Il falso in bilancio “dannoso”, pur restringendo la nuova nozione di “fatti materiali”, resta punibile anche ai sensi dell’art. 2622 c.c. come modificato dalla Legge 69/2015, ancorchè commesso nel regime previgente [Cassazione Penale, Sez. V, 16 maggio 2016 n. 20256].

La nuova formulazione dell’art. 2622 cod. civ., introdotta dall’art. 11 L. 27 maggio 2015 n. 69, si pone in rapporto di continuità normativa con la fattispecie previgente, quanto alla condotta di mancata esposizione in bilancio di poste attive effettivamente esistenti nel patrimonio sociale, determinando una successione di leggi penali, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen. e pertanto, anche qualora si propenda per una interpretazione restrittiva della nozione di “fatti materiali”, la condotta illo tempore posta in essere integra comunque il reato di falso in bilancio laddove sia stata produttiva di danno. [AA]

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente -
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere -
Dott. CATENA Rossella – Consigliere -
Dott. MICCOLI Grazia – rel. Consigliere -
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da: S.A., n. il [omissis]; avverso la sentenza n. 6370/2013 Corte Appello di Milano, del 27/03/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 01/02/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Grazia Miccoli;
Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott. Birritteri Luigi, ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della pronunzia emessa in primo grado dal Tribunale di Busto Arsizio, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.A. in ordine al reato di false comunicazioni ex art. 2622 cod. civ. per la condotta relativa all’esercizio 2005 e, concesse le attenuanti generiche, ha ridotto la pena inflitta in relazione alla residua condotta relativa all’esercizio 2006.
I fatti sono stati contestati alla S. nella sua qualità di liquidatore della società “impresa Edile Le Cinque a s.r.l.”.

2. Avverso la sentenza ricorre, a mezzo del proprio difensore, l’imputata, eccependo in primo luogo l’intervenuta prescrizione del reato anche per la condotta residua, consumatasi con la presentazione del bilancio per l’anno 2006.

2.1 La ricorrente deduce poi violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alle doglianze proposte con l’appello, avendo la Corte territoriale omesso ogni autonoma valutazione sui fatti per cui è processo, limitandosi a richiamare le argomentazioni del giudice di primo grado.

2.2 I ricorrente si duole inoltre della mancata considerazione da parte della Corte territoriale della carenza della condizione di procedibilità, giacchè la persona offesa aveva proposto la querela ben oltre i 90 giorni dal momento in cui aveva avuto conoscenza del fatto.

2.3. Viene altresì censurata la sentenza per non aver considerato adeguatamente le doglianze svolte in fase di impugnazione in relazione all’assenza dell’elemento soggettivo del reato.

2.4. La ricorrente deduce ulteriormente vizi motivazionali in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non avendo l’attività dibattimentale dimostrato che l’imputata avrebbe esposto dei fatti materiali o delle informazioni non rispondenti al vero nei bilanci della società.

Motivi della decisione

Il ricorso merita di essere accolto in relazione al primo motivo, con il quale si è eccepita l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

1. Preliminarmente tuttavia è necessario verificare se il fatto per cui si procede sia tuttora previsto dalla legge come reato, atteso che successivamente alla proposizione del ricorso è entrata in vigore la L. n. 69 del 2015 che ha significativamente ridisegnato le fattispecie di false comunicazioni sociali previste dal testo degli artt. 2621 e 2622 cod. civ. vigente all’epoca dei fatti e della pronunzia della sentenza impugnata.

La legge menzionata ha infatti configurato due autonomi titoli di reato, configurati entrambi come delitti e collocati, rispettivamente, nei citati artt. 2621 e 2622 cod. civ. al fine di differenziare la repressione delle false comunicazioni sociali a seconda che il fatto sia commesso nell’ambito di una società “non quotata” ovvero di una “quotata”.
Differenziazione che si traduce soprattutto nella previsione di diverse cornici edittali di pena: da uno a cinque anni di reclusione nel primo caso, da tre a otto nel secondo. Ed infatti, a parte alcuni pur non marginali dettagli di cui si dirà in seguito, la struttura delle due incriminazioni è pressochè identica e tesa a superare l’assetto ideato dal legislatore del 2002 nel quale era prevista una fattispecie contravvenzionale di pericolo ed un delitto di danno – in un rapporto di sostanziale progressione criminosa tra loro – quest’ultimo diversamente configurato qualora il fatto riguardasse una quotata esclusivamente in merito al profilo del trattamento sanzionatorio ed al regime di procedibilità.

La novella propone invece due reati di pericolo (invero tre se si considera anche l’ipotesi attenuata di cui all’art. 2621-bis cod. civ., configurata come vero e proprio titolo autonomo di reato), integrati a prescindere dalla causazione di un danno a soci o creditori, che ripropongono in buona parte il profilo strutturale della fattispecie contravvenzionale contenuta nel previgente testo dell’art. 2621 cod. civ..
Scompare altresì per le società non quotate la procedibilità a querela della persona offesa, rivelandosi in tal senso l’intenzione di recuperare coerenza sistematica attraverso la tutela esclusiva della trasparenza dell’informazione societaria.
Quelli di nuovo conio rimangono invece reati propri degli amministratori, dei direttori generali, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, dei sindaci e dei liquidatori.

Con riguardo all’oggetto materiale del reato è stata conservata la tipizzazione delle comunicazioni sociali rilevanti introdotta dalla precedente riforma del 2002, individuate nei bilanci, nelle relazioni e nelle altre comunicazioni dirette ai soci e al pubblico previste dalla legge. Invero tale ultimo inciso è stato “spostato”, rispetto alla formulazione previgente, in coda all’elenco, con l’apparente intento di fugare eventuali residui dubbi circa il fatto che la specificazione riguardi non solo le comunicazioni, ma altresì le relazioni.
Viene dunque confermata l’irrilevanza penale delle condotte che riguardano comunicazioni “atipiche”, comunicazioni interorganiche e quelle dirette ad unico destinatario, sia esso un soggetto privato o pubblico, le quali, sussistendone le condizioni, possono configurare, a seconda dei casi, i reati di truffa ovvero quelli previsti dagli artt. 2625, 2637 e 2638 cod. civ. o ancora quello di cui all’art. 185 TUIF.
Il legislatore ha invece provveduto, come già accennato, all’eliminazione dell’evento di danno e delle soglie previsti nella previgente formulazione dei due articoli menzionati. Eliminazione cui ha corrisposto una rimodulazione delle condotte tipiche, ora integrate dall’esposizione in una delle comunicazioni tipizzate di “fatti materiali non rispondenti al vero” ovvero nell’omissione di “fatti materiali la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene”. Nell’ipotesi prevista dall’art. 2621 – dedicata come ricordato alle sole società non quotate – i “fatti materiali” non rispondenti al vero ovvero quelli occultati devono inoltre essere “rilevanti”.

La novella ha dunque ripreso la molto discussa formula utilizzata dal legislatore del 2002 per circoscrivere l’oggetto della condotta attiva, amputandola però del riferimento alle valutazioni (“ancorchè oggetto di valutazioni”) contenuto nel testo previgente dei due articoli e provvedendo contestualmente a replicarla anche nella definizione di quello della condotta omissiva, in relazione alla quale le due norme incriminatrici in precedenza evocavano le “informazioni” oggetto di omessa comunicazione.

Sempre con riguardo all’elemento oggettivo delle due fattispecie, è stato inoltre riproposto il requisito dell’idoneità ingannatoria della falsa comunicazione (e cioè della attitudine delle medesime ad indurre in errore i loro destinatari), che è stato peraltro “rafforzato” attraverso l’aggiunta dell’avverbio “concretamente”, in grado di qualificare i due delitti come reati di pericolo, per l’appunto, concreto.

Per quanto riguarda invece le modifiche apportate alla struttura dell’elemento soggettivo, deve osservarsi come il legislatore abbia confermato, con riguardo ad entrambe le figure di reato, la necessità di un dolo specifico, caratterizzato dal fine di procurare per sè o per altri un ingiusto profitto.
La novella non ha invece riproposto la espressa caratterizzazione dello stesso come intenzionale, attraverso la soppressione dell’inciso “con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico” che era stato introdotto nel 2002.
In diretta relazione alla descrizione della condotta ha fatto invece la sua comparsa l’avverbio “consapevolmente”, che appare sintomatico della volontà del legislatore di escludere la rilevanza del dolo eventuale.

Le modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2015 hanno innanzi tutto ampliato l’ambito di operatività dell’incriminazione delle false comunicazioni sociali, avendo comportato, come evidenziato, l’eliminazione dell’evento e delle soglie previste dal precedente testo dell’art. 2622 cod. civ., mantenendo invece nella sostanza identico il profilo della condotta tipica. In tal senso l’odierno fenomeno successorio assume caratteristiche opposte a quello generato dal D.Lgs. n. 61 del 2002, che aveva invece ristretto gli orizzonti applicativi della fattispecie tracciati nell’originario testo della disposizione del codice civile. Ma non è in dubbio che tra la fattispecie previgente e quella di nuova configurazione nell’art. 2621 cod. civ. sussista un evidente rapporto di continuità normativa.

Qualche perplessità ha suscitato la già segnalata epurazione dello specifico riferimento alle “valutazioni” contenuto nel testo previgente dei due articoli e alla sostituzione, con riguardo all’ipotesi omissiva, del termine “informazioni” con la locuzione “fatti materiali”.
Il contrasto giurisprudenziale che in ordine a tale profilo si è creato (si vedano, in particolare, Sez. 5, n. 33774 del 16/06/2015, Crespi e altri, Rv. 264868; Sez. 5, n. 6916 del 08/01/2016, Banca Popolare Dell’Alto Adige Soc. Coop.p.a., Rv. 265692; contra, Sez. 5, n. 890 del 12/11/2015, Giovagnoli, Rv. 265691) è stato di recente risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte (con sentenza del 31 marzo 2016, la cui motivazione non è stata ancora depositata), che ha interpretato la norma nel senso di non escludere la rilevanza del falso c.d. “qualitativo” “se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni” (in tali termini è stata diffusa l’informazione provvisoria).

Si tratta comunque di questione che non necessita di essere ulteriormente approfondita in questa sede, atteso che l’oggetto della contestazione mossa all’imputata riguarda la mancata esposizione nel bilancio di poste attive e passive effettivamente esistenti nel patrimonio della società.
Un fatto, dunque, certamente riconducibile allo schema della nuova incriminazione anche qualora si propenda per una interpretazione restrittiva della nozione di “fatti materiali”.

Invero, la nuova formulazione dell’art. 2622 cod. civ., introdotta dalla L. 27 maggio 2015, n. 69, art. 11, si pone, quanto alla condotta di mancata esposizione in bilancio di poste attive effettivamente esistenti nel patrimonio sociale, in rapporto di continuità normativa con la fattispecie previgente, determinando una successione di leggi penali, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen. (Sez. 5, n. 37570 del 08/07/2015, P.C. in proc. Fiorini, Rv. 265020).

2. Nel caso di specie alla S. è stata contestata la fattispecie di false comunicazioni sociali “dannose” di cui al previgente testo dell’art. 2622 cod. civ., reato commesso omettendo di riportare una serie di dati relativi a crediti e debiti della società nei bilanci degli esercizi 2005 e 2006.

Come si è visto, già con la sentenza di secondo grado è stata dichiarata la prescrizione in relazione ai fatti relativi al bilancio del 2005.
La non manifesta infondatezza dei motivi di ricorso impone di dichiarare l’estinzione del reato anche in relazione ai fatti di cui al bilancio del 2006.
Infatti, calcolati i periodi di sospensione del processo, il termine prescrizionale è spirato alla data del 12 settembre 2014.

3. Il ricorso va rigettato agli effetti civili.
Invero, alla stregua delle risultanze processuali come valutate dai giudici di merito con motivazione congrua ed esente da vizi logici e di metodo, è emerso che la S. ha consapevolmente commesso i fatti a lei ascritti.
Nè appare fondata la questione relativa alla intempestività della querela, in relazione alla quale la Corte territoriale ha pure congruamente e logicamente motivato.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Rigetta il ricorso agli effetti civili.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2016

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