Famiglia – Cassazione Civile, sezione I, 27-12-2012 n. 23913

Ha diritto di riconoscere il figlio e dargli il proprio cognome anche il padre affetto da un deficit psicologico (nella specie alessitimia, consistente in carenza della competenza emotiva ed emozionale, con incapacità di riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi), valendo comunque la regola generale che mette al centro il diritto del minore a identificarsi come figlio di una madre e di un padre e ad assumere, così, una precisa e completa identità, derogabile solo se dalla pura e semplice attribuzione della genitorialità può derivare un danno gravissimo per lo sviluppo psicofisico del bambino. [SP]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19001/2011 proposto da: S.C. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso l’avvocato PALMERI GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato D’ASARO Giacomo, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -

contro

D.V.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EZIO 19, presso l’avvocato LA RICCA Marina, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ERMELINDA FILICICCHIA, giusta procura speciale per Notaio Dott.ssa MARIA CONCETTA TREDICI di TERMINI IMERESE – Rep.n. 5007 del 4.10.2011;
- controricorrente -

avverso la sentenza n. 36/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’08/11/2012 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato G. D’ASARO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato M. LA RICCA che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale per i Minorenni di Palermo ha respinto il ricorso proposto da D.V.R. ed avente ad oggetto la domanda di autorizzazione al riconoscimento del minore S.E., nato il (OMISSIS), dall’unione tra il D.V. e S. C., alla quale si era opposta la madre naturale.
Secondo il giudice di primo grado, le caratteristiche di personalità del D.V., che presentava tratti di psicopatologia (alessitimia), unita alla fragilità materna e all’elevata conflittualità tra le due aree familiari portavano a ritenere che il riconoscimento avrebbe posto il minore in una condizione pregiudizievole per il suo sviluppo psico-fisico. Su impugnazione del D.V., la Corte d’Appello di Palermo, sezione minorenni, ha riformato la decisione di primo grado sulla base delle seguenti argomentazioni:
a) il riconoscimento del figlio naturale è un diritto soggettivo costituzionalmente garantito del genitore che non si pone in contrapposizione con l’interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, come chiarito dagli orientamenti di legittimità. Di conseguenza tale diritto, cui corrisponde il diritto del minore ad acquisire un’identità personale nella sua effettiva connotazione psicofisica, come figlio di una madre e un padre determinati, può essere sacrificato, anche alla luce degli artt. 3 e 7 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (resa esecutiva con la L. n. 176 del 1991), solo in presenza di motivi gravi ed irreversibili tali da far ravvisare la probabilità di una forte compromissione del suo sviluppo psico-fisico;
b) La consulenza tecnica d’ufficio, espletata nel primo grado di giudizio, ha affermato che, pur in presenza di una certa sintomatologia, non erano stati identificati elementi controindicativi tali da compromettere la funzione genitoriale, ancorchè ancora da costruire, aggiungendo che in caso di accoglimento della domanda sarebbe stato necessario affiancare a tale nuova condizione un supporto psicologico-clinico, per entrambe le parti genitoriali. Il consulente tecnico d’ufficio aveva ravvisato, in particolare, nella conflittualità tra i due genitori il fattore di rischio più significativo, non evidenziando il richiedente alterazioni psicopatologiche o caratteristiche di personalità tali da incidere in modo pregiudizievole sulla capacità genitoriale, ancorchè non potesse negarsi un fattore di rischio.
c) Alla luce dell’indagine peritale e delle sue conclusioni, di conseguenza, la Corte d’Appello non ha ravvisato comprovati, gravi ed irreversibili motivi di compromissione dello sviluppo psico fisico del minore, tali da giustificare la soppressione del diritto soggettivo del genitore richiedente al riconoscimento e, nel contempo, dell’interesse del minore all’identità personale, inteso come diritto ad una genitorialità piena.
d) Rimane ferma la possibilità di regolare nelle sedi competenti le questioni relative all’esercizio della potestà dopo il riconoscimento.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione S. C., affidandosi a due motivi. Ha resistito con controricorso il D.V.. La ricorrente ha fatto pervenire memoria ex art. 378 cod. proc. civ., a mezzo posta, ricevuta il 5 novembre 2011.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 250 cod. civ. e degli artt. 3 e 7 della Convenzione di New York, resa esecutiva con L. n. 176 del 1991, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonchè il vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà, per avere il giudice di secondo grado posto al centro della propria decisione il diritto dell’adulto invece che l’interesse del minore. Così facendo l’idoneità genitoriale è stata presunta mentre l’esistenza di rischi per il minore è stata rimessa ad una futura concreta valutazione. Ne è conseguita un’erronea interpretazione dell’art. 250 cod. civ., per non aver ritenuto prevalente l’interesse del minore, e dell’art. 3, comma 1, della Convenzione di New York che afferma il carattere assolutamente prioritario dell’interesse del minore, nonchè dell’art. 7 secondo il quale conoscere i propri genitori è un diritto nella misura del possibile.
Nel secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 61 e 116 cod. proc. civ., nonchè il vizio d’insufficiente ed omessa motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, svolta in primo grado, da parte della Corte d’Appello. Secondo la parte ricorrente tale giudice ha aderito acriticamente alle risultanze dell’elaborato peritale, senza avvedersi che esse contrastavano con i dati clinici rilevati, alla luce dei quali il D.V. era risultato avere valori correlati alla sintomatologia psicopatologica della quale era sofferente, superiori al limite di “cut off”. La sentenza impugnata non ha riscontrato la lacuna e la contraddizione logica della consulenza nella parte relativa al rapporto tra rilevazioni cliniche e conclusioni, non risultando che il quadro del D.V. fosse caratterizzato solo dalla alessitimia, comunque reputata un fattore di rischio, ma da un complesso di fattori perturbativi.
Deve preliminarmente essere dichiarata l’inammissibilità della memoria ex art. 378 cod. proc. civ., di parte ricorrente, in quanto pervenuta a mezzo posta il 5/11/2012, oltre il termine di cinque giorni prima della data d’udienza, stabilito dalla norma. Al riguardo, secondo il costante =orientamento di questa Corte (Cass. n. 6996 del 1997; 15232 del 2001; 17726 del 2006; 182 del 2011), non è sufficiente, come per gli atti introduttivi del giudizio di legittimità, la tempestività della spedizione ai sensi dell’art. 134 disp. att. cod. proc. civ., comma 5, ma è necessario, in virtù dell’esigenza difensiva sottesa all’esame della memoria entro un congruo lasso di tempo, che l’atto sia pervenuto nel rispetto del termine stabilito nell’art. 378 cod. proc. civ..
Il ricorso non merita accoglimento. In ordine al primo motivo, deve rilevarsi che, all’interno del sistema costituzionale e convenzionale dei diritti fondamentali del minore, assume primario rilievo il diritto alla bigenitorialità come ineliminabile codice costitutivo della sua identità, oltre che come garanzia di uno sviluppo e di una crescita caratterizzati dall’apporto assistenziale ed educativo di entrambi i genitori. Lo sviluppo armonico della personalità del minore è fortemente influenzato dalla graduale costruzione di una precisa identità personale, di cui costituisce fattore determinante la genitorialità biologica. Per queste ragioni, il diritto del genitore ad essere autorizzato al riconoscimento del figlio naturale (in caso di dissenso dell’altro genitore), costituzionalmente fondato sull’art. 30 Cost., non si pone in contrapposizione, ma come misura ed elemento di definizione del correlato diritto del minore, “atteso il diritto del bambino ad identificarsi come figlio di una madre e di un padre e ad assumere, così, una precisa e completa identità” (Cass. n. 2878 del 2005). Il contesto costituzionale, convenzionale (art. 7 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nel quale è stabilito che il minore, nella misura del possibile, ha il diritto di conoscere i suoi genitori ed essere allevato da essi; l’art. 24 della Carta Europea dei diritti fondamentali che richiama la necessità di dare preminenza all’interesse superiore del minore) ed interno (art. 250 cod. civ., comma 4, secondo il quale il consenso non può essere rifiutato se corrisponde all’interesse del minore) di tutela di questo diritto si completa, tuttavia, con la previsione del limite, non valicabile, dell’interesse del minore, al quale, solo se necessario, può essere sacrificato il diritto alla bigenitorialità.
Tale limite, nel consolidato e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, è individuato nel pericolo “di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore correlato alla pura e semplice attribuzione della genitorialità” (Cass. n. 2645 del 2011), fondato su “comprovati motivi seri ed irreversibili”(Cass. n. 2878 del 2005). Alla luce di tale rigorosa e circoscritta determinazione del grado di compromissione dell’interesse del minore, è stato escluso il sacrificio del diritto al riconoscimento del figlio naturale nell’ipotesi di mera pendenza di un procedimento penale (Cass. n. 2645 del 2011) salvo che il richiedente non sia stabilmente inserito nella criminalità organizzata e sia detenuto per gravi reati, in ragione delle connotazioni fortemente negative sulla personalità del minore che tale ambiente può determinare (Cass. n. 23074 del 2005). La sentenza impugnata, contrariamente a ciò che afferma il ricorrente, ha esattamente inquadrato la propria decisione all’interno degli orientamenti soprarichiamati, ponendo al centro della sua valutazione il diritto del minore all’acquisizione dell’identità personale “nella sua integrale ed effettiva connotazione psicofisica, come figlio di una madre e di un padre determinati”. Partendo da questa esatta prospettazione dei diritti in gioco ha ritenuto che il quadro della personalità del richiedente così come emerso dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, espletata nel primo grado del giudizio, non fosse ostativo all’accoglimento della domanda, in quanto la sintomatologia riscontrata sul richiedente non è risultata incompatibile con l’esistenza e la possibilità di sviluppo di capacità genitoriali.
Tale giudizio non si è fondato sulla presunzione dell’idoneità del richiedente, come affermato dalla parte ricorrente, ma su un ampio ed approfondito esame dei fatti di causa, incentrato sulla valutazione contenuta nella consulenza tecnica d’ufficio. Tale indagine e le conclusioni tratte dalla Corte d’Appello sono incensurabili in questa sede in quanto fondate su una motivazione ampia ed esauriente che non ha trascurato l’insieme dei fattori, tra i quali anche la forte conflittualità esistente tra le famiglie di origine delle parti e una certa fragilità psicologica della madre naturale, emersi in causa. Ne consegue il rigetto di entrambi i profili di censura prospettati in ordine al primo motivo.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto, attraverso la censura relativa alla contraddittorietà delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio rispetto agli accertamenti svolti, prospetta una diversa valutazione delle circostanze di fatto ampiamente esaminate nella sentenza impugnata, sia in ordine al quadro psico-patologico del richiedente, sia in ordine alla complessiva valutazione della sua personalità, mostrando di confondere il piano dell’autorizzazione ex art. 250 cod. civ., comma 4, diretta a rimuovere esclusivamente l’ostacolo costituito dal dissenso dell’altro genitore in ordine all’attribuzione della genitorialità, con quello delle conseguenze dell’acquisto dello status genitoriale e dell’esercizio della potestà, sottoposti a diverso regime di tutela giurisdizionale.
La peculiarità della situazione di fatto giustifica la compensazione delle spese di lite del presente procedimento

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2012

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