Non risponde automaticamente di bancarotta documentale il responsabile del controllo interno di una società di intermediazione finanziaria che abbia omesso di vigilare sulle modalità di tenuta della contabilità [Cassazione Penale, Sez. V, 3 marzo 2015 n. 9266]

Il responsabile del controllo interno di una società di intermediazione finanziaria ha poteri ispettivi, svincolati da rapporti gerarchici, sull’attuazione delle procedure interne, quali previsti dall’art. 57 del regolamento attuativo del D.Lgs. n. 58 del 1998 adottato dalla Consob con delibera n. 11522 del 1-7-1998: ne consegue che non risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale sol perchè abbia omesso di effettuare un effettivo controllo e intervento circa le modalità di tenuta della contabilità, non essendo in tal senso gravato di una posizione di garanzia, ma è penalmente responsabile, anche se privo di deleghe, ai sensi dell’art. 40 comma 2 cod. pen. laddove abbia omesso di impedire – così violando i doveri di controllo di cui all’art. 2392 cod. civ. – l’evento criminoso di cui abbia avuto segnali peculiari ed allarmanti in quanto indicativi dell’anomalia dell’operazione. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLDI Paolo – Presidente -
Dott. ZAZA Carlo – rel. Consigliere -
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere -
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere -
ha pronunciato la seguente

sentenza

sui ricorsi proposti da: 1. San Giovanni SIM s.p.a. quale parte civile; 2. M.S., nata a [omissis]; 3. T.A., nato a [omissis]; 4. A.M., nato a [omissis]; 5. B.A., nato a [omissis]; 6. F.L., nata a [omissis]; 7. Fi.Vi., nato a [omissis] quali imputati;

avverso la sentenza del 04/12/2012 della Corte d’Appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Zaza Carlo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PinelliI Mario, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, in accoglimento del ricorso della parte civile San Giovanni s.p.a, e per il rigetto dei ricorsi degli imputati;
udito per la parte civile ricorrente l’avv. Luisa Maria Adamo in sostituzione dell’avv. Pier Matteo Lucibello, che ha concluso per l’accoglimento del proprio ricorso e per il rigetto dei ricorsi degli imputati, depositando nota spese;
udito per la parte civile Mo.Sa. e, in sostituzione dell’avv. Gian Claudio Emeri, per le parti civili S. V., Ba.Da. e To.Ma. l’avv. Caramitti Mario, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi depositando nota spese;
uditi per l’imputato T. l’avv. Fusaro Natale in sostituzione dell’avv. Stefani Eraldo, per l’imputata M. l’avv. Campolmi Massimo, per l’imputata F. l’avv. Tullio Padovani e per l’imputato A. l’avv. Valignani Valerio, che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma delle sentenze pronunciate dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Firenze il 20/12/2007 nei confronti di T.A. e dal Tribunale di Firenze il 19/05/2009 nei confronti di M.S., F.L., A.M., B.A. e F.V., veniva confermata l’affermazione di responsabilità degli imputati per il reato di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 216 e 223, commesso dal T. e dalla M. quali amministratori delegati della San Giovanni s.p.a., società di intermediazione mobiliare posta in liquidazione coatta amministrativa e dichiarata in stato di insolvenza in Firenze il 23/06/2003, distruggendo il patrimonio aziendale e della clientela in conseguenza di scelte organizzative che davano luogo a totale confusione fra tali patrimoni e quelli dei singoli clienti fra loro, si traducevano nella mancata istituzione di procedure di controllo interno sull’operato dei promotori finanziari e di adeguati sistemi informatici e di registrazione e trattamento degli ordini di negoziazione e nell’omissione di informative ai clienti e di misure idonee a salvaguardarne i diritti sui beni affidati alla società, e consentivano ai promotori finanziari di eseguire ordini privi di documentazione o fondati su moduli prestampati o falsamente sottoscritti, omettere l’informazione ai clienti sui rischi negli investimenti in prodotti derivati, falsificare i rendiconti periodici, concordare con gli amministratori forme anomale di finanziamento mediante rilascio di assegni e cambiali in bianco, e così determinare o aggravare il dissesto della società; dalla F., responsabile del controllo interno della società, omettendo di rilevare le irregolarità di cui sopra e di effettuare un effettivo monitoraggio dell’attività dei promotori e così si concorrendo nella distruzione del patrimonio; dal B. quale presidente del collegio sindacale e dall’ A. e dal Fi. quali sindaci omettendo di segnalare la confusione patrimoniale e le carenze organizzative e nei controlli interni, e così consentendo la gestione irregolare della società ed il conseguente dissesto; dal T., dalla M. e dalla F. concorrendo nella tenuta delle scritture contabili in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società.

La sentenza veniva riformata con la declaratoria di non doversi procedere nei confronti del T. in ordine al reato di bancarotta preferenziale, contestato nel trasferimento presso la Cassa di Risparmio di Firenze di titoli per un importo non inferiore ad Euro 1.900.000 e in restituzioni e compensazioni effettuate al fine di favorire taluni creditori in danno di altri, in quanto estinto per intervenuta prescrizione, e con la rideterminazione della pena inflitta al T. in anni due, mesi due e giorni venti di reclusione; mentre venivano confermate la condanne della M. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, della F. alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione e del B., dell’ A. e del Fi. alla pena di anni due di reclusione ciascuno, e di tutti gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, ad eccezione della San Giovanni.

La parte civile San Giovanni e gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.

1. Sulla regolarità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, la ricorrente M. deduce violazione di legge nell’esecuzione di detta notifica al solo difensore avv. Lapo Gramigni e non anche al codifensore avv. Fabio Viglione.

2. Sulla regolarità della notifica dell’avviso di deposito della sentenza impugnata, la ricorrente M. deduce violazione di legge nell’esecuzione di tale notifica al domicilio precedentemente eletto dall’imputata presso il difensore avv. Lapo Gramigni e non al nuovo domicilio eletto presso l’avv. Massimo Campolmi come da atto depositato il 07/09/2012.

3. Sulla disposta riunione in appello dei procedimenti definiti in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Firenze il 20/12/2007, a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti del T., e dal Tribunale di Firenze il 19/05/2009, a seguito di giudizio ordinario, nei confronti degli altri imputati, il ricorrente T. deduce violazione di legge nella trattazione congiunta di procedimenti celebrati con riti diversi, per effetto della quale il T., che aveva optato per il rito abbreviato, si era trovato ad essere giudicato in appello sulla base di un patrimonio conoscitivo integrato da prove acquisite nel dibattimento a carico degli imputati, alla cui formazione egli non aveva partecipato, e mancanza di motivazione nel mero riferimento dell’ordinanza dispositiva della riunione al formale rispetto della differenziazione delle regole di acquisizione probatoria, a fronte di eccezioni difensive nelle quali era stato sottolineato l’inevitabile riflesso sostanziale delle prove acquisite nei confronti dei coimputati e degli stessi apporti di questi ultimi sulla posizione del T..
Analogo motivo è proposto dalla ricorrente M., che deduce abnormità del provvedimento dispositivo della riunione.

4. Sul rigetto dell’eccezione di nullità del decreto dispositivo del giudizio per genericità dell’imputazione, tale da non consentire all’imputato di comprendere per quali specifiche ipotesi di reato lo stesso fosse stato tratto a giudizio, il ricorrente B. deduce violazione di legge nell’argomentazione della Corte territoriale per la quale la contestazione sostanziale individuava la condotta in pregiudizio per i creditori nell’impossibilità della ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società e nell’aver consentito il dissesto, osservando che in tal modo si priverebbe di contenuti il principio normativo di chiarezza e precisione dell’enunciazione del fatto contestato, con riguardo ad un’imputazione che nei generici riferimenti agli artt. 216 e 223 legge fall, non consentiva di comprendere se il richiamo alla prima norma riguardasse la bancarotta documentale o quella patrimoniale e quali delle diverse ipotesi ricomprese nella seconda norma fossero addebitate.

5. Sull’affermazione di responsabilità, il ricorrente T. deduce illogicità della motivazione nella ricostruzione delle cause del dissesto in base alla relazione del commissario liquidatore, alla cui gestione la difesa attribuiva la produzione del dissesto richiamando il resoconto ispettivo della Banca d’Italia dalla quale risultava che la situazione patrimoniale della società non ne rendeva necessaria la liquidazione, e nel riferimento alla relazione del commissario straordinario sulla sussistenza di un preesistente stato di insolvenza, laddove la stessa relazione riconosceva come dalle scritture contabili non risultasse alcuna confusione fra il patrimonio della società e quello della clientela. Lamenta altresì violazione di legge ed illogicità della motivazione nell’attribuzione agli amministratori di responsabilità per l’operato dei promotori finanziari, ai quali soli l’art. 108 del Regolamento della Consob attribuisce il compito di verificare l’identità dei clienti, e le cui condotte dissimulatorie l’imputato non era pertanto nella condizione di rilevare, tenuto conto che la contestata confusione patrimoniale riguardava clienti non censiti.
Ulteriore illogicità è dedotta dal ricorrente con riguardo alla mancanza di alcun interesse del T. a coprire il comportamento dei promotori, in quanto titolare di una partecipazione azionaria nella società.

6. Sulla qualificazione giuridica dei fatti contestati a titolo di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la ricorrente M. deduce violazione di legge nella mancata individuazione nei fatti della diversa ipotesi di causazione dell’aggravamento del dissesto per violazione degli obblighi dell’amministratore, di cui all’art. 224, n. 2, legge fall., in presenza dell’attribuzione all’imputata di deleghe relative unicamente ai rapporti con il personale, rispetto alle ben più ampie deleghe conferite al T., e della circostanza per la quale le somme affidate al promotore finanziario P. da clienti non censiti, che pertanto non potevano essere considerati clienti della società, costituivano un patrimonio illecitamente accumulato dal promotore, non incluso in quello aziendale, la cui distruzione non era quindi riferibile all’imputata.

Ulteriore violazione di legge, anche con riguardo alla prospettata ipotesi di bancarotta semplice, è dedotta con riferimento all’eliminazione dell’obbligo di controllo sul generale andamento della gestione, posto a carico degli amministratori delle società dalla previgente formulazione dell’art. 2392 c.c., comma 2, a seguito della modifica di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 .

7. Sull’affermazione di responsabilità per i fatti di bancarotta fraudolenta documentale, la ricorrente M. deduce violazione di legge ed illogicità della motivazione rispetto alla circostanza per la quale la ricostruzione della contabilità era stata effettuata dal perito, e comunque nella ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato con riguardo al comportamento di terzi estranei alla tenuta della contabilità, quali i promotori finanziari, e ad una sopravvenuta inaccessibilità del programma contabile informatico, per il commissario liquidatore ed il perito, derivante dalla mancata collaborazione dell’addetta allo stesso.

8. Sull’affermazione di responsabilità per i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la ricorrente F. deduce illogicità della motivazione e travisamento della prova in una ricostruzione dei fatti che, eludendo le censure rivolte con l’atto di appello all’argomentazione della sentenza di primo grado, fondata sulla carenza dei controlli dell’imputata nei confronti dell’attività del promotore P. a fronte di verifiche regolarmente effettuate in altri settori, si incentrava invece sull’ipotesi di un accordo fra l’imputata e gli amministratori nel garantire a questi ultimi controlli compiacenti, in contrasto con l’espressa esclusione di verifiche ispettive presso i promotori dai poteri conferiti alla F. nell’atto di nomina, allegato alla perizia, e con la conseguente assenza di una posizione di garanzia dell’imputata.

Lamenta poi ulteriori illogicità nell’acritica adesione dei giudici di merito alle opinioni del commissario straordinario e del commissario liquidatore, rispetto alle conclusioni del perito per le quali l’imputata aveva formulato rilievi che, se accolti dagli amministratori, avrebbero impedito la prosecuzione dell’illecita attività dei promotori; nella ritenuta prova della consapevolezza dei contenuti di tale attività, da parte della F., in base a prove testimoniali non significative; e nell’omessa valutazione della circostanza per la quale l’imputata assumeva, la propria carica solo nel 1998.

9. Sull’affermazione di responsabilità per i fatti di bancarotta fraudolenta documentale, la ricorrente F. deduce illogicità della motivazione nell’assimilazione della posizione dell’imputata a quella del collegio sindacale, istituzionalmente deputato al controllo sulla tenuta della contabilità, e nella mancata valutazione delle questioni relative all’individuazione della fonte negoziale dalla quale sarebbero derivati obblighi analoghi per la F. ed alla possibilità per quest’ultima di rilevare anomalie contabili nella gestione di clienti non censiti, che emergevano successivamente dai documenti sequestrati dalla polizia giudiziaria.

10. Sull’affermazione di responsabilità, il ricorrente B. deduce illogicità della motivazione della sentenza impugnata laddove nella stessa si dava atto della regolarità delle verifiche trimestrali del collegio sindacale e delle segnalazioni dallo stesso effettuate. Lamenta altresì violazione di legge rispetto alla normativa vigente all’epoca dei fatti, che agli artt. 2403 e 2407 cod. civ. imponeva ai sindaci di operare con la diligenza del mandatario controllando l’amministrazione della società, l’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, la regolare tenuta della contabilità, la corrispondenza del bilancio alla stessa, la consistenza di cassa e l’esistenza del patrimonio sociale, e non, come attualmente previsto, di agire con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico vigilando anche sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza ed il concreto funzionamento dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.
Rileva ancora illogicità della motivazione rispetto alle conclusioni del consulente tecnico per le quali il collegio sindacale non è strutturalmente idoneo a verificare l’adeguatezza di programmi informatici, e non era pertanto nella specie in grado di individuare gli atti di illecita gestione e di prevedere il dissesto della società.
Deduce infine violazione di legge e mancanza di motivazione sul rapporto causale fra la condotta dell’imputato ed il dissesto.

11. Sull’affermazione di responsabilità, i ricorrenti A. e Fi. deducono illogicità della motivazione laddove la stessa, pur richiamando le conclusioni peritali, se ne discostava nel momento in cui il perito si limitava ad evidenziare solo un blando controllo dei sindaci sull’assetto organizzativo della società, sostanzialmente connotato da mera negligenza o imperizia, attribuendo significatività, quale prova della consapevolezza degli imputati in ordine alle illecite attività dei promotori, ad elementi per i quali il perito aveva escluso tale rilevanza.
Lamentano altresì carenza di motivazione sulla questione della riconducibilità del mancato intervento dei sindaci ad accettazione del rischio del dissesto piuttosto che ad erronea certezza che lo stesso non si sarebbe verificato.

12. Sulla mancata assoluzione nel merito dall’imputazione di bancarotta preferenziale, il ricorrente T. deduce violazione di legge rispetto al principio di separazione del patrimonio della società di intermediazione mobiliare da quello della clientela, previsto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 22, che rende impossibile per i creditori della società agire nei confronti dei patrimoni dei clienti, e comunque esclude nella specie la sussistenza del dolo specifico di favorire taluni creditori danneggiandone altri.

13. Sulla determinazione della pena, la ricorrente F. deduce mancanza di motivazione nella mera conferma della sanzione inflitta in primo grado e nell’omessa individuazione della pena-base e delle ragioni per le quali non veniva applicata la massima diminuzione per le riconosciute attenuanti generiche.

14. Sulle disposizioni civili, la parte civile ricorrente deduce contraddittorietà dell’esclusione del danno non patrimoniale lamentato dalla San Giovanni rispetto alla disposizione di conferma delle statuizioni civili delle sentenze di primo grado, delle quali quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare nei confronti del T. aveva riconosciuto tale danno condannando l’imputato al pagamento di una provvisionale.
Lamenta altresì mancanza di motivazione sui rilievi proposti dalla parte civile con l’appello avverso la sentenza del Tribunale nei confronti della M. e di altri, che aveva escluso il danno di cui sopra; violazione di legge nella ritenuta impossibilità, in quella sede, della liquidazione di un danno non patrimoniale in favore di una persona giuridica, in presenza di una lesione della personalità della San Giovanni nella sua più ampia accezione, comprensiva della reputazione e della credibilità sociale; ed illogicità del riferimento della sentenza impugnata al mancato uso della ragione sociale della San Giovanni dopo i fatti, considerato come il fatto che il marchio della società non fosse stato ricollocato sul mercato costituiva uno dei danni patrimoniali fatti valere dal liquidatore nella diversa sede civile, quale danno emergente e mancato guadagno da perdita di avviamento.

15. Sulle disposizioni civili, la ricorrente M. deduce violazione di legge nella condanna al risarcimento dei danni in favore di clienti che non avevano concluso contratti con la società, e pertanto non legittimati ad agire nei confronti della stessa, ma semmai nei confronti del promotore, il cui vincolo di solidarietà si stabilisce ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31 con la società, ma non con gli amministratori della stessa.
Ulteriore violazione di legge è dedotta per la condanna al risarcimento dei danni in favore degli effettivi clienti della società, per le considerazioni svolte dalla ricorrente nei motivi relativi alla configurabilità del reato.

16. Sulle disposizioni civili, la ricorrente F. deduce mancanza di motivazione in ordine alla riconducibilità all’imputata dei danni riconosciuti alle parti civili, alla determinazione della provvisionale ed alla quantificazione del rimborso delle spese sostenute dalle parti civili, priva di riferimento alle singole voci di spesa.

Motivi della decisione

1. Il motivo proposto dalla ricorrente M. sulla regolarità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello è inammissibile.
Posto che detto decreto risulta in effetti notificato al difensore dell’imputato nella sola persona dell’avv. Gramigni e non anche in quella del codifensore indicato dal ricorrente nell’avv. Viglione, vi è da dire in primo luogo che la nomina di quest’ultimo non risulta agli atti trasmessi a questa Corte e non è oggetto di allegazione nel ricorso, pertanto generico sul punto laddove non adempie all’onere di porre la Corte nella condizione di verificare la fondatezza del presupposto dell’eccezione difensiva, tenuto conto peraltro che già nell’intestazione della sentenza di primo grado l’imputata era indicata come difesa unicamente dall’avv. Gramigni.
Ma, anche a voler dare per ammessa l’esistenza di tale presupposto, ossia di una nomina fiduciaria dell’avv. Viglione non successivamente revocata, l’omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello a detto codifensore integrerebbe comunque una nullità a regime intermedio, in quanto tale sanata ove non dedotta nel giudizio dal difensore avvisato e comparso (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244187; Sez. 3, n. 38021 del 12/06/2013, Esposito, Rv. 256980; Sez. 1, n. 19982 del 21/03/2013, Panella, Rv. 256182; Sez. 6, n. 17267 del 16/04/2010, Gabriele, Rv. 247086); e tanto si verificava per l’appunto nel caso in esame, risultando dal verbale dibattimentale d’appello che all’udienza del 16/03/2012, in sede di costituzione delle parti, il sostituto dell’avv. Gramigni, presente, nulla eccepiva in ordine alla notifica del decreto di citazione ad altro difensore.
La questione è pertanto preclusa in questa sede.

2. Il motivo proposto dalla ricorrente M. sulla regolarità della notifica all’imputata dell’avviso di deposito della sentenza impugnata è inammissibile.
Detta notifica era effettivamente eseguita presso lo studio dell’avv. Gramigni, quale difensore domiciliatario dell’imputata, nonostante quest’ultima il 07/09/2012, successivamente al rinvio del giudizio d’appello dalla prima udienza del 16/03/2012 a quella del 04/12/2012, a seguito della rinuncia al mandato dell’avv. Gramigni, avesse nominato quale nuovo difensore e domiciliatario l’avv. Campolmi.
La censura dedotta sul punto è tuttavia carente nell’interesse ad impugnare, nel momento in cui il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, alla cui proposizione la notifica in esame era funzionale, veniva regolarmente presentato e sottoscritto dalla stessa imputata; nessun pregiudizio per i diritti della difesa di quest’ultima essendo pertanto ravvisabile, e neppure contenendo il ricorso alcuna doglianza specifica in proposito.

3. I motivi proposti dai ricorrenti T. e M. sulla disposta riunione in appello dei procedimenti definiti in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare a seguito di giudizio abbreviato nei confronti del T., e dal Tribunale di Firenze a seguito di giudizio ordinario nei confronti degli altri imputati, sono infondati.
Il provvedimento con il quale il giudice dispone la riunione di procedimenti, in quanto avente carattere meramente ordinatorio e discrezionale con riguardo a ragioni di economia processuale, non è impugnabile laddove non si risolva in concreto nella violazione delle norme sulla competenza (Sez. 5, n. 8404 del 03/10/2013 (dep. 21/02/2014), Corti, Rv. 259050; Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, Montalto, Rv. 241822). E’ ben vero che il ricorso della M. è proposto sotto il profilo dell’abnormità del provvedimento.
Ma siffatta abnormità, alla luce dei principi definitori della relativa nozione affermati da questa Corte (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590; Sez. 6, n. 25810 del 08/05/2014, D.M., Rv. 260069), non ricorre nella specie, laddove il provvedimento impugnato non può essere considerato avulso dal sistema processuale, non esorbita dai poteri riconosciuti al giudice del dibattimento e non determina alcuna stasi processuale.
Non senza considerare che il precedente giurisprudenziale citato dai ricorrenti a sostegno della tesi dell’abnormità del contemporaneo giudizio di più imputati nei confronti dei quali siano stati adottati riti diversi (Sez. 6, n. 45586 del 25/10/2001, Parrella, Rv. 220327), oltre ad essere riferito al diverso caso del contestuale giudizio di tali differenziate posizioni processuali in primo grado e comunque precedente al citato intervento regolatore delle Sezioni Unite, è comunque superato da pronunce di plurime e successive pronunce di segno contrario, che hanno evidenziato, con specifico riguardo al giudizio di appello (Sez. 1, n. 18760 del 18/02/2005, Di Gregorio, Rv.231570), e comunque in termini generali (Sez. 6, n. 16365 del 27/04/2012, Trani, Rv. 252509; Sez. 1, n. 21376 del 09/03/2004, Biondino, Rv. 228989), come la trattazione congiunta delle posizioni di imputati che abbiano optato taluni per il rito abbreviato e talaltri per il rito ordinario non determini alcuna nullità o abnormità, ove nella decisione sia stata comunque osservata la conseguente distinzione dei relativi regimi probatori; condizione, quest’ultima, il cui rispetto è stato espressamente affermato nella sentenza impugnata e non è contestato dai ricorrenti, il che esclude la sussistenza dell’ulteriore vizio di carenza motivazionale denunciato con i ricorsi.

4. Il motivo proposto dal ricorrente B. sul rigetto dell’eccezione di nullità del decreto dispositivo del giudizio per genericità dell’imputazione è infondato.
E’ ben vero che, nella parte dell’imputazione contestata relativa all’indicazione delle norme incriminatrici violate, la limitazione del riferimento a queste ultime alla menzione degli artt. 216 e 223 legge fall, non chiarirebbe di per sè quali delle plurime ipotesi criminose previste da dette norme siano in concreto addebitate agli imputati. Tuttavia il corpo testuale dell’imputazione, come riportato in premessa, fa chiaro riferimento ad una condotta omissiva contestata ai sindaci della San Giovanni in quanto tale da aver consentito la confusione patrimoniale ed il dissesto della società; e questa espressione richiama all’evidenza il più descrittivo e dettagliato contenuto dell’imputazione formulata nello stesso procedimento, e pertanto inclusa nell’ambito conoscitivo della difesa dei sindaci, nei confronti della coimputata M..
L’accenno alla confusione patrimoniale, in particolare, avendo ad oggetto quello che meglio sì vedrà in seguito essere il passaggio fondamentale della sequenza di eventi che nella prospettiva accusatoria portava alla distruzione del patrimonio della società, non poteva che essere letto nel senso dell’estensione ai sindaci di tale addebito distruttivo e dell’ulteriore e connessa imputazione di bancarotta documentale nell’aver permesso un regime contabile produttivo della descritta confusione.
Nè l’indicazione del dissesto della società, fra i risultati della condotta, era idonea a creare dubbio sulla contestazione della diversa fattispecie prevista dall’art. 223 nella causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose, soccorrendo anche a questi fini la contestualità delle imputazioni nell’evidenziare come il predetto evento fosse menzionato quale significativo della distruzione del patrimonio sociale, effettivo oggetto dell’accusa comune agli imputati.

5. I motivi proposti dal ricorrente T. sull’affermazione di responsabilità sono infondati.
La censura di illogicità della motivazione rispetto al contenuto della relazione del commissario straordinario della San Giovanni, che avrebbe escluso un’effettiva confusione contabile fra il patrimonio della società e quello dei clienti, non coglie i reali termini nei quali l’esistenza di una siffatta conclusione era ritenuta dai giudici di merito; termini adeguatamente illustrati già nella sentenza di primo grado nel giudizio ordinario a carico della M. e di altri.
In quella sede, nel riportare le conclusioni del perito, peraltro confermative di quelle del commissario straordinario e del commissario liquidatore, si osservava che una totale confusione contabile aveva attinto direttamente ed in primo luogo la gestione dei conti dei clienti da parte dei promotori finanziari, impedendo di attribuire le perdite registrate al normale andamento degli investimenti piuttosto che ad illecite operazioni dei promotori stessi; e che tanto aveva generato la necessità di coprire le perdite, fino a che ciò era stato possibile, con risorse provenienti dal patrimonio della società, in questo senso venutosi di fatto a confondere con quello dei clienti, in sostanziale contrasto con il principio di separazione patrimoniale previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 22, comma 1.
Emblematica di questa situazione, nella prospettazione della Corte territoriale, era l’attività del promotore P., il quale aveva fatto affluire indifferentemente su un unico conto corrente bancario, denominato [omissis] dal cognome della propria moglie, le somme investite dai clienti, fossero gli stessi ufficialmente censiti o meno nella contabilità della società; operandovi poi “in monte”, ossia con una gestione cumulativa del risparmio propria dei fondi comuni, e peraltro in concreto caratterizzata da rischiose operazioni anche su titoli derivati, delle quali la descritta modalità di gestione rendeva impossibile una tempestiva informazione ai clienti, il mantenimento di adeguati margini di garanzia e l’attribuzione delle perdite all’una piuttosto che all’altra delle singole posizioni.
Essendo conseguenza di ciò che gli investimenti, dei quali i clienti reclamavano il rimborso, si traducevano in debiti a cui la società doveva far fronte con le proprie disponibilità.

Il rilievo del ricorrente sull’insussistenza di ragioni che imponessero la liquidazione della società alla luce di una relazione ispettiva all’epoca redatta dalla Banca d’Italia, posto altresì alla base di una censura di illogicità dell’affidamento probatorio alla relazione di un commissario liquidatore alla cui gestione sarebbe da ascrivere la causazione del dissesto, veniva congruamente affrontato nella sentenza impugnata, in cui si evidenziava l’inattendibilità dell’ipotesi di un repentino deterioramento della situazione patrimoniale della società nella fase del commissariamento, a fronte di una situazione finale in cui l’attivo della società non era sufficiente a coprire le spese prededucibili ed alla palese inadeguatezza dei precedenti interventi di rifinanziamento degli amministratori, limitati al versamento di liquidità per soli Euro 103.000.
Non senza considerare che, comunque, l’argomentazione dei giudici di merito era complessivamente fondata sulla concordanza, nei termini esposti, delle conclusioni del commissario liquidatore con quelle del commissario straordinario e del perito.

Per ciò che riguarda la responsabilità degli amministratori, e fra essi in particolare del T., la Corte territoriale evidenziava che nel 1997 una verifica ispettiva della Consob si concludeva con un provvedimento sanzionatorio a carico degli amministratori e dei sindaci della San Giovanni, rilevandosi in particolare a carico della M. la confluenza sugli stessi conti correnti di liquidità della società e della clientela e l’impossibilità di riferire dette liquidità ai singoli clienti, e la Banca d’Italia contestava un’insufficiente attenzione alla tenuta della contabilità, anomalie delle registrazioni ed insufficienze nel controllo interno; che nel 1998 il Ministero del Tesoro decretava ingiunzione di pagamento nei confronti degli amministratori e dei sindaci per aver consentito ai promotori di operare senza controllo con frenetiche acquisizione di ordinativi anche all’insaputa dei clienti; e che già nel 1999 l’illecita condotta gestionale del promotore finanziario Fa. determinava perdite per circa due miliardi di lire. Si aggiungeva, riportando le anche qui concordi conclusioni dei commissari e del perito, che nonostante tali avvisaglie gli amministratori avevano continuato ad affidare totalmente i rapporti con i clienti ai promotori, consentendo agli stessi di eseguire operazioni allo scoperto e di creare posizioni debitorie, ed anzi si erano attivati per non far emergere tali debiti, chiedendo ai clienti di emettere assegni non datati o richiedendo finanziamenti a nome dei promotori.
La posizione del T. era poi specificamente trattata, osservando la Corte d’Appello come all’imputato fossero ascrivibili le condotte appena descritte sia nell’aver tollerato l’anomala gestione del conto Monaco, l’esecuzione di ordinativi con distinte di versamento prive di assegni, le coperture delle perdite dei clienti con anticipi sulla provvigioni e la complessiva condizione di impossibilità di controllare i saldi liquidi dei clienti e di comunicare agli stessi perdite pari anche al 50% delle somme investite, che nell’aver coperto i saldi negativi del conto trasferendovi disponibilità della società con assegni emessi dalla moglie C.M.C. ed iscritti in contabilità come cassa per attività di terzi, incrementando di pari importo l’attivo del conto dei clienti.

A fronte di una motivazione articolata senza vizi logici in questa pluralità di elementi, è insussistente la violazione di legge dedotta nella ritenuta responsabilità dell’imputato per l’attività di promotori finanziari ai quali competeva in via esclusiva la verifica dell’identità dei clienti, nel momento in cui detta responsabilità era riferita non ai rapporti dei promotori con i singoli investitori, ma alla per quanto detto irregolare gestione cumulativa del risparmio investito ed alla conseguente incidenza sull’integrità del patrimonio sociale.
Irrilevante poi, con riguardo alla conoscibilità da parte dell’imputato dell’irregolarità di detta gestione, è la tematica relativa ai clienti non censiti, peraltro non sollevata con i motivi di appello.
La questione è infatti superata, anche per questo aspetto, dall’essere la condotta incentrata sulla gestione collettiva delle somme dei clienti, a prescindere dall’essere gli stessi censiti o meno.
Tanto a voler tralasciare le considerazioni della sentenza impugnata, pur decisive anche a questi fini, per un verso sull’emersione della problematica relativa a tale gestione nei precedenti e reiterati interventi delle autorità di vigilanza, e per altro sui comportamenti attivi dello stesso T. nell’occultamento delle perdite, indicativi di consapevolezza dell’irregolarità della situazione; considerazioni che concorrono nel manifestare l’irrilevanza, rispetto alla complessiva logicità dell’argomentazione dei giudici di merito, degli ulteriori rilevi del ricorrente sull’interesse del T. a coprire i comportamenti dei promotori.

6. I motivi proposti dalla ricorrente M. sulla qualificazione giuridica dei fatti contestati a titolo di bancarotta fraudolenta patrimoniale sono infondati.
Quanto esposto al punto precedente sulle similari censure dedotte dal T. evidenzia in primo luogo l’infondatezza delle doglianze della ricorrente sull’impossibilità di riferire la contestata condotta distruttiva al patrimonio di clienti non censiti, come tale non appartenente alla società; laddove, come si è detto, tale condotta era chiaramente ritenuta come posta in essere sulle disponibilità della società in quanto impiegate per necessità di copertura di perdite dei clienti, insorta a seguito dell’irregolare gestione dei patrimoni degli stessi.

L’ulteriore questione posta dalla ricorrente, con riguardo al contenuto delle deleghe rilasciate alla M., è superata da quanto osservato nella sentenza impugnata in ordine al riconoscimento della responsabilità dell’imputata sulla base della violazione degli obblighi inerenti alla posizione di garanzia propria della funzione amministrativa della stessa, a prescindere dalle deleghe affidatele.
In base ai noti principi affermati da questa Corte, l’amministratore, pur se privo di deleghe, risponde penalmente, ai sensi dell’art. 40 cod. pen. , per l’omesso impedimento, in violazione dei doveri di controllo previsti dall’art. 2392 cod. civ. , dell’evento criminoso del quale abbia percepito segnali peculiari ed allarmanti in quanto indicativi dell’anomalia dell’operazione, tale da imporre l’attivazione di detti doveri (Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, Bossio, Rv. 245138; Sez. 5, n. 23838 del 04/05/2007, Amato, Rv. 237251), e da configurare, in caso contrario, quanto meno l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento (Sez. 5, n. 42519 dell’08/06/2012, Bonvino, Rv. 253765).
Nel caso di specie, siffatti segnali erano coerentemente individuati dai giudici di merito nelle segnalazioni del Ministero del Tesoro, della Consob e della Banca d’Italia, di cui pure si è detto in precedenza, e in quanto riferito dai testi F. e M. sull’essere la M. solita chiedere alle dipendenti dell’ufficio contabilità se fossero pervenute le comunicazioni per via telefax con le evidenze del giroconto P. e controllare se i saldi a debito dei clienti fossero stati pareggiati, così mostrando di avere cognizione dell’operato illecito dei promotori.

E’ insussistente, in questa prospettiva, il vizio di violazione di legge dedotto dalla ricorrente con riguardo all’intervenuta modifica dell’art. 2392 c.c., comma 2, relativamente agli obblighi di controllo dell’amministratore privo di deleghe sul generale andamento della gestione. La validità dei principi appena richiamati, dei quali per quanto detto la Corte territoriale ha fatto buon governo, è stata infatti specificamente affermata da questa Corte con riferimento alla situazione normativa venutasi a creare a seguito della modifica citata (Sez. 5, n. 3708 del 30/11/2011 (dep. 30/01/2012), Ballatoli, Rv. 252945).

7. Il motivo proposto dalla ricorrente M. sull’affermazione di responsabilità per i fatti di bancarotta fraudolenta documentale è infondato.
Infondato è in primo luogo il rilievo relativo al conseguimento della ricostruzione contabile ad opera del perito. Il reato contestato sussiste non solo quando tale ricostruzione sia assolutamente impossibile, ma anche laddove la stessa sia ottenuta con accertamenti di particolare diligenza (Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212), quali, nella specie, quello effettuato extra contabilmente in sede di accertamento tecnico giudiziale.
Quanto alle ulteriori censure proposte con riguardo all’elemento psicologico del reato, la riferibilità del disordine contabile all’attività dei promotori finanziari è irrilevante rispetto ad un addebito contestato agli amministratori, e fra essi alla ricorrente, nell’aver consentito una tenuta della contabilità che rendeva impossibile la verifica della gestione delle posizioni dei singoli clienti, in violazione di obblighi propri degli amministratori stessi.
Altrettanto irrilevante è la doglianza relativa all’incidenza, sulle successive operazioni di ricostruzione contabile del perito, della mancata collaborazione dell’impiegata addetta al sistema informatico, circostanza collocata temporalmente in una fase nella quale, per quanto detto in precedenza, la contestata condotta di bancarotta fraudolenta documentale si era già realizzata.

8. I motivi proposti dalla ricorrente F. sull’affermazione di responsabilità per i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale sono infondati.
Va premesso che è insussistente il vizio di carenza motivazionale dedotto dalla ricorrente con riferimento alle censure sollevate con l’appello alla ricostruzione della sentenza di primo grado, che fondava la responsabilità dell’imputata su difformità nei controlli della stessa sull’operato del P. rispetto a quello di altri soggetti.
Posto che, come ammesso dalla stessa ricorrente, nella sentenza impugnata si adottava la diversa prospettiva del concorso dell’imputata con gli amministratori mediante la garanzia di controlli non debitamente approfonditi sull’attività dei promotori, le censure di cui sopra, come le argomentazioni riproposte a sostegno delle stesse con il ricorso, devono ritenersi superate.

Nella prospettiva appena indicata, la Corte territoriale motivava congruamente le proprie conclusioni nel riferimento ai contributi informativi del commissario straordinario, il quale evidenziava come il controllo interno fosse stato limitato a meri riscontri formali sulla presenza di ordini sottoscritti dai clienti, non avesse rilevato dati significativi quali la mancanza del registro degli ordini e il rilascio, a garanzia dei finanziamenti, di cambiali o assegni non versati, e si fosse astenuto da effettive verifiche ispettive presso i promotori, nonostante l’attività degli stessi fosse stata oggetto dei reiterati interventi della Consob e dalla Banca d’Italia; del commissario liquidatore, il quale riferiva che le carenze strutturali nella gestione patrimoniale non erano state oggetto di alcuna attenzione da parte della F. nei quattro anni in cui la stessa aveva assunto la funzione di controllo interno, avendo l’imputata ridotto la propria attività a sporadici esami della cassa e di estratti conto dei clienti scelti dagli amministratori, appena sufficienti per la compilazione della relazione annuale dovuta, ed omesso di verificare i conti dei promotori ed il conto M. in particolare; e del perito, il quale confermava l’inadeguatezza dei controlli effettuati dall’imputata e l’affidamento degli stessi sull’attività degli amministratori.

Coerentemente i giudici di merito concludevano che la F. aveva sostanzialmente abdicato, in favore degli amministratori, ad un’attività di controllo che, ove esercitata in maniera più penetrante, avrebbe consentito di rilevare le illiceità della gestione dei promotori, e la cui necessità era d’altra parte resa evidente dai precedenti richiami delle autorità esterne di vigilanza e dalle contenute dimensioni della società, che, come riferito dai testi M. e F., rendeva inevitabile per chiunque vi operasse all’interno essere a conoscenza dell’esistenza del conto Monaco; in tal modo dando luogo ad un consapevole ed efficiente concorso nella condotta omissiva degli imputati, rispetto al quale venivano altrettanto logicamente valorizzate, nella sentenza impugnata, la mancanza, nella delibera di nomina della F., di alcuna valutazione sull’idoneità della stessa alla funzione attribuitale, e le stesse ammissioni dell’imputata sulla propria inadeguatezza all’incarico.

Deve escludersi, di contro, la sussistenza del lamentato vizio di illogicità e travisamento della prova relativamente all’esclusione dai poteri, conferiti dalla F. con l’atto di nomina, della facoltà di eseguire verifiche ispettive presso i promotori.
La ricorrente non ha per il vero adempiuto all’onere di allegazione del documento di nomina rispetto al quale viene dedotto il travisamento, non depositato con il ricorso nè, per quanto risulta agli atti pervenuti a questa Corte, con la memoria indicata dalla ricorrente come depositata nel corso del giudizio di appello; ma, a parte questo, l’elemento asseritamente trascurato è in ogni caso privo di decisività.

I poteri ispettivi del responsabile del controllo interno ineriscono infatti alle responsabilità di tale soggetto alla luce del contenuto dell’art. 57 del regolamento attuativo del D.Lgs. n. 58 del 1998 , adottato dalla Consob con delibera n. 11522 del 01/07/1998 e successive modifiche, che include, fra le funzioni tipiche del controllo interno nelle società di intermediazione finanziaria, quella della costante verifica dell’idoneità delle procedure interne ad assicurare il rispetto delle disposizioni del citato decreto, ivi evidentemente incluse, per ciò che qui direttamente interessa, quelle relative alla separazione patrimoniale, e del rispetto di dette procedure; funzione che, per tali caratteristiche di pregnanza, non può prescindere dall’esecuzione di controlli ispettivi sull’attuazione delle procedure interne, pertanto correttamente ritenute dai giudici di merito propri dell’incarico assunto dalla F. a prescindere da quanto esplicitato nel provvedimento di nomina, comunque integrato dall’implicito richiamo delle disposizioni normative in materia.
E’ altresì significativo che il citato art. 57 preveda espressamente l’assegnazione dell’incarico ad un responsabile svincolato da rapporti gerarchici con i preposti ai settori della società soggetti al controllo, e lo svolgimento dell’attività del responsabile in termini improntati ad indipendenza, autonomia, obiettività ed imparzialità; il che ulteriormente evidenzia la correttezza delle osservazione della Corte territoriale sul contrasto, con i doveri tipici del responsabile del controllo interno, del sostanziale affidamento all’operato degli amministratori, che caratterizzava in concreto lo svolgimento dell’incarico da parte dell’imputata. La quale era investita in conclusione, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, di una posizione di garanzia che consente di attribuire rilevanza concorsuale all’omissione di attività di controllo per quanto detto inerenti a tale posizione.

Infondata è la censura di acritica adesione alle opinioni del commissario straordinario e del commissario liquidatore, che si è visto essere state invece adeguatamente valutate nella sentenza impugnata nella loro conformità con i precedenti rilevi delle autorità di vigilanza e con le osservazioni peritali; a proposito delle quali la ricorrente propone mere doglianze di merito sulla possibilità di considerare sufficienti ad impedire la prosecuzione dell’illecita attività dei promotori, ove accolti dagli amministratori, i limitati rilievi sollevati a suo tempo dalla F..
Attengono altresì al merito della valutazione dei singoli elementi di prova le ulteriori censure della ricorrente sulla consapevolezza dell’imputata in ordine alla predetta attività, che non prospettano vizi logici, apprezzabili in questa sede, sulla motivazione della sentenza impugnata a riguardo; non decisiva essendo peraltro sul punto la circostanza, della quale il ricorso lamenta il mancato esame, dell’assunzione della carica da parte dell’imputata a partire dal 1998, a fronte di quanto dettagliatamente esposto nella citata motivazione sulla inevitabile conoscenza dei precedenti e ripetuti interventi delle autorità di vigilanza e dell’operatività del conto Monaco, e sulla durata comunque consistente dello svolgimento dell’incarico da parte della F..

9. E’ invece fondato il motivo proposto dalla ricorrente F. sull’affermazione di responsabilità per i fatti di bancarotta fraudolenta documentale.
Decisivo ed assorbente, in proposito, è il tema posto dal ricorrente sulla possibilità di assimilare la posizione dell’imputata, anche in una prospettiva concorsuale, a quella dei soggetti istituzionalmente responsabili del controllo sulla tenuta della contabilità, e sull’individuazione delle fonti di obblighi del responsabile del controllo interno in materia.
Una siffatta assimilazione presupporrebbe invero il riconoscimento, nei confronti dell’imputata, di una posizione di garanzia che si estenda fino a comprendere tale funzione di controllo.
La motivazione della sentenza impugnata è tuttavia carente sul punto; essendosi i giudici di merito limitati a porre in rilievo l’accettazione, da parte della F., della irricostruibilità del patrimonio e del movimento degli affari della società, omettendo di valutare la sussistenza di obblighi dell’imputata, in ragione della propria carica, di intervenire sulle modalità di tenuta della contabilità che generavano tale risultato.
Nè è utile a questi fini fare riferimento ad un implicito richiamo motivazionale ai contenuti della posizione di garanzia dell’imputata, per come ricostruiti al punto precedente con riguardo alla diversa fattispecie della bancarotta patrimoniale.
Se infatti tali contenuti comprendono la verifica sulle procedure previste dalla normativa in materia di corretto svolgimento dell’attività di intermediazione finanziaria, è da escludersi che gli stessi riguardino il controllo sulla tenuta della contabilità ai ben differenti fini della ostensibilità ai terzi dell’esatta situazione patrimoniale e finanziaria della società.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata sul punto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze per un nuovo esame sulle indicate carenze motivazionali.

10. I motivi proposti dal ricorrente B. sull’affermazione di responsabilità sono infondati.
Nessuna contraddittorietà è rilevabile nella sentenza impugnata laddove la stessa dava atto dell’effettuazione delle verifiche trimestrali e di segnalazioni da parte del collegio sindacale.
La Corte territoriale, sulla base di quanto ricostruito dal commissario straordinario, dal commissario liquidatore e dal perito, osservava infatti come tale attività si riducesse a verifiche meramente formali e ad un controllo di natura ordinaria, con verbalizzazioni sintetiche; laddove esami più approfonditi, imposti dagli interventi delle autorità di vigilanza, avrebbero evidenziato significative anomalie quali la registrazione in cassa e non sui conti correnti bancari di assegni non datati, utilizzati solo per non far emergere situazioni di illiquidità nei rapporti con i clienti.
E neppure tale argomentazione soffre di illogicità rilevabili in questa sede per le generiche valutazioni del consulente tecnico, riprese dal ricorrente, sull’idoneità strutturale del collegio sindacale a verificare l’adeguatezza di programmi informatici, a fronte di precise indicazioni della sentenza impugnata su specifici aspetti documentali che richiedevano approfondimenti.

E’ poi infondata la censura di violazione di legge nell’attribuzione ai sindaci di obblighi di controllo sull’assetto organizzativo della società, non previsti dalla normativa vigente all’epoca dei fatti. I giudici di merito rilevavano infatti correttamente come, anche in quell’epoca, l’art. 2403 cod. civ. imponesse ai sindaci il controllo sulla corretta amministrazione della società; tanto conformemente ai principi affermati da questa Corte in quel precedente contesto normativo, che già allora escludevano che il controllo sindacale si esaurisse in una mera verifica formale, essendovi invece compreso il riscontro fra la realtà e la sua rappresentazione (Sez. 5, n. 8327 del 22/04/1998, Bagnasco, Rv. 211368), ed in particolare ne estendevano l’ambito operativo all’amministrazione del patrimonio diretto al perseguimento dei fini sociali (Sez. 5, n. 7527 del 27/05/1997, Rossetto, Rv. 208246), in evidente attinenza con la vicenda in esame, incentrata sulla gestione irregolare di tale patrimonio.

Infondata è infine, in quanto concernente un aspetto ininfluente ai fini della configurabilità del reato, la censura di mancanza di motivazione sul rapporto causale fra la condotta ed il dissesto.
Il precedente giurisprudenziale citato dal ricorrente (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493) è isolato rispetto ad un costante orientamento nel senso dell’estraneità del dissesto alla struttura essenziale del reato e della conseguente impossibilità di qualificarlo come evento dello stesso, con le ulteriori implicazioni dell’irrilevanza del suo collegamento eziologico con la condotta (Sez. 5, n. 34584 del 06/05/2008, Casillo, Rv. 241349; Sez. 1, n. 40172 dell’01/10/2009, Simonte, Rv. 245350; Sez. 5, n. 16759 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879; Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012 (07/01/2013), Sistro, Rv. 254061; Sez. 5, n. 7545 del 25/10/2012 (15/02/2013), Lanciotti, Rv. 254634; Sez. 5, n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi, Rv. 255567).
Nè rilevano in contrario gli indirizzi giurisprudenziali che qualificano la dichiarazione di fallimento come elemento costitutivo del reato, nel momento in cui gli stessi vanno letti alla luce del loro richiamo all’originaria decisione delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 2 del 25/01/1958, Mezzo, Rv. 98004), che riconduceva in realtà la dichiarazione di fallimento alla diversa definizione della condizione di esistenza del reato; e devono pertanto essere intesi come riferiti alla nozione di un elemento di fattispecie diverso da quelli propriamente costitutivi del reato (come chiarito in Sez. 5, n. 15850 del 26/06/1990, Bordoni, Rv. 185883) ed invece connotato dalla duplice funzione di qualificare l’offensività della condotta distrattiva, già in sè lesiva della garanzia generica che il patrimonio dell’imprenditore, secondo la previsione dell’art. 2740 cod. civ. , offre ai creditori (Sez. 5, n. 36629 del 05/06/2003, Longo, Rv. 227148), messa in pericolo dalla destinazione di componenti del patrimonio a finalità diverse da quelle inerenti all’attività imprenditoriale (Sez. 5, n. 16759 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879), nella prospettiva del pericolo che, nell’eventualità dell’intervento della procedura concorsuale, il soddisfacimento per quanto possibile delle pretese creditorie, a cui la stessa è finalizzata, sia pregiudicato dalla pregressa ed indebita diminuzione patrimoniale, e di attualizzare tale lesività con l’effettiva apertura della procedura indicata (Sez. 5, n. 32031 del 07/05/2014, Daccò).

11. I motivi proposti dai ricorrenti A. e Fi. sull’affermazione di responsabilità sono infondati.
Richiamate in proposito le considerazioni di cui al punto precedente sull’analoga posizione del coimputato B., le stesse non sono pregiudicate nella loro illogicità dalle valutazioni del perito, richiamate dai ricorrenti.
Come ben chiarito nella sentenza impugnata, e contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il riferimento del perito alla blanda e laconica segnalazione di adeguatezza dell’organizzazione della società, da parte dei sindaci, rimarcava il carattere meramente formale dei controlli effettuati, che non rilevavano problematiche addirittura già evidenziate dai richiami anche sanzionatori delle autorità di vigilanza.
Tale conclusione è in sè incompatibile con la prospettiva meramente colposa evocata dai ricorrenti, ed è pertanto implicitamente quanto chiaramente affermativa di un atteggiamento doloso nell’omissione delle verifiche imposte dai pregnanti segnali di allarme più volte in precedenza sottolineati; tanto escludendo i lamentati vizi di carenza motivazionale sul punto.

12. Il motivo proposto dal ricorrente T. sulla mancata assoluzione nel merito dall’imputazione di bancarotta preferenziale è infondato.
La sentenza impugnata era congruamente motivata nei termini, imposti dalla ricorrenza della causa estintiva della prescrizione, della mancanza di una prova evidente di insussistenza del reato, in una situazione nella quale patrimoni di clienti, fra i quali parenti o amici degli amministratori e investitori di particolare importanza, erano trasferiti in una sicura collocazione bancaria in un momento nel quale l’insolvenza della società era conclamata, ed il patrimonio della San Giovanni non era sufficiente a soddisfare le pretese della clientela nella sua interezza.
Il tema posto dal ricorrente con riguardo alla previsione normativa di separazione del patrimonio della società di intermediazione mobiliare da quello dei clienti, oltre a non essere specificamente oggetto dei motivi di appello sul punto, è comunque irrilevante nel momento in cui, per quanto detto, i due ambiti patrimoniali avevano subito una confusione di fatto, per la quale correttamente venivano ritenuti pregiudizievoli anche per i creditori della società gli atti dispositivi dei rapporti patrimoniali con i clienti; situazione che, alla luce delle argomentazioni della sentenza impugnata sulla conoscenza della stessa in capo agli amministratori, era altrettanto correttamente considerata inidonea ad escludere la sussistenza del dolo specifico del reato.

13. Il motivo proposto dalla ricorrente F. sulla determinazione della pena è infondato.
Il lamentato vizio di carenza motivazionale sul punto è insussistente laddove la sentenza impugnata richiamava la confermata decisione di primo grado nella quale, riconosciute attenuanti generiche prevalenti, la pena era determinata nella misura di anni due e mesi quattro di reclusione alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. ; riferimento, quest’ultimo, sufficiente a giustificare l’irrogazione di una pena che, al netto della diminuzione per le attenuanti, si attestava all’evidenza sui tre anni e sei mesi di reclusione, e quindi ad un livello di poco superiore al minimo edittale (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).

14. I motivi proposti dalla ricorrente parte civile San Giovanni sulle disposizioni civili sono fondati.
Nel confermare la decisione reiettiva della richiesta di condanna degli imputati al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della San Giovanni, di cui alla sentenza emessa in primo grado nei confronti della M. e dei coimputati della stessa nel relativo procedimento, la sentenza impugnata non considerava in effetti come analoga richiesta avesse invece trovato accoglimento nella sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare nei confronti del T., dando così luogo ad un’indiscutibile contraddittorietà della disposizione genericamente confermativa delle statuizioni civili delle sentenze appellate.
Ma, a parte questo, gli ulteriori rilievi della ricorrente sono corretti in ordine ad entrambi i profili per i quali la Corte territoriale motivava la ritenuta impossibilità di liquidare il danno in oggetto.
Con riguardo in primo luogo all’affermata improponibilità del riconoscimento di danno non patrimoniale a carico di una persona giuridica, è viceversa configurabile il danno all’immagine o alla reputazione di una società (Sez. 5, n. 5848 del 13/11/2012 (dep. 06/02/2013), Corallo, Rv. 254832).
Per il diverso aspetto della ritenuta esclusione dell’effettività di un danno del genere, nel caso in esame, per la mancata utilizzazione della ragione sociale successivamente ai fatti a seguito della cessazione dell’attività della San Giovanni, tale argomentazione non si sottrae alle dedotte censure di manifesta illogicità, nel momento in cui l’operatività della società cessava proprio a seguito della perdita delle risorse conseguente alle condotte contestate.
Anche su questo punto la sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze.

15. I motivi proposti dalla ricorrente M. sulle disposizioni civili sono infondati.
La ritenuta infondatezza dei motivi dedotti dalla ricorrente con riguardo all’affermazione di responsabilità implica analoga infondatezza delle doglianze sollevate in questa sede sulla condanna al risarcimento dei danni in favore dei clienti che avevano effettivamente concluso contratti con la società, per le quali il ricorso fa espresso rinvio alle medesime ragioni poste a sostegno dei motivi di cui sopra.
Per ciò che riguarda invece la dedotta violazione di legge nelle disposizioni risarcitorie in favore dei clienti che non avevano concluso contratti con la società, che si sostiene essere legittimati ad agire nei confronti dei promotori, ma non della società, la stessa ricorrente richiama la previsione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3, per la quale il soggetto conferente dell’incarico al promotore, quale nella specie era la San Giovanni, è solidalmente responsabile dei danni arrecati a terzi dal promotore, con espressa inclusione fra gli stessi di quelli conseguenti a responsabilità accertate in sede penale.
Nè tale formulazione letterale, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, vale a distinguere la responsabilità della società da quella degli amministratori della stessa, nel momento in cui a questi ultimi, ed alla M. in particolare, viene addebitato nella situazione in esame un concorso omissivo nell’attività dei promotori in violazione di doveri sugli stessi incombenti proprio quali legali responsabili della società.

16. E’ da ultimo infondato il motivo proposto, ancora sulle disposizioni civili, dalla ricorrente F..
Dalle argomentazioni motivazionali relative alla responsabilità penale dell’imputata, che si è detto essere immuni dalle censure della ricorrente, discende l’affermazione della responsabilità per le relative obbligazioni civili; tanto escludendo la sussistenza del vizio di mancanza di motivazione dedotto sul punto dalla ricorrente.
Non sono invece proponibili in questa sede le doglianze sollevate dalla ricorrente sulla misura della somma liquidata a titolo di provvisionale (Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 248348; Sez. 5, n. 5001 del 17/01/2007, Mearini, Rv. 236068).
Insussistente è infine il lamentato vizio di carenza motivazione sulla determinazione del rimborso delle spese sostenute dalle parti civili nel grado d’appello, disposta nella contenuta misura di Euro 2.000 per ciascuna delle parti, largamente inferiore agli importi di cui alle note spese presentate e sostanzialmente corrispondente ai minimi tariffari.
All’integrale rigetto dei ricorsi del T.A., della M., del B., del Fi. e dell’ A. segue la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che avuto riguardo alla dimensione dell’impegno processuale si liquidano per le parti civili S., Ba. e To.Ma. in Euro 3.500, e per la parte civile Mo. in Euro 2.800, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.L. limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale, nonchè nei confronti di M.S., B.A., A. M. e Fi.Vi. limitatamente al rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla parte civile San Giovanni SIM, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze per nuovo esame.
Rigetta nel resto il ricorso della F..
Rigetta i ricorsi di T.A., M.S., B.A., Fi.Vi. e A.M. che condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè in solido alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità dalle parti civili S.V., Ba.Da. e To.Ma., liquidate in Euro 3.500,00 per onorari, e dalla parte civile Mo.Sa., liquidate in Euro 2.800,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2015

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