L’amministratore di diritto risponde penalmente ex art. 40 comma cod. pen. della bancarotta fraudolenta per distrazione commessa dall’amministratore di fatto [Cassazione Penale, Sez. V, 5 febbraio 2015 n. 5590]

La sentenza dichiarativa di fallimento non costituisce condizione obiettiva di punibilità, nè costituisce evento del reato, integrando invece di questo una condizione di esistenza, ossia un elemento costitutivo della fattispecie criminosa che, nella bancarotta prefallimentare, segna il momento consumativo: pertanto, ai sensi dell’art. 40 comma 2 cod. pen., l’amministratore di diritto risponde penalmente della bancarotta fraudolenta per distrazione commessa dall’amministratore di fatto, atteso che si tratta di reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori.
Per effetto di quanto implicitamente statuito nella sentenza della Corte Costituzionale 31 maggio 2012 n. 134, va inoltre ribadito che la pena accessoria che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in misura fissa e inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DUBOLINO Pietro – Presidente -
Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere -
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere -
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere -
Dott. POSITANO Gabrie – rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

sentenza

sul ricorso proposto da: R.D. N. IL [omissis]; R.E. N. IL [omissis];
avverso la sentenza n. 1466/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del 15/07/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 18/11/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Gabriele Positano;
Il Procuratore generale della Corte di Cassazione, dr Eduardo Vittorio Scardaccione, conclude chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il difensore di R.D. ed E. propone separati ricorsi per cassazione contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano, in data 15 luglio 2013, che, in parziale riforma in punto di pena della sentenza di condanna adottata dal Giudice per le indagini preliminari di Milano, in data 11 ottobre 2008, che aveva affermato la responsabilità degli imputati per i reati previsti dagli artt. 81 e 110 c.p., e art. 223, comma 1, in relazione alla L. Fall., art. 216, riduceva la sanzione per R.E., ad anni due di reclusione e per R.D., ad anni uno e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la decisione impugnata.

2. Gli imputati R.D. e R.E., rispettivamente figlio e padre, erano stati condannati con giudizio abbreviato per il reato di concorso in bancarotta patrimoniale per distrazione e dissipazione, ai danni della S.r.l. The Bridge, società di natura “familiare”, dichiarata fallita in data [omissis]. In particolare, R.D., è stato ritenuto responsabile, quale amministratore unico prima, e amministratore di fatto, poi, ed anche componente del Consiglio di Amministrazione e amministratore di fatto, sino alla data del fallimento; R.E., quale amministratore di fatto dal 1995 al 27 luglio 2002 e, successivamente a tale data, anche quale componente del Consiglio di Amministrazione.
La condotta di dissipazione riguardava l’importo complessivo di Euro 227.000 erogato dalla società fallita alla Erregi, mentre la distrazione riguardava l’importo di Euro 31 mila corrisposto, nell’anno 2003, alla società The Bridge International, senza alcun rapporto sottostante.

3. La decisione di primo grado aveva affermato la responsabilità degli imputati rilevando che R.D. aveva ricoperto nella società, oltre agli incarichi amministrativi di tipo formale, anche un ruolo amministrativo effettivo, oltre ad avere costantemente lavorato nella società anche come addetto alla gestione dei clienti e dei pagamenti.
Inoltre, era anche socio della fallita, unitamente al padre, poichè i due possedevano la totalità delle quote, a partire dall’anno 1995.

4. Il padre, R.E. aveva svolto il ruolo di gestore di fatto nel corso di tutta la vita della società.
Inoltre non risultavano connesse agli scopi sociali le uscite in favore delle due società di famiglia indicate nel capo di imputazione, che, secondo la tesi della difesa, avrebbero avuto ad oggetto rimborsi per servizi resi in favore della fallita (la questione riguardava i rapporti con la società Errebi e la società The Bridge International).

5. Avverso tale decisione hanno proposto appello di imputati chiedendo l’assoluzione perchè il fatto non sussiste, anche nell’ipotesi di riqualificazione del reato come bancarotta semplice.

6. La Corte d’Appello ha ritenuto infondati i motivi di impugnazione, confermando la decisione di primo grado con riferimento all’affermazione di responsabilità e riducendo la pena inflitta ai due imputati.

7. Avverso tale decisione il difensore degli imputati propone separati ricorsi, lamentando in entrambi gli atti:
- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta, mediante distrazione e dissipazione;
- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta mediante distrazione e dissipazione;
- violazione di legge e incongruità della motivazione riguardo alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta e non del reato di bancarotta semplice;
- violazione di legge con riferimento alla L. Fall., art. 216, e art. 37 c.p., oltre a mancanza di motivazione, in ordine al profilo sanzionatorio.

Motivi della decisione

La sentenza impugnata non merita censura.

1. Con il primo motivo dei ricorsi di entrambi gli imputati la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta, mediante distrazione e dissipazione, rilevando che la Corte territoriale ha individuato la dissipazione del saldo passivo per Euro 227.000 nelle movimentazioni intercorse tra la società fallita e la s.a.s. Erregi, capogruppo della piccola holding di famiglia, facente capo all’imputato, mentre la distrazione patrimoniale riguarda gli esborsi corrisposti ad altra società del gruppo, collegata, The Bridge International.
La difesa evidenzia che l’atto dissipativo o quello distrattivo devono essere idonei a ledere l’interesse dei creditori. Circostanza non ricorrente nel caso di specie, ribadendo quanto già evidenziato in sede di appello e cioè l’esistenza di anticipazioni di spese da parte di The Bridge International, in favore della fallita sin dall’anno 2002 e contestando le valutazioni, in fatto, operate dalla Corte territoriale.

2. La censura è infondata. La Corte territoriale ha evidenziato, con motivazione puntuale e logicamente corretta, che gli importi indicati nel capo di imputazione sono usciti dalle casse della società fallita negli anni 2003-2004, in favore di società riconducibili ai medesimi imputati.
Per quanto riguarda la società Erregi, sono documentati trasferimenti di somme significative, superiori a quelle indicate nel capo di imputazione che, però, risultano in parte compensate con movimenti finanziari di senso inverso, per cui, correttamente, la contestazione riguarda soltanto quelle uscite che non risultano giustificate e compensate da corrispondenti entrate.

Ciò consente di superare i rilievi della difesa. In particolare, si legge in sentenza, l’erogazione di Euro 227.000 in favore della società Erregi, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, non può trovare giustificazione nel rimborso di spese sostenute dalla società per l’impiego di beni per la fruizione di servizi costituiti dall’utilizzo aziendale di tre autovetture di grossa cilindrata, effettivamente intestate alla società Erregi.
Si tratta di pagamenti effettuati in misura tale (oltre Euro 200.000) da risultare del tutto sproporzionati rispetto al servizio di cui la società fallita avrebbe fruito.
La Corte territoriale ha evidenziato che, del trasferimento dei costi sostenuti da Erregi, non risulta alcuna traccia documentale, neppure un semplice prospetto riepilogativo periodico dei valori di cui tale società chiedeva il rimborso alla fallenda.

3. Analoghe considerazioni riguardano i versamenti effettuati in favore di The Bridge International, dovendosi condividere la puntualizzazione operata dalla Corte territoriale riguardo al fatto che la somma di Euro 31 mila era stata erogata prima del pagamento dei canoni di locazione ancora da parte della presunta società beneficiaria e che, secondo la difesa, avrebbero dovuto essere rimborsati sulla base di un contratto di affitto non ancora concluso.

4. Con il secondo motivo la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta, mediante distrazione e dissipazione, rilevando che il pregiudizio determinato tra tali condotte, come riconosciuto anche dalla Corte territoriale, non era oggetto del dolo degli imputati per assenza di volontà predatoria. Al contrario l’orientamento della giurisprudenza di legittimità ha recentemente affermato che anche il danno alle garanzie dei creditori deve essere oggetto di dolo (Cass. Sez. 5, 24 settembre 2012 n. 74502, Corvetta).
In particolare, R.D. quale consigliere non operativo dell’azienda paterna, non aveva un’effettiva conoscenza delle operazioni societarie e non aveva effettivi poteri decisionali, in considerazione della concreta subordinazione al padre E..

5. Non è condivisibile la censura, con cui il ricorrente, adducendo un recente arresto giurisprudenziale di questa stessa sezione (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493), si fa portatore della tesi giuridica secondo cui, ad integrare il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sarebbe necessaria la sussistenza di un nesso causale, coperto dal dolo, fra gli atti di distrazione e la dichiarazione di fallimento.

Va osservato a riguardo che, alla stregua di un insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, risalente alla sentenza n. 2 del 1958 (imputato M.) e rimasto sostanzialmente costante nel tempo, la dichiarazione di fallimento non costituisce una condizione obiettiva di punibilità, ma una condizione di esistenza del reato; si tratta, in definitiva, di un elemento costitutivo della fattispecie criminosa che, nella bancarotta prefallimentare, segna il momento consumativo del reato ad ogni effetto di legge. Ciò, tuttavia, non significa che le si possa attribuire la qualifica di evento, come se non fosse data via di uscita rispetto all’alternativa tra condizione obiettiva di punibilità ed evento del reato.
Dalle Sezioni Unite viene l’ulteriore insegnamento secondo cui, nella struttura dei reati di bancarotta, la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale: il che la rende insindacabile in sede penale, secondo il principio ivi enunciato (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398).

Da ciò discende che l’elemento costitutivo della fattispecie criminosa non risiede nei presupposti di fatto (fra cui lo stato d’insolvenza) accertati dal giudice fallimentare, ma nella pronuncia di una sentenza rispetto alla quale non è ipotizzabile un’efficienza causale facente capo all’imprenditore, ovvero – come sostenuto nella citata sentenza “Corvetta” – al ceto creditorio. Così, in giurisprudenza è costante l’enunciazione del principio secondo cui il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 – dep. 22/01/2013, Rossetto, Rv. 253932; Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214).

6. Va rilevato che il citato autorevole precedente difforme (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493), è rimasto isolato nelle successive decisioni di questa Corte.
Il dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice consiste nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. 5, n. 11899 del 14/01/2010, Rizzardi, Rv. 246357); e certamente non è pensabile, alla stregua dell’accertamento scaturito dal giudizio di merito, che il ricorrente R.D. non avesse una effettiva conoscenza delle operazioni societarie, trattandosi di soggetto impegnato professionalmente e quotidianamente nella società fallita unitamente al padre, con competenze tecniche adeguate a tenere i contatti con i clienti, con il potere di firma sui conti bancari della fallita, concretamente esercitato.

7. La Corte territoriale, infatti, ha adeguatamente evidenziato che l’imputato ha ricoperto, nell’ambito della società, dapprima il ruolo di amministratore unico e, successivamente, nel periodo cui si riferiscono i fatti di reato, quello di consigliere di amministrazione.
Inoltre, R. si è presentato al curatore quale amministratore della società fallita evidenziando, altresì, un’effettiva conoscenza delle vicende societarie e delle singole operazioni. Infine, nell’interrogatorio reso in data 30 ottobre 2006 afferma che le due società collegate, The Bridge International e Erregi, facevano capo alla sua posizione e quella del padre.
Pertanto, deve convenirsi con la Corte territoriale sul fatto che non vi sono dubbi che, quale amministratore di diritto lo stesso risponde penalmente ai sensi dell’art. 40, capoverso del codice penale e ciò prima ancora che per il ruolo di amministratore di fatto, pure successivamente ricoperto.

8. Con il terzo motivo la difesa deduce violazione di legge e incongruità della motivazione riguardo alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta e non di quello di bancarotta semplice, rilevando che le operazioni compiute potevano essere, al massimo, ricondotte ad una gestione trascurata, da collocare in un’ottica aziendale aliena da ogni componente lesiva e distrattiva.
Si sarebbe trattato, in sostanza, di una gestione dei beni dell’impresa diretta a fini istituzionali, anche se viziata da eccessiva approssimazione.

9. In particolare, con riferimento all’ipotesi dissipativa, l’effettività dell’utilizzo di autovetture per esigenze di spostamento di lavoro rende logico il rimborso da parte della fallita di spese documentate sostenute da Erregi.
Il commercialista della società ha esposto le ragioni fiscali per le quali si era preferita tale soluzione rispetto all’acquisto dei veicoli.

10. Con riferimento all’ipotesi di distrazione appare inverosimile attribuire natura distrattiva alle spese, comunque, connesse alla progettazione di un aeroporto sul confine russoucraino, ivi comprese le spese di ingaggio di un consulente locale e di locazione di un immobile in [omissis].

11. Per le considerazioni già espresse con riferimento al motivo precedente ricorre certamente l’elemento soggettivo costituito dalla coscienza e volontà di compiere il fatto della distrazione e della dissipazione e dalla consapevolezza dell’appartenenza del bene al patrimonio della società.
La Corte territoriale, con motivazione incensurabile ha evidenziato che non vi sono dubbi sulla circostanza che entrambi gli imputati, per loro stessa ammissione, avessero tale consapevolezza e ciò consente di superare l’ipotesi di riqualificazione del reato in termini di bancarotta semplice, sulla base di una gestione disattenta e leggera dei trasferimenti dei costi tra società del gruppo.

12. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento alla L. Fall., art. 216, e art. 37 c.p., il quale prevede che la pena accessoria debba avere una durata pari a quella di quella principale inflitta e ciò contrariamente a quanto stabilito dai giudici di merito.

13. La doglianza è infondata avendo i giudici di merito fatto buon governo del principio secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni (Corte Cost. n. 134 del 2012; Sez. 5, n. 11257 del 31/01/2013, Raccanello Fiori, Rv. 254641.).

14. In effetti, la questione sottoposta a questo collegio aveva conosciuto, di recente, un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo l’orientamento più risalente la pena accessoria prevista dalla L. Fall., art. 216, u.c., non è indeterminata, essendo stabilita in misura fissa e inderogabile nella durata di dieci anni, e, di conseguenza, si sottrae alla disciplina di cui all’art. 37 c.p. (Sez. 5^, 29 settembre 2007, n. 39337, RV 238211).
Un più recente orientamento, invece, ha ritenuto che la pena accessoria in esame sia determinata solo nel massimo, sicchè, ai sensi dell’art. 37 c.p. , deve avere durata uguale a quella della pena principale irrogata (Sez. 5^, 22 gennaio 2010, n. 9672, RV 246891; nello stesso senso Sez. 5^, n. 23720 del 21 marzo 2010, e poi Sez. 5^, n. 23606 del 16/02/2012, Ciampini, Rv. 252960).
L’orientamento secondo cui la durata della pena accessoria L. Fall., ex art. 216, u.c., è stabilito in misura predeterminata e fissa è stato, tuttavia, ribadito di recente (Sez. 5^, 18 febbraio 2010, n. 17690; Sez. 5^, n. 269 del 10/11/2010, Marianella, Rv. 249500 ed infine Sez. 5^, n. 30341 del 30/05/2012, Pinelli, Rv. 253318).

15. Un collegio di questa stessa 5^ sezione (Sez. 5^, n. 16083 del 23/03/2011, Capizzi, Rv. 250089) – che aderiva all’indirizzo più risalente, ritenendo insuperabile il dato testuale – ha però ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. , della L. Fall., art. 216, comma 4, nella parte in cui determina in maniera fissa in dieci anni la durata della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, ed ha rimesso gli atti al Giudice delle leggi.
La Consulta, con sentenza del 31 maggio 2012, n. 134, ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale ritenendo che la sentenza additiva (richiesta al fine di rendere applicabile l’art. 37 c.p.) non costituisse una soluzione costituzionalmente obbligata, rimanendo pertanto legata a scelte affidate alla discrezionalità del legislatore.
La Consulta ha, dunque, implicitamente confermato la validità dell’interpretazione proposta dal collegio remittente, secondo cui nell’attuale formulazione legislativa la pena accessoria è prevista in misura fissa (e ciò non lede alcun diritto costituzionalmente protetto).
Deve pertanto ribadirsi che la pena accessoria che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in misura fissa e inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci.

16. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2015

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