Il danno da responsabilità medica può essere provato mediante consulenza tecnica d’ufficio ad explorandum [Cassazione civile, Sez. III, 7 maggio 2015 n. 9249]

La consulenza tecnica d’ufficio, che di norma non è mezzo di prova, lo diventa allorchè la prova del danno – come quello alla salute – sia impossibile od estremamente difficile a fornirsi con i mezzi ordinari.
(la Suprema Corte, precisato che la parte ha l’onere di allegare la lesione, ma non di quantificarla preventivamente, afferma che si tratta di danno che non può essere provato per testimoni, per documenti o presunzioni, con la conseguenza che il giudice non può, senza contraddirsi, negare il mezzo istruttorio e poi imputare alla parte, di non assolvere all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda). [AA]
———-
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente -
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere -
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 20768-2011 proposto da: B.R. [omissis], in proprio e nella sua qualità di erede della Signora Be.GA., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Mazzini 6, presso lo studio dell’avvocato Dionisio Fabrizio, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Fabrizio Ariani, Guido Mussi giusta procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
A.G. [omissis], elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Cuboni, 12, presso lo studio dell’avvocato Noto Elisa, rappresentato e difeso dall’avvocato Lazzeretti Mario giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 326/2011 della Corte d’Appello di Firenze, depositata il 08/03/2011, R.G.N. 118/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/02/2015 dal Consigliere Dott. Marco Rossetti;
udito l’Avvocato Mario Lazzeretti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pratis Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del 3 motivo di ricorso.
Svolgimento del processo
1. Nel 1991 Be.Ga. convenne dinanzi al Tribunale di Lucca A.G., di professione medico, adducendo che:
- nel 1988 si era a lui rivolta per la cura di una affezione cutanea all’alluce;
- il medico non si era avveduto che la malattia aveva natura tumorale, emersa solo oltre un anno dopo la prima visita;
- il ritardo diagnostico aveva aggravato la malattia.
Chiese pertanto la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del suddetto ritardo diagnostico.2. Pendente il giudizio, l’attrice morì a causa del tumore.
La causa venne coltivata dai due figli di lei, B.R. e F..3. Dopo 14 anni di giudizio, con sentenza 12.12.2005 il Tribunale di Lucca respinse la domanda, ritenendo non provata nè la colpa del medico, nè il nesso di causa tra la sua condotta e la morte della paziente.4. La sentenza venne appellata dal solo B.R..
La Corte d’appello di Firenze con sentenza 8.3.2011 n. 326:
- dichiarò che i danni patiti da B.R. in proprio, conseguenti alla morte della madre, erano estranei al thema decidendum;
- ritenne non condivisibile la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso la colpa del convenuto ed il nesso di causa tra la condotta di questi ed il danno;
- rigettò tuttavia ugualmente la domanda di risarcimento, sul presupposto che gli attori (in prosecuzione) non avessero allegato e provato l’entità del danno patito dalla propria madre, in termini di entità e durata.5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da B.R., sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso A.G..
Motivi della decisione
1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso.

1.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni analoghe.
Con ambedue tali motivi il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che gli appellanti, proseguendo il giudizio introdotto dalla propria madre, avessero inteso domandare anche il risarcimento del danno da essi patito in conseguenza della morte di quest’ultima. In realtà essi avevano inteso unicamente domandare il risarcimento del danno patito dalla propria madre, il cui diritto avevano acquistato jure haereditario.

1.2. Ambedue i motivi sono inammissibili per totale fraintendimento della ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d’appello ha infatti affermato proprio il principio che i ricorrenti invocano col ricorso, e cioè che unico oggetto del presente giudizio è l’accertamento del danno patito da Be.G. e del relativo diritto al risarcimento, da questa trasmesso ai propri eredi.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360 c.p.c., n. 3, (sì assumono violati gli artt. 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c.; art. 356 c.p.c.); sia da una nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere “non allegato e non provato” il danno patito da Be.Ga.:
- sia perchè era stata fornita la prova del peggioramento delle condizioni di salute della paziente;
- sia perchè gli attori avevano domandato una consulenza tecnica d’ufficio, mai disposta;
- sia perchè nell’atto d’appello gli attori avevano debitamente domandato il ristoro dell’invalidità patita dalla paziente a causa del ritardo diagnostico.

3.2. Il motivo è fondato, sia sotto il profilo della nullità processuale, che sotto il profilo del vizio di motivazione.

3.2.1. Quanto al primo aspetto (onere di allegazione), si rileva dall’esame degli atti – consentito dalla natura del vizio denunciato – come sin dal primo atto di giudizio l’attrice avesse debitamente allegato che la ritardata diagnosi della malattia da cui era affetta avesse aggravato il male, e che questo aggravamento costituisse di per sè un danno.
In cosa fosse consistito questo danno è, parimenti, circostanza descritta sia nell’atto di citazione, sia nell’atto di appello.
Nè l’odierno ricorrente aveva alcun onere, come preteso dalla Corte d’appello, di indicare “il grado” ed “il tempo” del danno patito da Be.Ga., per due ragioni.
La prima è che chi domanda il risarcimento del danno ha l’onere, a pena di nullità della citazione, di descrivere il danno, non certo di quantificarlo. La quantificazione del danno da parte dell’attore è deduzione utile ma non necessaria, ai fini della validità dell’atto di citazione. Quel che unicamente rileva è che sia descritto l’ubi consistam del danno.
La seconda ragione è che Be.Ga., al momento in cui introdusse il a presente giudizio, era portatrice di una malattia in itinere, e dunque non l’avrebbe potuto prevedere se sarebbe guarita; con quale grado di invalidità e per quanto tempo si sarebbe protratta la malattia.
E’ appena il caso di rilevare, poi, che il giudice il quale ritenga genericamente formulata una domanda di danno non può rigettarla, ma deve dichiarare la nullità della citazione ex 164 c.p.c., fissando all’attore un termine per l’integrazione.

3.2.2. Quanto al secondo aspetto (onere della prova), il danno di cui l’attrice aveva domandato il risarcimento era un danno non patrimoniale alla salute. Il danno alla salute patito da chi, per errore del medico, perda la certezza o la speranza di guarire; o comunque patisca sofferenze che avrebbe evitato in caso di tempestiva diagnosi, non può certamente essere provato per testimoni, per documenti o per presunzioni.
La stima di esso, richiedendo nozioni mediche, esige di norma l’ausilio di un consulente tecnico, a meno che il giudice non ritenga di acquisire da sè le cognizioni tecniche per l’accertamento di questo tipo di pregiudizio.
Nel caso di specie la Corte d’appello, dopo avere essa stessa ammesso che il danno di cui si discorre può essere provato “tramite l’opera di un consulente tecnico d’ufficio” (così la sentenza, p. 12, ultimo rigo), ha però rigettato la domanda perchè non provata.
In questo modo il giudice d’appello ha violato il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “il giudice non può, senza contraddirsi, imputare alla parte di non assolvere all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, e poi negarle la prova offerta” (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 789 del 29/03/1963, Rv. 261080; nello stesso senso si vedano anche Sez. 3, Sentenza n. 2631 del 20/10/1964, Rv. 303958, e Sez. 3, Sentenza n. 2505 del 05/10/1964, Rv. 303753; in seguito il principio è stato costantemente ribadito, sino a divenire jus receptum).

4. La sentenza deve dunque essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, la quale:
(a) tornerà a valutare se il danno alla salute patito da Be. G. sia stato debitamente allegato nella citazione; tenendo conto del fatto che si trattava di un danno in evoluzione e che l’attore ha l’onere di descrivere il danno, ma non di quantificarlo;
(b) ove ritenesse, in applicazione dei principi appena ricordati, debitamente allegata l’esistenza del danno, procederà all’accertamento di esso tenendo conto del principio secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio, che di norma non è mezzo di prova, lo diventa allorchè la prova del danno – come quello alla salute – sia impossibile od estremamente difficile a fornirsi con i mezzi ordinari.

5. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385 c.p.c. , comma 3.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
- accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione;
- rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 13 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2015

I commenti sono chiusi.