Per la condanna del Ministero della Salute al risarcimento del danno per l’epatite contratta a seguito di emotrasfusione è indispensabile accertare la data di conoscenza scientifica del rischio connesso al trattamento [Cass. Civ., Sez. III, 20 gennaio 2015 n. 823]

La data di conoscenza di un virus assurge a criterio di delimitazione temporale della responsabilità, assumendo rilevanza decisiva per accertare sia il nesso di causa che l’elemento soggettivo dell’illecito, poichè, in tema di condotta omissiva, l’accertamento di tale data costituisce elemento indispensabile per individuare la condotta positiva dovuta e per valutare, alla stregua del necessario ragionamento controfattuale e secondo la regola probatoria della preponderanza dell’evidenza, se tale condotta – ipoteticamente compiuta – avrebbe potuto evitare l’evento dannoso (nella specie la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza di secondo grado che aveva accolto la domanda per la condanna del Ministero al risarcimento del danno da emotrasfusione, cui era conseguita epatite B e C). [AA]

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Cass. civ. Sez. III, Sent., 20/01/2015, n. 823

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio – Presidente -
Dott. PETTI Giovanni B. – Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere -
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere -
Dott. RUBINO Lina – Consigliere -
ha pronunciato la seguente

sentenza

sul ricorso 8559/2013 proposto da MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona Ministro pro tempore, constato domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e rappresentato e difeso per legge;
- ricorrente -

contro

S.M., C.C., C.E., C. A., i quali agiscono in proprio e nella qualità di eredi del defunto C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE CLODIO 22, presso lo studio dell’avvocato Antonio Cassiano, rappresentati e difesi dall’avvocato Frezza Mauro giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 5776/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/11/2012, R.G.N. 2220/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/10/2014 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;
udito l’Avvocato dello Stato VINCENZO RAGO;
udito l’Avvocato ANTONIO CASSIANO per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

S.M. e C.C., E. e A. agirono, in proprio e quali eredi di C.M. (marito della prima e padre degli altri), per ottenere il risarcimento dei danni loro spettante – iure hereditatis e iure proprio – in conseguenza di trasfusioni praticate al predetto C.M., nel periodo (OMISSIS), alle quali assumevano essere conseguita un’epatite B e C, a causa della quale il congiunto era deceduto in data (OMISSIS).
Il Tribunale di Roma accolse la domanda.
La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto dal Ministero della Salute, il quale ricorre per cassazione affidandosi ad un unico articolato motivo.
Resistono gli intimati a mezzo di controricorso.

Motivi della decisione

1. I controricorrenti eccepiscono la nullità della notifica del ricorso – in quanto effettuata presso il difensore avv. Frezza, ma allo studio dello stesso (in Nettuno) anzichè al domicilio eletto (presso l’avv. Cassiano, in Roma) – e ne fanno discendere la decadenza dall’impugnazione.
L’eccezione è infondata in quanto la nullità della notifica risulta sanata – con efficacia ex tunc – per effetto della costituzione in giudizio della parte intimata (cfr. Cass. n. 908/2005).

2. Con l’unico motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.”), il ricorrente censura la sentenza per avere affermato “la sussistenza di un comportamento colpevole imputabile al Ministero e la sussistenza del nesso di causa fra la patologia epatica … e le trasfusioni … in epoca in cui non erano stati scoperti i virus HBV e HCV”.

3. Sul punto, la Corte di Appello ha rilevato che “sin dalla metà degli anni 70 si era acquisita la conoscenza di un tipo di epatite non identificabile con quelli sino ad allora conosciuti, il tipo A e il tipo B, e definita non A – non B, osservazione che deve far ritenere ancora più risalente nel tempo l’acquisita conoscenza dell’epatite B”; ha aggiunto che “la consapevolezza della possibilità di trasmissioni virali in occasione di emotrasfusioni era stata acquisita già nel (OMISSIS)” allorchè era stato emanato il D.P.R. n. 1256 del 1971 i cui artt. 46 e 47, avevano previsto l’esclusione dalla donazione del sangue di chi fosse risultato affetto da epatite o a rischio di averla contratta; ne ha tratto la conclusione che, già da quell’epoca, il Ministero avrebbe potuto adottare “norme precauzionali idonee ad evitare la preparazione di emoderivati con sangue di soggetti epatici” e che l’adozione di tali precauzioni “avrebbe impedito la verificazione dell’evento patito da C.M.”.

4. Il motivo è fondato, per quanto di ragione.
E’ noto che questa Corte (da Cass., S.U. n. 581/2008 a Cass. n. 5954/2014) ha sempre affermato che – trattandosi di un accertamento di fatto – è rimessa al giudice di merito la concreta individuazione della data di conoscenza del virus dell’epatite B.
E’ noto, altresì, che – nell’economia logico-giuridica delle richiamate pronunce di legittimità – l’individuazione di tale conoscenza assurge a criterio di delimitazione temporale della responsabilità del Ministero, assumendo rilevanza decisiva per accertare sia il nesso di causa che l’elemento soggettivo dell’illecito.

Sotto il primo profilo, in quanto devono ricomprendersi nella serie causale giuridicamente rilevante solo le conseguenze “che appaiono sufficientemente prevedibili” – in astratto – al momento della condotta, “escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili” (Cass. n. 581/2008); nello specifico ambito di una causalità correlata a condotta omissiva, l’accertamento della data di conoscenza del virus costituisce elemento indispensabile per individuare la condotta positiva dovuta e per valutare, alla stregua del necessario ragionamento controfattuale e secondo la regola probatoria della preponderanza dell’evidenza, se tale condotta – ipoteticamente compiuta – avrebbe potuto evitare l’evento dannoso.

Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, è – poi – del tutto ovvio che l’affermazione della colpa non possa prescindere dall’accertamento della conoscenza di elementi che valessero a rendere esigibile – da parte del Ministero – l’adozione di specifiche cautele volte ad escludere il rischio di contagio.

Ciò premesso, deve rilevarsi come questa Corte non abbia mancato di sottolineare che la conoscenza della possibile veicolazione di virus attraverso il sangue infetto deve essere apprezzata con riferimento “all’epoca di preparazione del preparato” e avendo riguardo alla “conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici” (Cass. n. 581/2008), con ciò intendendo – evidentemente – rimarcare l’esigenza di ancorare l’accertamento fattuale demandato al giudice di merito a riscontri scientifici oggettivi e universalmente condivisi (anche al fine di assicurare uniformità di trattamento a quanti abbiano riportato contagio in uno stesso periodo).

A tale esigenza non risponde la sentenza impugnata, che colloca agli inizi degli anni Settanta la possibilità dell’adozione di misure precauzionali atte ad evitare il contagio, senza – però – fornire elementi che valgano a riscontrare specificamente tali affermazioni nei risultati acquisiti nelle sedi scientifiche ufficiali internazionali (e cioè in quei siti a cui poi si conformano gli organismi sia statali che sovranazionali per regolare l’attività specifica), in modo da poter ritenere sufficientemente stabilizzato ciò che era iniziato come ipotesi di ricerca di singoli.
Ciò tanto più in considerazione della notevole discrepanza esistente fra i riferimenti temporali compiuti dalla Corte e il dato – riferibile all’Organizzazione Mondiale della Sanità, massimo organo internazionale in materia – che fa risalire la conoscenza dell’HBV e del test di identificazione all’anno 1978.

Ciò comporta che non risultino chiaramente individuati i dati rilevanti ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo e prima ancora – del nesso causale dell’illecito ascritto al Ministero e giustifica la cassazione della sentenza e il rinvio alla Corte di Appello, che provvederà a rivalutare la vicenda alla luce dell’evidenziata necessità che l’accertamento del giudice di merito non prescinda dalla puntuale individuazione di dati ufficialmente riconosciuti al più alto livello delle conoscenze scientifiche.

5. La Corte di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2015

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