Brevi note a margine della inaugurazione dell’ “Anno Giudiziario Amministrativo” 2004 del T.A.R. Latina

Armando Argano
Brevi note a margine della inaugurazione
dell’ “Anno Giudiziario Amministrativo” 2004 del T.A.R. Latina

(Intervento tenuto il 24 febbraio 2004 all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2004 del T.A.R. Latina
già pubblicato in http://www.avvocatiamministrativisti.it/html/argano.html)


Dovendo osservare i ristrettissimi limiti temporali concessi ad un intervento programmato, non potrò fare che pochi cenni ad alcuni temi pertinenti alla celebrazione che ci vede impegnati, in ogni caso ringraziando il Presidente del T.A.R. Latina Dott. Franco Bianchi per la grande sensibilità che mostra verso il mondo forense e l’Associazione Avvocati Amministrativisti della quale sono segretario.

Non potrò quindi diffondermi in tecnicismi, ma è questa occasione perfetta per porre con semplicità, ad un variegato uditorio, alcune, sia pur solo alcune, considerazioni sistematiche sulla giustizia amministrativa, idonee a costituire temi di riflessione che ne evidenzino peculiarità e prospettive di evoluzione.

L’inaugurazione dell’anno giudiziario è da sempre cerimonia tipica della giustizia civile e della giustizia penale, le quali condividono una genesi omogenea, nell’ordinamento italiano essendo, com’è noto, organiche al Ministero della Giustizia.

Ed infatti, ad ogni inizio d’anno, il Ministro della Giustizia ed i Procuratori Generali della Cassazione, presentano le loro relazioni periodiche – vero momento di cristallizzazione e analisi critica dei dati – cui i media correttamente danno grandissimo risalto poiché, senza dubbio, il “servizio giustizia” è uno dei principali parametri su cui si misura lo stato di salute di un paese ed il suo grado di civiltà.

Tuttavia, in entrambe le relazioni non viene mai fatto cenno alcuno alla Giustizia Amministrativa.

Due anni fa il Ministro Castelli diffuse un comunicato stampa con il quale chiariva che – peraltro come i suoi predecessori – volutamente non si era occupato della Giustizia Amministrativa rientrando essa nell’alveo del Dipartimento per la Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri: una impostazione formalmente corretta, ma ardua da condividere nella sostanza.

E d’altra parte, purtroppo, non si rinviene alcun riferimento alla Giustizia Amministrativa neppure negli interventi programmatici del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Funzione Pubblica.

Dunque la Giustizia Amministrativa viaggia, per così dire, “sottotraccia”, quasi come se anch’essa non fosse un luogo ove Magistrati regolano le controversie tra soggetti che chiedono tutela per i loro interessi; quasi come se non rechi anch’essa sulle proprie spalle numeri enormi e pendenze spaventose.

E ciò, nonostante sia statisticamente acclarato che la produttività dei T.A.R. e del Consiglio di Stato si attesti su livelli di eccellenza.

Di qui l’esigenza che ha portato recentemente anche il Presidente del Consiglio di Stato ed i Presidenti dei T.A.R. a questo momento di sintesi, di esternazione e di confronto con i rappresentanti delle istituzioni e con gli operatori [1].

Da tali relazioni, in una alle note positive sulla qualità e quantità del lavoro svolto, emergono sempre problemi strutturali che urgono di essere risolti.

Ed in crescita è la schiera di coloro che, anche in dottrina [2], esaminano una totale rimodulazione del sistema, con istituzione del giudice monocratico e financo con accorpamento delle varie Magistrature esistenti in Italia, tale da consentire il superamento della consolidata frattura tra le carriere e le funzioni nell’ambito dei TAR e del Consiglio di Stato [3] e, soprattutto, per consentire un migliore sfruttamento delle risorse del sistema giustizia.

La endemica crisi delle risorse deve indurci ad una riflessione circa la possibilità di più razionalmente utilizzare quelle esistenti.

Non voglio suscitare equivoci: sia chiaro che non sostengo di certo che possa essere abolita la Magistratura Amministrativa.
Tutt’altro.

Le ragioni della sua intrinseca coessenzialità al sistema sono non solo storiche (quali scaturenti nel 1889 dalla creazione, all’interno del Consiglio di Stato, organo meramente consultivo del governo, della IV sezione per gli affari giurisdizionali), ma anche tecniche e culturali, trattandosi di Giudici profondamente formati ed altamente specializzati in materie di vitale importanza per il sistema economico e sociale, tant’è che in dottrina è stata usata la efficace definizione di “giudice naturale dell’interesse pubblico nell’economia”.

Ferma questa identità, da lasciare certamente intatta, occorre tuttavia riflettere sul fatto che, in un certo senso, analogo livello di specializzazione e di specificità si rinviene, ad esempio, nella Magistratura del Lavoro, giurisdizione cui tra l’altro, da pochi anni, è stato devoluto il settore del pubblico impiego in precedenza attribuito alla Magistratura Amministrativa.

Del pari altamente specializzati sono – ma di esempi ve ne sono altri – i Tribunali per i Minorenni.

Eppure essi non costituiscono sistemi a sé stanti, di tal che non è difficile ipotizzare che la Magistratura Amministrativa, una volta superati i dogmi storici, possa essere organizzata in corpo giudicante specializzato, interno alla magistratura ordinaria.

Ciò non comporterebbe una spersonalizzazione o una omologazione della funzione, ma consentirebbe di meglio sfruttare le risorse del sistema giustizia nel suo complesso.

Solo pochi giorni fa, infatti, il Presidente del TAR Lazio Dott. Corrado Calabrò, nella sua relazione per l’anno giudiziario 2004, cerimonia analoga a questa, ha affermato che i magistrati amministrativi sono troppo pochi e che “Se fossero dieci volte tanto non sarebbero troppi”.

Un altra fondamentale questione di sistema è quella della mancanza di una codificazione del processo amministrativo e, più in generale, di una razionalizzazione dei testi normativi.

Molto ci sarebbe da dire – a dispetto dell’attenzione che lo Stato sta in questi anni riponendo nelle nuove tecniche di redazione degli atti normativi, sotto i profili strutturale, lessicale e semantico – dal momento che il progresso sul punto è stato piuttosto marginale.

Limiterò dunque queste brevi note alle regole del gioco, alle norme del rito amministrativo, che risiedono non solo in pochi articoli di poche scarne leggi, ma soprattutto in innumerevoli sentenze dei Giudici Amministrativi, i quali hanno colmato le diffuse lacune normative individuando e fissando i principii del processo e avvicinando il nostro ordinamento, in teoria fondato sul primato della legge, a quello anglosassone di common law, in cui il diritto nasce dalle decisioni delle Corti.

Per questa evoluzione dobbiamo ringraziare i Magistrati e, come recentemente affermato dallo stesso Presidente Bianchi e dal Consigliere di Stato Dott. Giuseppe Barbagallo [4],anche gli avvocati amministrativisti più accorti e propositivi.

Il processo amministrativo è tuttavia ancora frammentato, nonostante la prima, recente, rivoluzione avutasi con il Decr. Legisl. 80/98, che ha ridisegnato lo schema delle attribuzioni giurisdizionali, e la fondamentale, anche se in un certo senso deludente, novella del 2000 (Legge 205).

Basti pensare che era ancora calda di stampa la Gazzetta Ufficiale dove quest’ultima era stata pubblicata, che già il legislatore introduceva l’ennesimo rito speciale in materia di associazioni di promozione sociale con la legge 7 dicembre 2000, n. 383, per poi introdurne subito un secondo con la legge 5 marzo 2001 n. 57 in tema di sanzioni amministrative nel settore delle assicurazioni private (poi revocato dal Decr.Legsl. 17 gennaio 2003 n. 5), ed altri ancora in tema di programmi di protezione dei collaboratori di giustizia con la legge 13 febbraio 2001 n. 45 e di grandi infrastrutture con la Legge 20 agosto 2002 n. 190.

Come non citare, infine, il celeberrimo c.d. decreto “salvacalcio”, ossia il D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con modificazioni nella legge 17 ottobre 2003 n. 280, che attribuito la competenza in materia esclusivamente al TAR Lazio.

L’urgenza che si sente è innanzitutto quella di un codice del processo amministrativo che costituisca corpus unitario delle regole e che nel contempo le razionalizzi, affinchè non si verifichi quanto ad esempio accaduto, nel giro di appena due anni, anche con il problema della giurisdizione in tema di concorsi interni nelle pubbliche amministrazioni: una vicenda labirintica dove continuano a mutare i confini tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa [5].

Ciò è tanto più importante, quanto più la finalizzazione al risultato, che da tempo informa – almeno a livello teorico – l’operato delle p.a., può concettualmente estendersi al processo amministrativo, non solo per assicurare alla parte vittoriosa tutto ciò che gli spetta, nel senso inteso da Chiovenda, ma per fare in modo che nell’oggetto della cognizione rientri non soltanto l’atto impugnato, ossia il “frammento di azione amministrativa”, bensì la pretesa sostanziale intesa quale diritto a quel certo bene della vita che è al di là dell’atto impugnato e che il ricorrente mira a conseguire o a conservare.

Ciò, naturalmente, andando al di là dello schema puro e semplice della tradizionale azione di annullamento, che non abbisogna di curarsi del bene della vita perseguito dal privato, ma solo della esistenza di un interesse legittimo da tutelare, guardando all’attuazione della tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente.

E’ dunque oggi lo stesso interesse legittimo che “assume una valenza sostanziale sempre più spiccata” [Caringella]: basti pensare che, mentre nel rito amministrativo pre-novella il giudice doveva limitarsi a sancire la illegittimità di un diniego di condono edilizio, rimanendo alla pubblica amministrazione di stabilire in quale modo esercitare nuovamente il potere alla luce della statuizione giurisdizionale, adesso il Giudice potrebbe ordinare con sentenza la emanazione del provvedimento di condono edilizio.

Un antico e mai troppo citato adagio recita che “un viaggio di mille leghe inizia con un passo”, aggiungerei che l’importante e non fermarsi, altrimenti quel viaggio finisce prima d’iniziare.

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Note:

  1. L’inaugurazione dell’anno giudiziario presso il Consiglio di Stato ed i T.A.R è stata deliberata dal C.d.P. della G.A. nella seduta dell’8 novembre 2001, a partire dall’anno 2003 per il Consiglio di Stato e a partire dal 2002 per i Tribunali Amministrativi Regionali. Nella successiva seduta del 5 dicembre 2001, il C.d.P. ha statuito però di differire la cerimonia al 2003 e di farla svolgere “in forma solenne, con uso delle toghe e delle insegne connesse alla funzione giurisdizionale, in analogia, per quanto applicabile, al modello che caratterizza la magistratura ordinaria e quella contabile”. (torna su)
  2. Cfr. Andrea Proto Pisani, “Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?”, in Foro Italiano, 2001, V, 21; Alberto Romano, “Giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa dopo la legge n. 205 del 2000 (Epitaffio per un sistema)”, in Diritto processuale amministrativo, 2001, 630. (torna su)
  3. Un diffuso malessere permea la Magistratura Amministratura di primo grado per effetto della disorganicità della disciplina delle carriere e delle funzioni, nonchè, da ultimo, per alcuni interventi normativi, alcuni dei quali contenuti nella riforma dell’Ordinamento Giudiziario. (torna su)
  4. Barbagallo“Il processo amministrativo e l’avvocato amministrativista”. (torna su)
  5. Da ultimo alcuni confini sono stati finalmente posti, com’è noto, con la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 15 ottobre 2003 n. 15403. (torna su)

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