La voce “esame e studio” della tariffa penale ex D.M. 585/1994 è applicabile solo agli incombenti ivi tassativamente previsti e non è estensibile analogicamente ad altre ipotesi [Cons. Stato, sez. 3^, 13 aprile 2016 n. 1467].

L’onorario “esame e studio” della tariffa penale di cui al D.M. 5 ottobre 1994 n. 585 è applicabile solo agli incombenti ivi tassativamente previsti e non è estensibile analogicamente ad altre attività defensionali [AA].

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8289 del 2009, proposto da: R.A., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Di Nola, con domicilio eletto presso Francesco Prota in Roma, Via Boncompagni, 61;

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli Sezione VI n. 08713/2008, resa tra le parti, concernente rimborso spese di giudizio sostenute per la difesa in un processo penale

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2015 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e udito per la parte appellata l’avvocato dello Stato Ferrante Wally.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, all’epoca dei fatti dipendente della Polizia di Stato con la qualifica di Sovrintendente, ha subìto un processo penale per gravi imputazioni (comportanti anche la custodia cautelare in carcere), che peraltro si è concluso con sentenza di assoluzione con formula piena.

Dopo l’assoluzione l’interessato ha presentato all’amministrazione di appartenenza una domanda di rimborso delle spese difensive relative al processo penale, ai sensi dell’ art. 18 del decreto legge 25.3.1997, n. 67, convertito con L. 23 maggio 1997, n. 235.
La norma citata dispone: “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato”.

2. L’istanza è stata accolta relativamente all’an debeatur; l’amministrazione, cioè, ha riconosciuto i presupposti per il rimborso delle spese difensive sostenute.
La controversia invece è sorta relativamente al quantum.
L’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. Campania (r.g. n. 2176/2006) contro la liquidazione effettuata dal Ministero su parere dell’Avvocatura dello Stato. In corso di causa sono intervenute nuove determinazioni, parzialmente più favorevoli (provvedimento 3 gennaio 200 ); l’interessato ha proposto “motivi aggiunti” per contestare la nuova quantificazione nella parte in cui questa risultava non pienamente satisfattiva.
Con sentenza n. 8713/2008, il T.A.R. Campania ha dichiarato parzialmente cessata la materia del contendere ed ha rigettato le residue pretese del ricorrente.

3. L’interessato ha proposto appello a questo Consiglio di Stato, insistendo nelle sue domande.
L’Amministrazione si è costituita per resistere all’appello.
Il giudizio viene ora in decisione.

4. Nel merito conviene premettere che si discute della congruità del rimborso liquidato con il provvedimento del 3 gennaio 2008 , su conforme parere dell’Avvocatura dello Stato in data 10 aprile 2007, con riferimento alle tariffe professionali approvate con decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585.

Di fatto, con l’ultimo provvedimento intervenuto e riconosciuto pienamente legittimo dal T.A.R., è stato liquidato l’importo di Euro 31.067,62, più una maggiorazione del 25% per la particolare complessità della causa, per un totale di Euro 38.834,58 (più il contributo CPA e l’IVA).

Con i “motivi aggiunti” in primo grado, notificati l’8 marzo 2008, e richiamati a pag. 5 dell’atto di appello, l’interessato aveva chiesto l’elevazione dell’importo base ad Euro 46.887,00 (mediante un diverso conteggio di prestazioni con criteri che non erano stati accettati dall’Avvocatura dello Stato) e l’elevazione, altresì, della “maggiorazione” al 50%.

5. Ciò premesso, la prima questione da risolvere è quella del criterio per il computo degli onorari dovuti per la voce “esame e studio” (voce 2 della tabella “tariffa penale” del D.M. n. 585 del 1994, e relative specificazioni).

Nel parere 10 aprile 2007 l’Avvocatura Distrettuale di Napoli ha riconosciuto la spettanza della suddetta “voce” di onorari per 11 attività inerenti alla fase delle indagini preliminari; per 7 attività inerenti alla fase dell’udienza preliminare; per 5 attività inerenti al giudizio, a fronte del ben più elevato numero di “attività” computato dal difensore dell’interessato nella propria parcella.

In sostanza, la tesi dell’Avvocatura dello Stato era che l’onorario per “esame e studio” spetta ogni volta che venga compiuta una delle attività defensionali indicate dalla tabella (es.: partecipazione ad ogni udienza; redazione di istanze o memorie; etc:), con riferimento ogni volta all’esame ed allo studio della complessiva posizione dell’imputato, mentre la difesa dell’interessato ritiene che la voce di tariffa debba essere applicata anche all’esame di singoli atti o documenti che vengano acquisiti al fascicolo processuale.

Il T.A.R. ha motivatamente giudicato corretta la tesi prospettata dall’Avvocatura dello Stato.
L’appellante ripropone la propria tesi contraria.

6. Il Collegio ritiene di confermare, sul punto, la sentenza appellata.
Viene in esame la tabella della “tariffa penale” del D.M. n. 585 del 1994 , e più precisamente il punto 2 relativo alla voce “esame e studio”.

La nota esplicativa è del seguente tenore: “L’onorario è dovuto: in occasione della prima sessione, prima della partecipazione od assistenza, nella fase delle indagini preliminari, ad atti od ad attività, da chiunque compiuti, per cui sia richiesta o prevista la partecipazione del difensore; prima della partecipazione ad ogni udienza in camera di consiglio o dibattimentale; dopo la comunicazione o la notificazione di richieste, decreti, ordinanze o sentenze, o dell’avviso del deposito di uno di questi atti, di cui si sia esaminata la copia; all’atto della redazione di denunce, querele, istanze, richieste, memorie; della dichiarazione di impugnazione, di opposizione a decreto penale, di costituzione di parte civile, di intervento del responsabile civile o del civilmente obbligato per la pena pecuniaria“.

Come si vede, si tratta di un’elencazione minuziosa e precisa, concepita come tassativa, e non come esemplificativa.
La tesi dell’appellante si risolve, invece, nel dilatare la portata dell’elenco sino ad applicare la voce di tariffa anche all’esame di singoli documenti, diversi da quelli indicati.
Per questa parte, dunque, l’appello va respinto e l’importo base del rimborso va confermato in Euro 31.067,62.

7. L’appello va, invece, accolto relativamente alla questione della “maggiorazione” prevista dalla tariffa per la speciale complessità del processo e delle imputazioni.
Tale maggiorazione è stata concessa dall’amministrazione nella misura del 25% dell’importo base; nell’atto di appello (pag. 5) si insiste, invece, per una maggiorazione del 50%.
Il Collegio ritiene che tale domanda possa essere accolta.

Al riguardo va considerato che l’interessato, sovrintendente della Polizia di Stato, era stato imputato per corruzione (art. 319, c.p.) e associazione per delinquere di tipo mafioso (art. 416-bis, c.p.) subendo la custodia cautelare in carcere per oltre sei mesi; il tutto sulla base di dichiarazioni di c.d. “pentiti”, successivamente imputati di calunnia.

Come si può comprendere, l’istruttoria è stata particolarmente laboriosa, essendosi rivelato necessario l’approfondimento delle testimonianze rese dai “pentiti”, e l’attività defensionale è stata ugualmente laboriosa e complessa.
L’appellante ha dedotto che nei confronti di altri suoi colleghi, coimputati nello stesso processo, il rimborso delle spese legali è stato maggiorato con il coefficiente più elevato; donde la censura di “disparità di trattamento”.

Questa censura è stata respinta dal T.A.R. con riferimento all’ampia discrezionalità inerente alle determinazioni in parola, ma, ad avviso di questo Collegio, questa argomentazione non è pertinente, perché – pur considerando la discrezionalità amministrativa – la diversità di trattamento per casi apparentemente uguali dovrebbe trovare una adeguata giustificazione nelle rispettive motivazioni delle suddette determinazioni, mentre, nel caso di specie, il mancato riconoscimento della quota di maggiorazione del 50% risulta priva di motivazione.
Il vizio di disparità di trattamento, inoltre, non può ritenersi superato per il fatto (considerato invece rilevante dalla sentenza appellata) che le domande di rimborso erano state esaminate da uffici diversi (rispettivamente l’Avvocatura Generale e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato).

Pertanto all’appellante va riconosciuta la maggiorazione del 50%, anziché del 25%, sull’importo base liquidato in Euro 31.067,052; inoltre sulla differenza ancora dovuta saranno calcolati gli interessi legali .

8. In conclusione l’appello va accolto parzialmente nei sensi illustrati e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza di primo grado, va riconosciuta all’appellante la maggiorazione del 50% (anziché quella del 25%) sull’importo base delle spese legali liquidato dall’Amministrazione, mentre per la restante parte va respinto.

Tenuto conto della parziale soccombenza dell’appellante, le spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00 oltre gli accessori di legge e con rimborso del contributo unificato, se assolto, sono poste a carico del Ministero dell’Interno, che le verserà alla parte appellante con distrazione a favore del difensore antistatario, compensate per la residua parte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie in parte qua l’appello nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza di primo grado, annulla per quanto di interesse il provvedimento 3 gennaio 2008 nella parte in cui non la riconosciuto all’appellante la spettanza della maggiorazione del 50% sull’importo base liquidato per le spese legali, con l’obbligo dell’Amministrazione di computare gli interessi sulla somma di cui l’appellante risulterà creditore, per la restante parte lo respinge.

Pone le spese di entrambi i gradi di giudizio in parte a carico del Ministero dell’Interno e le liquida in Euro 4.000,00 oltre gli accessori di legge e con rimborso del contributo unificato, se assolto, disponendo, altresì, che siano versate alla parte appellante con distrazione a favore del difensore antistatario, per la residua parte le compensa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

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