“Ce la possiamo fare” [Armando Argano - 30 dicembre 2013]

Sarà dura, durissima, ma non tutto è perduto e forse ce la possiamo fare.
Ogni fine d’anno noi esseri umani siamo inevitabilmente portati a fare un bilancio dell’anno passato ed un bilancio di previsione per l’anno che viene, ma, nel caso dell’Avvocatura, lo sconfortante consuntivo comprende almeno il biennio 2012-2013.
Questo perchè in meno di due anni tra loro strettamente collegati abbiamo collezionato cocenti sconfitte in tema – a tacer d’altro – di mediaconciliazione, geografia giudiziaria, riforma professionale e parametri forensi.

Certo, qualcosina l’abbiamo “portata a casa”, come (per coloro cui interessa) la difesa tecnica nella mediaconciliazione o le amministrazioni condominiali, ma si tratta di contentini para-corporativi che lasciano il tempo che trovano.
A noi, invece, interessano le questioni che incidono pesantemente sull’intera categoria e, nel contempo, sulla collettività tutta, perchè avvocato debole significa difesa debole e quindi cittadino debole.

Queste righe non le scrivo all’esito di una indagine approfondita e documentata, ma conversando in scioltezza su noti accadimenti, sicchè lascio al lettore di giudicarne la fondatezza alla stregua delle proprie nozioni e convinzioni.

E così, sebbene io non sia un seguace delle teorie complottistiche o del grande fratello, è arduo non vedere in atto un complessivo e coordinato disegno di deprivazione della giustizia a tutto vantaggio di una a dir poco disinibita gestione del potere.
I segni ci sono tutti.
Si va dall’irragionevole aumento dei costi del “contributo unificato” alla carestia di stanziamenti per il sistema giustizia, dalla quasi inutile stanza di decantazione della mediaconciliazione alla scellerata eliminazione di importanti sedi giudiziarie, dalla confessoria proposta di abolire Tar e Consiglio di Stato e quella di istituire l’ennesima “megapoltrona” con il Garante Nazionale dei Detenuti.

Peraltro, usando una ridondante espressione che troppo spesso leggiamo negli atti defensionali con tanto di punti esclamativi, “V’è di più!” (già, persino).
Sono in arrivo anche la geniale “motivazione a pagamento”, la furbata della “motivazione de relato”, la ineffabile solidarietà patrimoniale del difensore con il proprio assistito in caso di lite temeraria, ulteriori limitazioni al ricorso per Cassazione, l’abolizione della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel caso di mutamento della persona del giudice, l’estensione dell’utilizzo del costosissimo braccialetto elettronico, il fantasioso “spaccio lieve di stupefacenti”, provvedimenti svuotacarceri per l’emergenza sovraffollamento (dài gente, diamoci da fare: più si delinque, più aumenta la popolazione carceraria, più ci saranno possibilità di essere sfrattati dalle celle e rimessi in libertà).

Insomma, la solita italiota e ultraquarantennale logica dell’emergenza che oramai, lungi dal poter essere considerata mera conseguenza dell’inettitudine della politica, assurge a metodo strutturato e consolidato che, inevitabilmente, fa pensare che un’intelligenza dietro debba pur esserci.

Gli avvocati, in tutti questo, sono colpiti due volte: sia dalla crisi economica diretta, come tutti i cittadini, sia dalla crisi economica indiretta, in quanto categoria professionale privata di molti indispensabili strumenti di lavoro.
Io credo che la profonda difficoltà finanziaria dell’Avvocatura sia dovuta, prima ancora che dalla più generale crisi di tutto l’occidente, dall’impossibilità di assicurare ai propri assistiti risultati ragionevoli: è infatti nostra comune esperienza vedere quasi tutti i potenziali clienti rinunciare alla tutela dei propri diritti non appena, lealmente, spieghiamo loro gli irragionevoli costi e tempi di una qualunque azione giudiziaria.
Insomma, è come se per al medico togliessero i farmaci e i luoghi di cura: inevitabilmente si trasformerebbe in una figura professionale quasi inutile per i suoi pazienti.

Dunque, non solo il bilancio consuntivo 2012-2013 è di enorme passivo, ma anche il bilancio preventivo per il 2014 espone gravi perdite.
Ma noi non porteremo i libri in Tribunale per dichiarare il fallimento della Giustizia, questo deve farlo il Guardasigilli che ne è amministratore delegato, dal momento che, nonostante la buona volontà di tanti magistrati e avvocati, la bancarotta è davvero prossima.
Noi, invece, continueremo a lottare, perchè è dovere civico dell’Avvocatura e perchè solo così, forse, ancora ce la possiamo fare”.

[Armando Argano - 30 dicembre 2013]

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