condotte poste in essere, conseguenza di un inescusabile difetto di diligenza, hanno avuto una decisiva incidenza sulla produzione del danno, integrando una concausa efficiente e determinante.

La condotta causativa del nocumento patrimoniale è addebitabile a titolo di colpa grave al convenuto.
Ciò in quanto in un contesto che non presentava aspetti problematici sia dal punto di vista normativo, in quanto la disciplina di riferimento non lasciava margini di opinabilità, sia dal punto di vista operativo, in quanto la procedura si presentava particolarmente agevole, la macroscopica mancanza di solerzia nell’intraprendere iniziative è espressiva, avuto anche riguardo all’elevata qualificazione professionale del soggetto investito della curatela fallimentare, di un difetto di diligenza di elevata gravità.
Per ciò che attiene al danno, la sua sussistenza ed entità sono con tutta evidenza incontestabili.
Tutto ciò detto, tuttavia, il Collegio ritiene meritevole di considerazione il fatto che altri organi della procedura e, segnatamente, il Tribunale fallimentare e il Giudice delegato, investiti, rispettivamente, dell’intera procedura fallimentare (art. 23 L. Fall.) e delle funzioni di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura fallimentare (art. 25 L. Fall.), hanno omesso di intraprendere iniziative idonee a porre rimedio alla stasi della procedura medesima (come emerge ictu oculi dalla tempistica dei passaggi sopra riportati). Basti rilevare che soltanto il 4.11.2004 è stata disposta dal Tribunale di Marsala la revoca dell’incarico (e peraltro dagli atti di causa sembra emergere che elemento determinante per l’adozione di tale decisione sia stata la intervenuta condanna penale con interdizione dai pubblici uffici riportata dall’avv. D’Andrea).
In particolare, la mancata rilevazione della anomala protrazione di una procedura che, per mancanza di aspetti problematici avrebbe dovuto essere sollecitamente definita, da parte di altri organi preposti al fallimento a ciò abilitati, o la mancata reazione degli stessi ad una simile constatazione integrano concorrenti omissioni che, pur non potendo essere considerate nel giudizio sul nesso causale per la mancanza di pertinenti ed obiettivi elementi di riscontro, possono essere valutate ai fini della determinazione del danno da porre a carico del convenuto.
Alla luce di tali considerazioni, il Collegio, facendo ricorso al criterio di valutazione equitativa, determina in € 10.000,00, importo comprensivo di rivalutazione monetaria ed interessi, il danno che può essere posto a carico dell’Avv. D’Andrea Biagio.

Tutto ciò esposto, il Collegio, in parziale accoglimento della domanda della Procura, condanna il sig. D’Andrea Biagio al pagamento della somma di euro 10.000,00, comprensivi di rivalutazione monetaria e interessi, in favore del Ministero della Giustizia.
Sulla somma dovuta andranno corrisposti gli interessi nella misura legale decorrenti dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.
Le spese di causa seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 60676 del registro di segreteria, in parziale accoglimento della domanda della Procura Regionale, condanna il sig. D’Andrea Biagio a pagare la somma complessiva di € 10.000,00, comprensivi di rivalutazione monetaria e interessi, in favore del Ministero della Giustizia, importo da maggiorare degli interessi legali sulla somma dovuta da calcolarsi dal deposito della presente decisione e sino al soddisfo; pone, altresì, a carico del convenuto le spese processuali che fino alla  presente fase  di giudizio  si  liquidano  a  favore  dello  Stato  in € 146,31.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 23 ottobre 2013.

L’estensore                                                  Il Presidentedott. Antonio Nenna                       F.to  dott. Luciana Savagnone

Depositata oggi in segreteria nei modi di legge.

Palermo, 28 ottobre 2013

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