La colpa lieve di cui alla Legge Balduzzi non ricorre nel caso del medico che rinvia, senza opportune cautele, un intervento urgente – Cassazione Penale, Sez. V, 10 gennaio 2014 n. 660

Non versa in colpa lieve e quindi non va esente da responsabilità penale ai sensi dell’art. 3 Legge Balduzzi (L. 189/2012), il medico che, omettendo anche di predisporre il monitoraggio cardiografico della paziente, dispone il rinvio di un intervento di parto cesareo già programmato come urgente e, con la morte del feto la notte seguente alla giornata programmata, evidentemente unico atto idoneo ad impedire l’evento letale. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente -
Dott. FUMO Maurizio – Consigliere -
Dott. ZAZA Carlo – rel. Consigliere -
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere -
Dott. LIGNOLA Ferdinando – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da: T.P.E., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/05/2012 della Corte d’Appello di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e i motivi aggiunti presentati dal ricorrente;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. D’ANGELO Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. Milicia Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso depositando nota spese;
udito per l’imputato l’avv. D’Ascola Vincenzo Nico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Calabria del 12/05/2008, la Corte d’Appello di Reggio Calabria dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione, confermando la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile, nei confronti di T.P.E. per il reato di cui alla L. 22 maggio 1978, n. 194, art. 13 commesso il (OMISSIS) quale primario del reparto di ginecologia degli Ospedali Riuniti di (OMISSIS) cagionando per negligenza l’interruzione della gravidanza di P.T. ed in particolare omettendo di disporre la prosecuzione del tracciato cardiografico, nonostante lo stesso avesse evidenziato la comparsa di tachicardia fetale, e di praticare un immediato intervento di taglio cesareo.

L’imputato ricorre sull’affermazione di responsabilità e deduce violazione di legge nel rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni della teste B., sulle quali il giudizio era fondato in misura determinante, nel momento in cui le stesse acquisivano contenuto autoaccusatorio, emergendovi che la teste aveva concorso in una delle condotte ascritte all’imputato condividendo con lo stesso la decisione di rinviare al giorno seguente l’intervento di taglio cesareo; denunciando sul punto l’irrilevanza delle argomentazioni della Corte territoriale in ordine al non essere stata la B. formalmente indagata, laddove ai fini del divieto di utilizzazione di cui all’art. 63 c.p.p., comma 2 occorre aver riguardo alla posizione sostanziale del testimone, ed al riscontro delle dichiarazioni della B. in quelle della persona offesa, riscontro non necessario per dichiarazioni utilizzabili e necessario invece per dichiarazioni provenienti da una persona indagata e quindi, per come assunte nella fattispecie, inutilizzabili. Il ricorrente lamenta altresì contraddittorietà della motivazione nell’attribuzione all’imputato di una condotta omissiva rispetto all’effettuazione di un taglio cesareo rinviato dopo essere stato programmato per il (OMISSIS), programmazione che contrasta con la contestata omissione.
Con motivi aggiunti, il ricorrente deduce violazione di legge osservando che il sopravvenuto L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, comma 1, esclude la responsabilità penale per colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria il quale si attenga a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, le quali, come da documentazione allegata ai motivi, non prevedono il taglio cesareo come intervento da praticarsi nei casi di epatogestosi, quale quello riscontrato nei confronti della persona offesa, se non in conseguenza di una sofferenza fetale derivante quale complicanza dall’induzione farmacologica del travaglio, situazione non ricorrente nel caso di specie, in cui la P. partoriva spontaneamente.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, nei termini di seguito meglio specificati.
Non priva di fondamento è per il vero l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni della teste B.. Dalla stessa sentenza impugnata risulta che la Br. veniva ricoverata nella giornata di sabato (OMISSIS) presso gli Ospedali Riuniti di (OMISSIS) con una diagnosi di epatogestosi della propria ginecologa di fiducia, confermata dalle prime analisi; che la sera della successiva domenica la paziente veniva preparata per un intervento di taglio cesareo programmato per il giorno seguente dai medici di turno Tr. e S.; che al mattino del (OMISSIS) la B., quale medico di turno in quella giornata, diceva alla Br. che l’intervento era stato rinviato al giorno successivo in quanto ritenuto non urgente; e che la B. era stata peraltro informata dal Tr. della necessità di ripetere il tracciato cardiografico al fine di verificare l’eventuale insorgere di una sofferenza fetale, non esclusa dal tracciato eseguito la sera precedente.

Questa situazione evidenzia elementi per i quali, anche a prescindere dalle dichiarazioni rese al dibattimento dalla B., la stessa era nella condizione di essere indagata per il reato in ordine al quale si procede; condizione che non veniva in realtà esclusa dalla Corte territoriale, la quale affidava il rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni della teste al mero dato formale del non essere stata la stessa iscritta nel registro degli indagati.
Dato tuttavia insufficiente, laddove l’attribuibilità della qualità di indagato al teste, nel momento in cui le dichiarazioni dello stesso vengono rese, deve essere verificata dal giudice in termini sostanziali, irrilevanti essendo aspetti formali quali, per l’appunto, l’iscrizione nel registro degli indagati (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584).

Posta pertanto la mancanza di una congrua motivazione sull’utilizzabilità delle dichiarazioni della B., l’ulteriore accenno della sentenza impugnata alla convergenza di dette dichiarazioni con quelle della persona offesa, se è indubbiamente inconferente ai fini della questione di inutilizzabilità, è tuttavia di fatto indicativo della necessità di verificare gli effetti concreti sul compendio probatorio del venir meno dell’apporto dichiarativo della B.. Si tratta in altri termini di valutare se, prescindendo da tali dichiarazioni, gli altri elementi esposti nella motivazione della sentenza raggiungano o meno autonomamente un analogo risultato probatorio, sottoponendo detti elementi alla cosiddetta prova di resistenza, praticabile anche nel giudizio di legittimità (Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, Rizzo, Rv. 241299; Sez. 2, n. 14665 del 13/03/2013, Consoli, Rv. 255786).

Orbene, i giudici di merito osservavano come le dichiarazioni della persona offese concordassero con quelle del marito R.N., dell’amico di questi M.B. e del medico ematologo R. sull’originaria programmazione del parto cesareo per il (OMISSIS) e sull’inspiegabile rinvio dell’intervento al mattino di quel giorno senza che fosse ripetuto il tracciato cardiografico; ed aggiungevano che ancora la persona offesa riferiva di essere visitata dal primario al mattino di quel (OMISSIS), successivamente al rinvio dell’intervento, che il T. non poteva dunque che aver approvato. La responsabilità dell’imputato è dunque oggetto, nell’articolato motivazionale della sentenza impugnata, di una prova già autonomamente ricostruibile in base ad elementi diversi dalle dichiarazioni della B.; la cui inutilizzabilità non incide in conclusione sulla consistenza di questo quadro probatorio.

Infondata è poi la censura di contraddittorietà della motivazione nell’attribuzione all’imputato di una condotta omissiva in relazione ad un intervento in effetti programmato e solo successivamente rinviato.
Come correttamente osservato nella sentenza impugnata, la condotta omissiva era per l’appunto individuata nell’omessa esecuzione dell’intervento nella data per la quale lo stesso era stato programmato; disponendo al contrario un rinvio che non impediva la cessazione della vita del feto nella notte fra il (OMISSIS).

Sono da ultimi infondati i rilievi, proposti con i motivi aggiunti, in ordine all’esclusione della responsabilità medica, ai sensi del sopravvenuto L. n. 189 del 2012, art. 3 in casi di colpa lieve nell’osservanza di linee guida riconosciute.
A prescindere dalla considerazione per la quale le linee guida allegate dal ricorrente non sembrano escludere la praticabilità del taglio cesareo, occupandosi del diverso tema dell’imprevedibilità dello sviluppo letale della epatogestosi e della conseguente necessità di un’accurata informazione del paziente sul tema, la condotta ascritta all’imputato non può assolutamente essere ritenuta come connotata da colpa lieve, nelle concrete circostanze della vicenda.

La sentenza impugnata richiamava a tale proposito le risultanze peritali, per le quali la diversa tecnica dell’induzione farmacologica al parto, richiamata dal ricorrente quale alternativa al taglio cesareo, era ormai inutile, in una situazione nella quale la paziente era giunta alla trentasettesima settimana di gravidanza, il feto era già maturo e l’induzione farmacologica si sarebbe risolta in un pericoloso prolungamento della gestazione.
Ma, a parte questo, determinante è la considerazione per la quale, come più volte sottolineato, il parto cesareo era stato in concreto programmato come intervento urgente, da effettuarsi nella prima giornata feriale dopo il ricovero della Br..
Tanto esclude che il rinvio dell’operazione, oltretutto non accompagnato da un monitoraggio cardiografico della paziente, fosse conforme a buone pratiche; e comunque nel momento in cui il feto cessava di vivere la notte seguente alla giornata programmata per il taglio cesareo, rende coerenti le conclusioni della sentenza impugnata sull’essere tale intervento l’unico a quel punto idoneo ad impedire l’evento letale.

Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che avuto riguardo alla dimensione dell’impegno processuale si liquidano in Euro 2.200 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione di quelle sostenute per il presente giudizio dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.200 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2014

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