Crisi coniugale e comodato della casa familiare – Cass. civ. Sez. III, 24 luglio 2013 n. 17941

E’ soggetto a risoluzione il comodato – gratuito e senza determinazione di durata – della casa coniugale, concesso al marito dai suoi genitori per farne abitazione familiare, nel caso in cui tale specifica destinazione dell’immobile cessi per effetto della crisi del matrimonio: ne consegue che la nuora che non restituisca il bene non ne è semplice possessore, ma comodataria quale parte sostanziale dell’originario accordo da lei tacitamente accettato, sicchè, se al fine di utilizzare la cosa debba affrontare spese di manutenzione (nella specie, straordinaria) può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante, anche se comportino miglioramenti, tenendo conto della non invocabilità da parte del comodatario stesso, che non è nè possessore nè terzo, dei principi di cui agli artt. 1150 e 936 c.c. [SP]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. UCCELLA Fulvio – Presidente -
Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere -
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere -
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 659/2010 proposto da: R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE MEDAGLIE D’ORO 72, presso lo studio dell’avvocato CIUFO CLAUDIO, rappresentata e difesa dall’avvocato SPARTI ROBERTO giusta delega in atti;
- ricorrente -

contro C.G. (OMISSIS), P.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE N. 38, presso lo studio dell’avvocato MONZINI MARIO, rappresentati e difesi dall’avvocato BLANDI MASSIMO giusta delega in atti;
- controricorrente -

sul ricorso 358/2012 proposto da: R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, P.LE MEDAGLIE D’ORO 72, presso lo studio dell’avvocato CIUFO CLAUDIO, rappresentata e difesa dall’avvocato SPARTI ROBERTO giusta delega in atti;
- ricorrente -

contro C.G., P.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MONZINI MARIO, rappresentati e difesi dall’avvocato BLANDI MASSIMO giusta delega in atti;
- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1227/2008 non definitiva della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 28/10/2008, R.G.N. 1387/2006;
avverso la sentenza n. 1320/2010 definitiva della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 13/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2012 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 2 dicembre 2003 al Tribunale di Palermo P.B. e C.G., premesso di esser proprietari di un immobile sito a Palermo e detenuto sine titulo da R.A., hanno chiesto la condanna al rilascio e al pagamento di un’indennità di occupazione.
La R. ha proposto domanda riconvenzionale per accertare il diritto di ritenzione in qualità di possessore dell’immobile e condannare gli attori al pagamento del valore delle opere realizzate su di esso.
Nella prima udienza gli istanti hanno specificato che il i ricorso era stato proposto ai sensi degli artt. 414 e 447 bis c.p.c., perchè il rapporto sottostante era di comodato.
Il giudice di primo grado, con sentenza non definitiva del 27 dicembre 2005, esclusa la nullità dell’edictio actionis contenuta in ricorso poichè dalle deduzioni delle parti alla prima udienza era desumibile che il godimento dell’immobile era stato concesso per destinarlo ad abitazione familiare della R. e di suo marito, figlio degli attori, ragion per cui aveva respinto l’istanza di trasformazione del rito da locatizio ad ordinario, accolse la domanda principale essendo venuta meno detta destinazione e perciò il comodato, dichiarò inammissibile la riconvenzionale e rimise la causa sul ruolo per quantificare l’indennità.
Quindi, con sentenza definitiva del 27 novembre 2008, il medesimo Tribunale condannò la R. a pagare Euro 14.296,58 per il periodo ottobre 2003 (data della richiesta restituzione) – gennaio 2006.

Interposto appello avverso la sentenza non definitiva, la Corte di appello di Palermo con sentenza del 28 ottobre 2008 lo ha respinto sulle seguenti considerazioni: 1) il Tribunale non aveva violato l’art. 112 c.p.c. avendo correttamente interpretato l’azione dei P. – C. fondata su un rapporto obbligatorio anche alla luce delle difese della R., e lo ha qualificato di comodato senza determinazione di durata attesa la sua destinazione non negata dalla stessa R., che aveva soltanto eccepito di esser rimasta estranea a tale contratto; 2) non vi erano elementi per trasformare la detenzione della R. in possesso, non essendo a tal fine sufficienti i lavori di ristrutturazione e completamento eseguiti sull’immobile e non dedotti come corrispettivo della concessione di godimento; 3) atteso il rito locatizio, scelto dagli attori e oggettivamente applicabile avuto riguardo anche alla posizione difensiva assunta dalla convenuta, la sua riconvenzionale, non proposta nei termini di cui all’artt. 416 e 418 c.p.c., era stata correttamente ritenuta inammissibile, implicitamente revocando l’ordinanza di remissione in termini del giudice istruttore; 4) nessuna mutatio libelli era ravvisabile da parte degli attori, ma soltanto qualificazione giuridica del fatto costitutivo costituente premessa logico – giuridica del petitum, e perciò correttamente il Tribunale aveva risolto il comodato per il venir meno della destinazione di esso ad abitazione familiare dopo la crisi coniugale e riconosciuto un danno per la mancata restituzione dell’immobile dopo la richiesta; 5) l’esecuzione di rilevanti opere di restauro dell’immobile non era attività idonea a mutare la detenzione in possesso, nè gli esborsi erano stati attribuiti a corrispettivo del godimento del bene, mentre, anche se il comodato si è concluso tra i genitori e il figlio, la destinazione a casa coniugale senza corrispondere alcunchè ha reso la R. partecipe di esso, nè d’altro canto la stessa ha mai affermato di aver esercitato un possesso uti dominus sull’immobile, contro la volontà dei proprietari; 6) la mancata restituzione dell’immobile è fatto potenzialmente idoneo a cagionare un danno al patrimonio dell’avente diritto e legittima la condanna generica.

Quindi la stessa Corte, in data 13 ottobre 2010, ha respinto l’appello avverso la predetta sentenza definitiva sulle seguenti considerazioni: 1) le questioni sull’esistenza del comodato erano precluse dal giudicato; 2) la mancata restituzione del bene concesso in comodato causa un danno risarcibile, determinabile in base al valore locativo; 3) pur se da luglio 2004 i suoceri della R. le avevano interdetto la strada di accesso all’appartamento, tuttavia era rimasto nella sua disponibilità non avendo restituito le chiavi e conseguentemente i titolari del bene non avevano potuto trarne nessuna utilità; 4) con la ricezione della diffida alla restituzione la R. era divenuta occupante sine titulo e quindi era sorto il corrispondente obbligo alla restituzione e perciò da detta data doveva esser calcolata l’indennità e non già dal termine dilatorio di quindici giorni concesso per la riconsegna; 5) dal 2003 la abusiva occupazione dell’immobile si era realizzata e quindi da detta data decorreva l’indennità, calcolata dal C.T.U. in considerazione dello stato dell’immobile al momento della consegna, non in base al mercato, pur essendo vigente la L. n. 431 del 1998, allorchè è iniziata l’occupazione sine titulo, ma in base alla legge 392 del 1978; i balconi erano di pertinenza dell’appartamento e non risultavano esser rimasti nella disponibilità dei suoceri; la categoria A/7 era corretta perchè l’immobile constava di primo e secondo piano e circostante terreno ed il coefficiente di vetustà doveva esser calcolato dal 1995, anno di completamento, all’ottobre 2003.

Ricorre per cassazione R.A. avverso la prima e seconda sentenza di appello, con separati ricorsi, cui resistono P. B. e C.G..

Motivi della decisione

1.- Per ragioni di economia processuale si riuniscono i ricorsi nn. 659 del 2010 e 358 del 2012 pur se le cause sull’an e sul quantum si sono svolte separatamente nei giudizi di merito essendo applicabile l’art. 274 cod. proc. civ. anche in cassazione.

1.1- Con il primo motivo avverso la sentenza non definitiva n. 1227 del 2008, la ricorrente deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 156, 159, 414, 418, 420, 426, 427 e 447 bis c.p.c., e dell’art. 24 Cost.. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)” e conclude con i seguenti quesiti di diritto: a) “Dica la Corte se un ricorso introduttivo di un giudizio (come quello trascritto a pag. 1) che introduce una domanda di restituzione di immobile detenuto senza titolo, fondata solo sulla proprietà ed in assenza di altre indicazioni, può avanzare un’azione contrattuale ex art. 447 bis, fondato su un comodato a cui il ricorso neppure accenna”; b) “Dica la Corte, ove ritenga sussistenti gli indicati vizi del ricorso, se l’assenza di qualsiasi riferimento (perfino implicito) ad un negozio eventualmente sussistente tra le parti determini la nullità dell’atto introduttivo del giudizio che il procuratore della parte affermi (soltanto in udienza) fondato su un negozio; e se il convenuto possa interpretare l’atto in modo corrispondente al suo contenuto, eccepirne la irritualità con richiesta di adeguarlo al rito ordinario da applicare alla domanda, o se tale facoltà è preclusa dalla nullità; c) Dica la Corte se il rito da applicare all’azione dipende dal contenuto della domanda o da altri criteri e se si possa instaurare un rito diverso da quello applicabile al contenuto dell’atto introduttivo del giudizio per effetto di una mutazione nell’allegazione dei fatti della domanda attrice formulata in udienza, e se ciò sia possibile anche se il convenuto nella prima difesa dichiara di non accettare il contraddittorio sulla nuova domanda; d) Dica la Corte se l’attore possa iniziare un giudizio di riconsegna, fondato esclusivamente sulla proprietà dell’immobile, e possa successivamente (dopo aver preso visione delle difese del convenuto ed in particolare della domanda riconvenzionale di rimborso, al possessore in buona fede, dei lavori eseguiti sull’immobile) mutare la domanda ponendovi a fondamento un comodato proposto per la prima volta in udienza; e) Dica la Corte quali siano le conseguenze processuali dell’assenza di allegazioni dei gravi motivi per procedere alla modifica della domanda di cui all’art. 420 c.p.c.; f) Dica la Corte se l’instaurazione del rito locatizio ad una domanda incompatibile con esso abbia portato lesione dei diritti della difesa e spiegando in qual modo sanare tale lesione, ove ritenuta sussistente; g) Dica la Corte con quale rito andrà celebrato il giudizio di rinvio, nel caso in cui venga disposto”.
Il motivo è infondato.

Dalla sentenza di appello emerge con chiarezza i fatti ritenuti rilevanti dal giudice di primo grado per qualificare la domanda: 1) sulla base della domanda degli attori di rilascio dell’immobile per occupazione senza titolo e della difesa della convenuta che aveva dichiarato che la disponibilità di esso era stata concessa a suo marito per destinare la casa ad abitazione coniugale, correttamente il rapporto era stato qualificato di comodato e assoggettato al rito locatizio, avviato dagli attori con il ricorso; b) conseguentemente la domanda riconvenzionale era inammissibile perchè non proposta nei termini di cui all’art. 418 c.p.c..
Pertanto i giudici di merito hanno osservato il principio secondo il quale colui che non chiede l’accertamento del suo diritto di proprietà e non agisce affermando che il convenuto è possessore del suo bene, ma che lo detiene senza titolo, esercita un’azione personale di restituzione per mancanza originaria o sopravvenuta del titolo e se la domanda è introdotta con ricorso, fermo l’onere dell’attore di dimostrare che ricorrono gli elementi di fatto della fattispecie legale del rito prescelto, il convenuto, ancorchè ne adduca l’erroneità, ha l’onere di osservare le norme che quel rito impone, e cioè nella specie gli artt. 416 e 418 c.p.c., onde evitare di incorrere in decadenze e preclusioni.

Quanto poi alla qualificazione del rapporto, i giudici di merito hanno osservato il principio secondo il quale la domanda va individuata non limitandosi al tenore letterale della medesima, ma tenendo conto della natura della vicenda rappresentata in giudizio e delle precisazioni delle parti che possono specificare giuridicamente il fatto costitutivo del diritto. Infine, circa la violazione del diritto alla difesa, nessuna prospettazione è contenuta nel quesito, mentre d’altro canto le domande su cui il giudice abbia dichiarato di non pronunciare sussistendo una preclusione di carattere processuale, possono essere azionate in separato giudizio non essendo configurabile una preclusione da giudicato.

2.- Con il secondo motivo deduce: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione dell’art. 115 c.p.c.; artt. 1803 e 1809 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)” e conclude con i seguenti quesiti di diritto: a) “Dica la Corte se l’esistenza di un contratto di comodato negato ex adverso, può esser desunta soltanto dalla destinazione a casa familiare e dall’assenza di canone, nonostante il presunto comodatario abbia dato prova di avere sostenuto spese ingenti che hanno trasformato un immobile inabitabile in una casa definita in ogni sua parte; o se l’assenza del canone possa essere conseguenza di tali spese; b) Dica la Corte se alla luce di detta prova il presunto comodante avrebbe avuto l’onere di provare l’esistenza del contratto, anche deducendo prove in tal senso, o meno; c) Dica la Corte se è configurabile o meno l’esistenza di un comodato a fronte di prova di ingenti spese sostenute dal presunto comodatario per rendere l’immobile abitabile, o se spese ingenti per un contratto a causa naturalmente gratuita non determini la necessità di configurare altra tipologia contrattuale; e) Dica la Corte se è compatibile con il comodato la riconsegna di un immobile interamente definito a fronte dell’asserita iniziale consegna di un rustico inabitabile”.
Il motivo è infondato.

I giudici di merito, dopo aver evidenziato che la R. non aveva dedotto nessuna corrispettività tra il godimento dell’immobile e le opere eseguite, si sono infatti attenuti al principio secondo il quale il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione (nella specie, straordinaria) può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante, anche se comportino miglioramenti, tenendo conto della non invocabilità da parte del comodatario stesso, che non è nè possessore nè terzo, dei principi di cui agli artt. 1150 e 936 c.c..

3.- Con il terzo lamenta: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Violazione degli artt. 936, 1140, 1141, 1142, 1147, 1150, 1151 e 1152 c.c., dell’art. 429 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) e conclude con i seguenti quesiti di diritto: a) Dica la Corte se la prova della consegna della cosa posseduta da un terzo sia a carico di chi ne pretende il rilascio o meno; b) Dica la Corte se in assenza di tale prova il possessore può presumersi di buona fede o meno; c) Dica la Corte se avendo tale qualità il possessore può vantare il diritto di ritenzione, o meno”.

Il motivo è inammissibile perchè imperniato sulla richiesta di una nuova valutazione dei fatti senza contrapporre nessuna argomentazione giuridica alla sussunzione della fattispecie nella estensione del comodato, non soggetto a particolare forma, alla R. per effetto dell’art. 1332 cod. civ. avendo costei accettato, anche successivamente rispetto all’accordo tra i suoceri e suo marito tacitamente, di adibire l’immobile a destinazione di entrambi, senza il pagamento di corrispettivo, divenendo in tal modo parte in senso sostanziale di detto accordo.

4. – Con il quarto motivo deduce: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione degli artt. 418 e 184 bis c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)” e conclude con i seguenti quesiti di diritto: “a) Dica La Corte se un giudice, subentrato al precedente che abbia disposto la rimessione in termini di una parte, possa ignorare detto provvedimento e, senza revocarlo, possa non tenerlo in nessuna considerazione senza motivare in alcun modo in sentenza, e se la Corte di Appello possa ignorare l’eccezione avanzata nei motivi di gravame, senza motivare sul punto; b) Dica la Corte se la sentenza, laddove interpreta l’ordinanza come illustrato nel motivo, confonde o meno l’inammissibilità con una decadenza superata dall’ordinanza”.
Il motivo è infondato.

La Corte di merito, dopo aver evidenziato le suddette ragioni giuridiche, ha conseguentemente escluso l’incolpevolezza dell’errore della convenuta chiamata in giudizio con ricorso, nel non aver proposto la domanda riconvenzionale nei termini di cui all’art. 418 c.p.c., ed ha pertanto confermato l’esattezza della inammissibilità di detta domanda, non emendabile mediante la remissione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., ratione temporis applicabile, ed ha perciò ritenuto implicitamente revocato il relativo provvedimento.

Quindi il ricorso avverso la sentenza non definitiva n. 1227 del 2008 della Corte di Appello di Palermo va respinto.

5.- Con il primo motivo del ricorso avverso la sentenza definitiva della medesima Corte di Appello, n. 1320 del 2010 la R. deduce:
“Violazione degli artt. 112, 115 e 324 c.p.c., e art. 2909 c.c.. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″.
Erroneamente la Corte di merito ha ritenuto preclusa la questione concernente l’inesistenza del comodato essendo invece stata impugnata per cassazione la sentenza non definitiva della Corte di appello nel 2008 – per i motivi 1 e 2, che trascrive – ed infatti nessuna delle parti aveva eccepito il giudicato.
Il motivo è fondato, ma inidoneo a modificare la statuizione al riguardo, pur se con diversa motivazione.
Infatti il giudice dinanzi al quale prosegue il giudizio per la determinazione del quantum resta vincolato dalla decisione non definitiva – anche se non passata in giudicato agli effetti della prosecuzione del giudizio davanti a sè in ordine sia alle questione definite sia a quelle da queste dipendenti che debbono essere esaminate e decise sulla base dell’intervenuta pronuncia.

6.- Con il secondo motivo deduce: “Omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione degli artt. 1223, 2697 e 2733 c.c.. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″.
6.1- Con il terzo motivo lamenta: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (difetto di legittimazione attiva) e violazione dell’art. 100 c.p.c.. Artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″. I motivi, congiunti perchè attinenti all’omessa pronuncia dei giudici di appello sulla questione del difetto di legittimazione attiva dei proprietari dell’immobile a chiedere il danno e sulla conseguente inesistenza di esso in quanto il comodato è proseguito con il figlio degli attori – che invece secondo i fatti accertati in primo grado se ne era andato dall’immobile, tant’è che la R. si è difesa chiedendo il riconoscimento della sua qualità di possessore dello stesso – con la conseguenza da un lato che egli sarebbe l’unico legittimato a chiedere i danni, dall’altro che il bene per i proprietari è perciò infruttifero, sono inammissibili perchè le censure, attinenti alla titolarità del rapporto, introdotte per la prima volta con l’impugnazione avverso la sentenza definitiva di primo grado che ha determinato il danno, a cui il giudice era vincolato dalla sentenza non definitiva, non erano esaminabili dalla Corte di appello.

7.- Con il quarto motivo deduce: “Omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione dell’art. 112 c.p.c.. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″ e lamenta che la Corte di merito non ha considerato che da ottobre 2003 a luglio 2004 la R. è stata spogliata dal possesso dell’immobile, in cui è stata reintegrata nel novembre 2005, come riconosciuto con sentenza della Corte di appello n. 5427 del 2008 resa in altro giudizio tra le stesse parti e quindi la circostanza che abbia continuato a possedere le chiavi dell’immobile non è sufficiente per obbligarla a pagare l’indennità di occupazione.
La censura è infondata.

Ed infatti soltanto con la consegna all’avente diritto dell’immobile cessano gli obblighi dell’occupante, mentre è estranea a questo giudizio la questione del risarcimento del danno per l’illegittimità dello spoglio.

Concludendo va respinto anche il ricorso avverso la sentenza definitiva n. 1320 del 2010 della Corte di appello di Palermo.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte pronunciando sui ricorsi nn. 659 del 2010 e 358 del 2012 li rigetta. Condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione, pari ad Euro 3.500,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2013

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