Divorzio e assegno – Cassazione Civile, Sezione I, 20 marzo 2013 n. 6868

Nella disciplina dettata dalla L. 10 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, come modificato L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10 il giudice, chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, è tenuto a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza – al momento della decisione – dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, con la conseguenza che è la nozione di adeguatezza a postulare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio; in tale valutazione deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla disposizione citata (nella specie è stato ritenuto non incidente che la casa comune fosse stata venduta ed il ricavato fosse stato diviso tra i coniugi). [SP]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente -
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere -
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10811-2007 proposto da:
R.P. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati BARTIROMO PAOLO, MINUCCI PAOLO, giusta procura in calce al ricorso; – ricorrente -

contro

P.P.; – intimata -

avverso la sentenza n. 2597/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/08/2006;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. APICE Umberto che aderisce alla relazione.

La Corte:
rilevato che sul ricorso n. 10811/07 proposto da R.P. nei confronti di P.P. è stata depositata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la relazione che segue.
Il Consigliere relatore, dott. Salvatore Di Palma Osserva:
Ritenuto che R.P., con ricorso del 24 marzo 2007, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico articolato motivo di censura -, nei confronti di P.P., la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, depositata in data 4 agosto 2006, con la quale la Corte, pronunciando sull’appello della P. – volto alla riforma della sentenza del Tribunale di Napoli n. 9541/05 del 29 settembre 2005, nella parte in cui aveva respinto la domanda della stessa appellante, di attribuzione di un assegno divorzile -, in contraddittorio con il R., ha accolto parzialmente l’appello e, per l’effetto, ha posto a carico del R. il versamento della somma mensile di Euro 150,00 a titolo di assegno divorzile;
che P.P., benchè ritualmente intimata, non si è costituita nè ha svolto attività difensiva;
che i Giudici a quibus, con l’impugnata sentenza, hanno osservato: a) che le parti hanno contratto matrimonio concordatario in data 11 febbraio 1981; b) che dal matrimonio sono nati due figli, attualmente maggiorenni, dei quali uno convivente con il padre e l’altra, convivente con la madre, per la quale il padre corrisponde un contributo mensile di mantenimento di Euro 150,00 rivalutabili; c) che, sulla base di consolidati principi enunciati dalla Corte di cassazione, assumono rilievo le seguenti circostanze: 1) la sentenza di separazione, recependo l’accordo delle parti, aveva stabilito che il R. si sarebbe accollato il pagamento dell’intero mutuo acceso per l’acquisto della casa comune; 2) il reddito mensile netto percepito dal R., secondo il CUD 2005, era di Euro 2.000,00 circa; 3) il reddito mensile netto percepito dalla P. era pari a circa la metà di quello percepito dall’ex marito; 4) la predetta casa acquistata in comunione era stata venduta ed il ricavato era stato diviso tra i coniugi con attribuzione a R. della quota depurata dalle rate di mutuo e dalle imposte fino ad allora dallo stesso non pagate in violazione degli obblighi stabiliti dalla sentenza di separazione; d) che, alla stregua delle emergenze processuali, emerge in maniera inconfutabile una sostanziale disparità della situazione patrimoniale tale da poter affermare che la signora P. non dispone di risorse adeguate a consentirle il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello di cui godeva in costanza di matrimonio, dato che il suo reddito corrisponde alla metà di quello percepito dal marito. Rilevato inoltre che il matrimonio è durato ben venticinque anni, che la signora aveva contribuito alla formazione del patrimonio familiare (la circostanza non risulta contestata da parte appellata), che la stessa, in seguito alla vendita della casa coniugale, dovrà a propria volta reperire altro appartamento e pagare un canone di locazione, rileva la Corte che l’assegno divorzile vada determinato nella misura di Euro 150,00 mensili.

Considerato che il ricorrente censura la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus hanno omesso di considerare che: a) la P. non ha dato prova nè del fatto di versare in stato di necessità nè del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, peraltro motto modesto e contenuto; b) la stessa conduce una vita più che dignitosa, posto che esercita la professione di biologa con contratto di lavoro part-time, da cui ritrae un reddito mensile di Euro 1050,00; c) dalla vendita della casa coniugale la P. ha ricevuto la consistente somma di Euro 120.937,68 che le hanno consentito l’acquisto di un immobile; d) la P. dispone anche della pensione di reversibilità e di quella di invalidità della madre con lei convivente; e) lo stesso ricorrente subisce delle trattenute sul proprio stipendio in ragione dei debiti contratti durante il matrimonio, dalla vendita dell’immobile comune, ha ricavato – per le spese e per le imposte pagate – soltanto Euro 66.528,41 e deve provvedere anche al mantenimento della nuova famiglia a seguito del nuovo matrimonio contratto il 14 ottobre 2006;
che il ricorso appare manifestamente infondato;

che la Corte di Napoli, nel decidere il riconoscimento all’intimata dell’assegno divorzile, ha valorizzato la sostanziale disparità della situazione patrimoniale degli ex coniugi e, nel quantificarlo, ha tenuto conto della durata venticinquennale del matrimonio, dell’incontestato contributo della P. alla formazione del patrimonio familiare, nonchè della circostanza che, a seguito della vendita della casa familiare alla stessa assegnata, la P. dovrà provvedere al reperimento di altro alloggio ed agli oneri connessi;

che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di divorzio e nella disciplina dettata dalla L. 10 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, come modificato L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10 il giudice, chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, è tenuto a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza – al momento della decisione – dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, con la conseguenza che è la nozione di adeguatezza a postulare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio (cfr. ex plurimis, le sentenze nn. 20582 del 2010, 24496 del 2006, 4040 del 2003);
che, inoltre, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, potendo lo stesso valorizzare – come nella specie – quello basato sulle condizioni economiche delle parti, in particolare apprezzando la deteriore situazione del coniuge avente diritto all’assegno, oltre alla durata legale del matrimonio (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 7601 del 2011, 9876 del 2006, 4617 del 1998);
che i Giudici a quibus si sono sostanzialmente uniformati a tale orientamento sia nel riconoscimento del diritto sia nella quantificazione dell’assegno, – si sottolinea – in misura estremamente contenuta;
che, alla luce delle considerazioni che precedono perdono del tutto consistenza le censure formulate dal ricorrente;
che infatti, quanto alla censura sub a), il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, non è affatto condizionato dallo stato di necessità del richiedente, esigendo invece l’inadeguatezza dei mezzi di quest’ultimo nel senso dianzi specificato, mentre la modestia della misura dell’assegno attesta che la Corte di Napoli ha tenuto conto del dignitoso ma modesto tenore di vita anteatto;
che, quanto alla censura sub b), con la stessa si deduce una circostanza irrilevante che, peraltro, conferma la circostanza delta disparità reddituale dei coniugi;
che, quanto alle censure sub c) e sub e), le stesse sono parimenti irrilevanti, sia perchè la Corte territoriale ha sottolineato che, a seguito della vendita della casa familiare assegnatale in sede di separazione, la P. dovrà provvedere al reperimento di altro alloggio ed agli oneri connessi, sia perchè una somma pari a quella della ex moglie è stata attribuita anche al R., senza che questi possa dolersi di aver incassato una somma minore, in quanto ciò è dipeso dall’incontestata circostanza, posta in rilievo dai Giudici a quibus, che lo stesso si è reso inadempiente all’obbligo di pagamento delle rate di mutuo gravante sulla casa familiare, concordato dalle parti e recepito nella sentenza di separazione;
che, quanto alla censura sub d), la stessa è inammissibile per genericità e per mancanza di autosufficienza, perchè il ricorrente non specifica dove, come e quando la deduzione è stata dallo stesso effettuata nel giudizio a quo e perchè, in ogni caso, si tratterebbe, in ipotesi, di redditi percepiti non dalla intimata ma dalla propria madre con La stessa convivente;
che, infine, anche la censura che si fonda sugli obblighi di mantenimento gravanti sul ricorrente a seguito della formazione di una nuova famiglia è inammissibile per assoluta genericità, non essendo specificati nè la deduzione ne giudizio a quo nè, comunque, la natura e la misura economica di tali obblighi;
che, pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio.
Roma 8 ottobre 2012.

Il Consigliere relatore.
Considerato:
che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra;
che pertanto il ricorso va rigettato senza pronuncia di condanna del ricorrente alle spese processuali non avendo la resistente svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento si adottino le misure di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2013

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