Informazione oggettiva, non pubblicità commerciale

Armando Argano – componente Giunta AIGA
INFORMAZIONE OGGETTIVA, NON PUBBLICITA’ COMMERCIALE
Necessaria una riflessione sui limiti della pubblicità informativa
(Italia Oggi, Class Editori, 9 settembre 1999)

Eccessivo scalpore sta generando, in questi giorni, il varo da parte della Commissione Danovi della proposta di riforma dell’art. 17 del codice deontologico forense, perché abolitiva del tradizionale divieto di pubblicità per gli avvocati.
Non sembra, in verità, che si tratti di quella rivoluzione che vari commentatori paventano.
Vero è che (significativamente ?) la rubrica dell’articolo è mutata da “Divieto di pubblicità” in “Informazioni sull’esercizio professionale”, ma è peraltro vero che il C.N.F. si è ben guardato dall’autorizzare forme di pubblicità assimilabili a quelle commerciali (in tal senso Danovi in Italia Oggi del 26 agosto), consentendo invece unicamente la diffusione di informazioni “secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e riservatezza”.
Un approccio laico e sereno al problema deve innanzitutto considerare che una sorta di self restraint si era già formato nel diritto disciplinare vivente poiché, a quanto risulta e salvo per casi al limite dell’illecito penale, da tempo non vengono instaurati procedimenti per infrazioni al divieto in discorso.
Se anni fa veniva infatti ritenuto sanzionabile, per violazione dei doveri di serietà e riservatezza, persino l’inserimento in grassetto del proprio nome nell’elenco telefonico (Cons. Naz. Forense 23 settembre 1982, in Rass. Forense 1984, 72), cosa che oramai fanno quasi tutti senza timore, esistono ad esempio, e non da oggi, studi che gestiscono complessi siti internet con foto degli uffici, del personale e ridondante descrizione delle attività, così come società di capitali che offrono servizi legali (persino gratuiti mediante hot line) al fianco di quelli finanziari e commerciali.
In realtà, profondamente mutata la congerie sociale nella quale opera l’avvocato, era ineludibile rivedere i limiti all’informazione finalizzata all’ampliamento del bacino d’utenza professionale, magari nel più ampio quadro della riforma ordinamentale di cui si discute in questi giorni nel congresso dell’O.U.A..
Non è quindi condivisibile la visione allarmistica di alcuni, poichè condivisibile intendimento del C.N.F. appare quello di rimanere in limiti confacenti ad una attività, come quella forense, non mercantile, ma di elevato rango pubblicistico.
Neppure è da temere che la ricchezza di certe strutture possa così automaticamente ampliarsi a scapito di quelle più piccole, quantomeno perchè ben diverse sarebbero le fasce di clientela destinatarie del messaggio informativo.
Probabilmente, ferma una sorta di liberalizzazione, andrà ripensato il tenore letterale della disposizione, che, pur riferendosi ai massimi principi etici o paraetici delle attività intellettuali, non risolve in concreto il problema delle modalità attuative.
Naturalmente occorrerà riflettere su varie questioni.
Si veda il caso di un noto studio che ha inserito nel proprio sito internet il positivo giudizio espresso su uno dei titolari da una rivista forense estera: ebbene, pur potendosi in astratto ritenere lecito tale comportamento, è pur vero che in tal modo sarebbe per chiunque possibile esporre presunti meriti godendo di adeguate conoscenze nel mondo giornalistico.
Probabilmente la soluzione starà allora nel consentire la diffusione di dati e fatti oggettivi, ma mai di giudizi e aggettivazioni, di tal che, proseguendo con l’esempio del sito internet, l’avvocato potrà esporre i dati riguardanti luoghi, dimensioni, persone, titoli e campi di particolare applicazione, mentre non potrà invece inserire in alcun modo espressioni laudative o comparative.

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