Danno erariale indiretto e responsabilità amministrativa del sanitario innanzi alla Corte dei Conti [Sezione giurisdizionale Lombardia, 18 marzo 2015 n. 40]

La condotta gravemente colposa dei dipendenti della struttura sanitaria e del medico per il c.d. contatto sociale (o d’opera) può costituire ipotesi di responsabilità amministrativa laddove sussistano rapporto di servizio, elemento soggettivo della colpa grave, nesso di causalità tra la condotta e i danni subiti dall’ente:in tal senso il danno erariale indiretto è il costo che l’Ente sanitario deve sopportare in relazione alla conseguente responsabilità della struttura sanitaria per il fatto dell’ausiliario o preposto ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. (nella specie la Corte contabile lombarda ha prosciolto l’ostetrica, per carenza di nesso causale, dall’addebito di non aver saputo compiere correttamente la manovra di disimpegno delle spalle del feto, mentre ha condannato la ginecologa che aveva prestato l’assistenza al parto omettendo di suturare adeguatamente la lacerazione perineale subita dalla paziente). [AA]

—–
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA LOMBARDIA

composta dai Magistrati:
Claudio Galtieri – Presidente
Vito Tenore – Consigliere
Eugenio Madeo – Referendario relatore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. G28127 del registro di segreteria ad istanza della Procura regionale per la Lombardia contro:
- S.G., nata a [omissis], rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Vinci, con elezione di domicilio presso il suo studio in Milano, piazza della Conciliazione, n. 5;
- D.R., nata a [omissis], non rappresentata e difesa nel presente giudizio.

VISTI: il r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 26; il r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; il d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla l. 14 gennaio 1994, n. 19; la l. 14 gennaio 1994, n. 20; il d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito dalla l. 20 dicembre 1996, n. 639; il c.p.c., artt. 131, 132 e 133.
VISTO l’atto introduttivo.
LETTI gli atti e i documenti di causa.
UDITI, nella pubblica udienza del 25 febbraio 2015, il Referendario relatore Eugenio Madeo, il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Fabrizio Cerioni e l’Avvocato Paolo Vinci per la G..
Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione depositato in data 7 ottobre 2014, la Procura regionale presso questa Sezione ha convenuto in giudizio la Sig.ra S.G. e la Dott.ssa D.R. per ivi sentirle condannare al pagamento, in favore dell’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate, ciascuna della somma capitale pari ad euro 3.227,85, oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio, corrispondente al 50% del complessivo danno erariale, pari ad euro 6.455,70, arrecato con condotte ritenute gravemente colpose.

In particolare, dall’atto di citazione emerge quanto segue: la Procura, a seguito di notizia di danno comunicata dall’Azienda Ospedaliera con nota n. 10209 dell’8 aprile 2009 (all. n. 1 del fascicolo della Procura), concernente l’avvenuto rimborso alla Zurich Company Insurance S.A. di euro 6.455,70 a causa del superamento della franchigia aggregata prevista dal contratto di assicurazione, avviava specifica attività istruttoria.
In esito alla menzionata istruttoria la Procura precisa che “il pagamento della somma in oggetto … è stato disposto dalla predetta Compagnia di assicurazioni a favore della sig.ra [omissis] a seguito di transazione stipulata dalla stessa Compagnia in data 22 dicembre 2008 (all. 6), dopo che la sig.ra [omissis], con citazione notificata in data 14 dicembre 2006, aveva instaurato un giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo, chiedendo la condanna dell’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate a rifondere all’attrice tutti i danni, patrimoniali, biologici, morali ed assistenziali asseritamente patiti (all. 7)”.

Il Requirente ha poi evidenziato che la stessa compagnia assicuratrice, a seguito di svariati pareri medici, aveva in sostanza individuato una precisa responsabilità dell’Unità organizzativa di Ostetricia di Alzano Lombardo per i danni cagionati alla [omissis] durante l’assistenza al parto del suo secondo figlio, ovvero “… una lacerazione perineale di entità superiore rispetto a quella registrata nella cartella clinica che aveva seriamente interessato lo sfintere anale, determinando perdite fecali e la necessità di un intervento di plastica ricostruttiva del pavimento pelvico e sfinteroplastica con overlapping”.

In proposito la Procura riporta ampi stralci della relazione resa dal Prof. Fabio Buzzi (C.T.P. incaricato dalla [omissis]) che tra le altre cose precisa che “la lacerazione perineale è stata sicuramente determinata da un’imperita assistenza al parto suffragata dagli elementi clinico circostanziali … essenzialmente imputabile alla componente operativa ostetrica, che non ha saputo disimpegnare correttamente e tempestivamente le spalle del feto”.
Per il Requirente quindi “nel caso di specie detta responsabilità è imputabile in parte all’errata manovra dell’ostetrica dott.ssa G. che “non ha saputo disimpegnare correttamente e tempestivamente le spalle del feto”, che dopo l’espulsione, mostrava un vistoso dismorfismo alla spalla destra, e, in parte, all’imperizia della ginecologa che aveva prestato l’assistenza al parto, dott.ssa D.R., che non ha provveduto a suturare adeguatamente la lacerazione perineale subita dalla Sig.ra [omissis] secondo le regole dell’arte medica”.
Al termine della richiamata attività istruttoria la Procura erariale, ritenendo sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, notificava alle odierne convenute specifico invito a dedurre (all. n. 11 del fascicolo della Procura).

Sempre la Procura riferisce poi che sia la G. che la R. hanno presentato deduzioni difensive, chiedendo quest’ultima, a differenza della prima, di essere anche sentita personalmente (all.ti n. 13 e 14 del fascicolo della Procura).

In data 17 settembre 2014 la R. veniva sentita, come richiesto, in audizione personale in cui ha affermato tra le altre cose che “… salvo errori grossolani, di non aver visto alcuna lesione dello sfintere anale  e che, pertanto, la lamina soprastante il muscolo doveva essere integra e quindi le impediva di vedere lo stato del muscolo sottostante” e che “… dopo il parto in un certo numero di casi si può verificare un ipotono dello sfintere anale con conseguente incontinenza fecale. Tale stato ipotonico può durare alcuni giorni ma poi si risolve. Trovo sconvolgente che la paziente si sia presentata ai controlli dopo 5 mesi di incontinenza fecale quotidiana. Se si fosse presentata prima avrebbe avuto una diagnosi della lesione dello sfintere anale ed una immediata operazione chirurgica riparatoria evitando le conseguenze dannose del risarcimento” (all. n. 15 del fascicolo della Procura).

Tanto precisato, non essendo le argomentazioni difensive risultate idonee a superare l’addebito di responsabilità sulla base delle evidenze istruttorie, la Procura ritiene esser stata raggiunta la piena prova della responsabilità amministrativa in capo alle convenute.
Al riguardo il Requirente precisa che il caso di specie è una tipica ipotesi di danno erariale indiretto “… trattandosi di un costo che l’Ente ha dovuto sopportare in conseguenza della condotta gravemente colposa – errate manovre ostetrico/chirurgiche – dei propri dipendenti” e che “dalla responsabilità del medico per il c.d. contatto sociale (o contratto d’opera) consegue quella della struttura sanitaria per il fatto dell’ausiliario o preposto ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. …”.
In sintesi, secondo la Procura, non hanno formato oggetto di contestazione né la sussistenza di un danno patrimoniale effettivo, concreto ed attuale, né la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta delle convenute e la diminuzione patrimoniale subita dall’Azienda Ospedaliera, né tantomeno la sussistenza del rapporto di impiego tra queste e l’Azienda stessa.

Infine, per quanto riguarda la sussistenza in capo alle odierne convenute dell’elemento soggettivo della colpa grave, la Procura precisa che la G. e la R. si sono rese “… responsabili, rispettivamente, delle errate manovre di estrazione del feto con la conseguente lacerazione perineale subita dalla Sig.ra [omissis] e dell’imperita sutura della stessa”.
Infine, il Requirente evidenzia che l’imperizia nel caso di specie è rilevabile anche dal fatto che il caso non implicava la soluzione di problemi di particolare difficoltà, atteso che era un caso di assistenza al parto ad una donna “secondipara” senza particolari complicazioni, così come concordemente affermato sia dal dott. Buzzi (C.T.P. della [omissis]) sia dal dott. Ventura (C.T.U. nominato dal Giudice designato presso il Tribunale di Bergamo).

In data 7 novembre 2014 la R. ha comunicato alla Procura “… di non volersi costituire nell’ambito del giudizio “de quo” e di essere pertanto disponibile a rifondere all’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate la somma richiesta nell’atto di citazione …”.
In data 27 gennaio 2015 si è costituita la G. eccependo preliminarmente la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza ex art. 164 c.p.c.  dello stesso atteso che non si provvede a descrivere “… né la condotta della Sig.ra G. ritenuta cagionativa del preteso danno, né le norme di legge violate, costituenti il titolo e le ragioni della domanda”.
Nel merito, la difesa evidenzia innanzitutto che “… le ragioni di addebito sono state assunte esclusivamente sulla base di valutazioni tecnico/mediche di “soggetti di parte” (consulenti della Compagnia di Assicurazioni e consulenti di parte danneggiata), con la precisazione che non vi è alcuna sentenza di condanna: le parti si sono determinate a transigere all’esito della CTU in un giudizio nel quale le odierne convenute non erano nemmeno parti”.
Ancora la difesa dopo aver ripercorso i passaggi salienti del caso clinico in questione ha affermato che “… non si comprende come possa essere identificato il ricorrere di una “massima imperizia” in un caso che non risulta di per sé così cristallizzato e pacifico”.

In sostanza, la convenuta precisa che “il parto forse non è definibile tecnicamente come evento a “carattere emergenziale”, ma possiede momenti di celerità e urgenza che non possono essere trascurati, come si trattasse di un routinario intervento chirurgico d’elezione. A ciò si aggiunga che è atto in cui, per natura, l’elemento “imprevedibilità” può determinarsi, nonostante tutti i preliminari accertamenti clinici ed ecografici possibili”.
Inoltre, considerata l’evidente corresponsabilità della ginecologa “… poiché essa sola avrebbe dovuto e potuto riconoscere ed emendare la lacerazione” la difesa chiede che “in subordine, qualsivoglia responsabilità deve essere quanto meno condivisa con la ginecologa in una percentuale che non può essere inferiore a 2/3 della (pretesa, ma contestata) responsabilità prevista”.

In ordine alla condotta della G. la difesa afferma poi che “dal partogramma compilato dalla convenuta si può constatare che il parto della Signora [omissis] fu un parto spontaneo, la cui definizione sta ad indicare l’assenza di manovre ostetriche invasive atte a velocizzare la fase di espulsione delle spalle del feto … solo in caso di tracciato non rassicurante sono indicate e previste manovre atte a disimpegnare tempestivamente le spalle fetali, manovre che devono essere documentate in cartella e se applicate il parto non è più definito come spontaneo ma come distocico con distocia di spalle.
Nel caso della Signora [omissis] il tracciato cardiotocografico era normale e documentato nel partogramma con la dicitura CTG GRADO 0. Ciò sottintende la necessità di non applicare nessun tipo di manovra invasiva.
L’eventuale dismorfismo alla spalla destra del neonato (peraltro non documentato in nessun punto della cartella clinica della paziente) potrebbe essere stato dovuto al semplice adattamento ai diametri del bacino materno. Per questi motivi, la lacerazione perineale della signora non è assolutamente stata causata da un’imperita assistenza al parto da parte dell’ostetrica, visto che il parto fu spontaneo e quindi non necessitava di alcuna manovra atta a velocizzare l’espulsione del feto”.

Successivamente la difesa precisa che “… le perizie, in quanto documento di parte, non possono essere ritenute sufficienti per assolvere all’onere probatorio … pertanto la decisione di voler addivenire ad una transazione esclusivamente sulla base della valutazione di un Comitato interno dell’Azienda (composto, tra l’altro, di soggetti privi delle competenze scientifiche tecnico-chirurgiche necessarie per valutare siffatte condotte, come si può facilmente evincere da un’attenta osservazione della composizione del Comitato stesso, formato da giuristi, personale amministrativo dell’Azienda, esponenti dell’Assicurazione e due medici legali senza alcuna ostetrica), costituisce una scelta che, poi, in un secondo momento, non può certamente riverberare i propri effetti negativi su Sanitari rimasti estranei all’intero contesto transattivo”.

Ancora, la difesa dopo aver evidenziato che nessuna delle perizie considerate dalla Procura parla di colpa grave, si è soffermata sull’evoluzione giurisprudenziale del concetto di colpa grave.
Da ultimo la difesa chiede in ogni caso l’esercizio del potere riduttivo riportando a tal fine svariati elementi utili per tale valutazione chiedendo una riduzione dell’80% dell’eventuale “… ammontare del danno accertando a carico della Sig.ra G.”.

Infine, la difesa chiede, in via istruttoria, che sia affidata “… ad apposito C.T.U. la verifica della congruità dell’assistenza praticata dalla Sig.ra G. sulla Sig.ra [omissis] e, in ogni caso, la verifica dell’influenza concausale che hanno avuto le condotte (attive e/o omissive) dei Sanitari che sono intervenuti prima e dopo di lei, compresa la condotta della stessa Sig.ra [omissis] in considerazione del suo atteggiamento attendista”.

In sintesi la difesa chiede:
- in via pregiudiziale, di dichiarare la nullità dell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 164 c.p.c.;
- in via principale, di  escludere qualsivoglia responsabilità della G.;
- in via subordinata, di condividere ogni eventuale responsabilità con la Dott.ssa R., attribuendo alla stessa dott.ssa R. una percentuale (non inferiore ai 2/3) della responsabilità medesima;
- sempre in via subordinata (e comunque) con esercizio del “potere riduttivo”, ridurre ogni eventuale condanna risarcitoria in misura pari almeno all’80% del preteso danno imputato ex art. 52 R.D. n. 1214/1934;
- in via istruttoria, esperire apposita C.T.U. volta a verificare la congruità dell’assistenza praticata dalla Sig.ra G. sulla Sig.ra [omissis] e, in ogni caso, l’influenza concausale che hanno avuto le condotte (attive e/o omissive) dei Sanitari  che sono intervenuti prima e dopo di lei e l’atteggiamento attendista della stessa Sig.ra [omissis].

In data 28 gennaio 2015 è pervenuta da parte del difensore della G. specifica richiesta al fine di poter svolgere quale prima discussione dell’odierna udienza il presente giudizio.
Nell’udienza entrambe le parti presenti hanno ribadito sostanzialmente le argomentazioni fin qui esposte e confermato le conclusioni già rassegnate. In particolare, la Procura ha confermato la richiesta risarcitoria anche nei confronti della R., ritirando un’iniziale dichiarazione di rinuncia all’azione, basata sull’erroneo presupposto, rilevato dallo stesso Procuratore in udienza, che quest’ultima avesse rifuso l’importo contestato.
Tutto ciò premesso, la causa è stata assunta in decisione.
Ritenuto in

DIRITTO

Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di nullità dell’atto di citazione, sollevata dalla difesa della G., per genericità ed indeterminatezza degli elementi costituenti le ragioni della domanda.

A tal proposito il Collegio rileva l’infondatezza di tale eccezione in quanto l’atto di citazione del 7 ottobre 2014 individua il petitum e la causa petendi in modo preciso e dettagliato. Sul punto si evidenzia che l’imputazione delle quote del danno è attività riservata al Collegio, pur dovendo la Procura fornire gli elementi occorrenti per valutare le condotte, come è avvenuto nel caso di specie (Cfr. atto di citazione della Procura del 7 ottobre 2014 e tutti i documenti cui fa riferimento ivi allegati). Tale eccezione deve pertanto essere rigettata.

Ancora, sempre preliminarmente, il Collegio ritiene che la richiesta istruttoria formulata dalla difesa della G. (C.T.U.) non può essere accolta. Ciò perché il materiale sin qui acquisito in fascicolo è difatti più che sufficiente per ricostruire, ai fini che qui rilevano, sia il quadro generale sia la riferibilità causale, ed arrivare ad una documentata valutazione delle fattispecie in esame.

Nel merito il Collegio deve accertare la sussistenza degli elementi essenziali costitutivi della responsabilità amministrativa delle convenute, come disciplinati dalla vigente normativa in materia.
A tal proposito, il Collegio precisa che, nella fattispecie in esame, si verte in tema di danno cosiddetto indiretto, tema che si collega alla responsabilità assunta dalla pubblica Amministrazione verso terzi ed alla problematica dei rapporti tra azione civile di danno ed azione di responsabilità amministrativa.

È opportuno evidenziare in proposito l’infondatezza delle affermazioni della difesa della G. circa l’inopponibilità a quest’ultima sia dell’atto di transazione, sia delle risultanze istruttorie emerse nel procedimento avanti al Tribunale di Bergamo (in particolare tutte le C.T.U. depositate in quella sede) non essendo stata quest’ultima parte del giudizio de quo.
Infatti, il Collegio osserva al riguardo che è piena l’autonomia del giudizio di responsabilità amministrativo – contabile rispetto al contenzioso in sede civile, in quanto sia il riconoscimento giustiziale del diritto al risarcimento del danno, sia la transazione tra l’Amministrazione e il terzo sia, infine, il pagamento a questo effettuato costituiscono mero presupposto per l’azione risarcitoria in favore dell’Amministrazione.
In questo senso si è ripetutamente espressa la giurisprudenza della Corte dei conti, la quale ha, fra l’altro, affermato che l’accertamento giudiziale dei fatti compiuti dal giudice civile (stessa cosa dicasi per l’accertamento avvenuto in via transattiva) non fa stato nel giudizio di responsabilità amministrativa e che il giudice contabile può avvalersene ai fini della formulazione, anche sulla base della documentazione acquisita in quella sede, di un suo autonomo convincimento, rispettoall’an ed al quantum della pretesa risarcitoria azionata dal Pubblico Ministero contabile (cfr. Sez. Sicilia, n. 1201/2012, Sez. Lombardia, n.63/2012).

Il Collegio è chiamato dunque a valutare se nelle condotte delle odierne convenute siano ravvisabili tutti gli elementi integranti la responsabilità amministrativa e, segnatamente, il danno erariale, il rapporto di servizio, il nesso di causalità tra la condotta tenuta e i danni subiti dall’ente e l’elemento soggettivo della colpa grave.

Con riguardo al primo dei richiamati presupposti, nella presente fattispecie sussistono tutti i requisiti del danno rilevante ai fini della responsabilità amministrativa, in quanto il pregiudizio, oltre ad essere certo, attuale ed effettivo è anche definitivo, avendo l’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate già provveduto all’erogazione della somma di euro 6.455,70.
Tale circostanza risulta, tra l’altro, attestata dal regolare incasso da parte della compagnia assicuratrice dell’assegno non trasferibile con cui l’Azienda ospedaliera ha effettuato il pagamento dell’importo predetto (all. n. 5 del fascicolo della Procura).

Altrettanto indubbia appare anche la sussistenza di un rapporto di servizio intercorrente tra le convenute e l’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate.

Rimangono, dunque, da esaminare i residui presupposti, costituiti dal nesso di causalità tra il danno subito dall’Azienda Ospedaliera e le condotte tenute dalle odierne convenute e dalla connotazione dell’elemento soggettivo.
Il Collegio, al riguardo, ritiene utile soffermarsi brevemente sui recenti orientamenti della giurisprudenza soprattutto con riferimento al rapporto di causalità.

La valutazione della sussistenza del nesso causale fra evento dannoso e condotta antigiuridica nei casi di responsabilità medica si è oggi assestata sul criterio, condiviso da questo Collegio, secondo cui assume rilevanza “l’alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica” (cfr. Sez. App. Sicilia 6 dicembre 2007, n. 303; Sez. Toscana 31 agosto 2007, n. 802 e Sez. Lazio 12 gennaio 2010, n. 36) ovvero, come richiamato dalla giurisprudenza penale, la “probabilità possima alla certezza” (cfr. Cass. pen., SS.UU. n. 30328 del 10 luglio 2002).
Il nesso causale, in altri termini, sussiste qualora, a seguito di un giudizio condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica universale o statistica emerga che, ipotizzandosi come realizzata dall’operatore sanitario la condotta doverosa impeditiva dell’evento, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato, ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Spetta all’organo giudicante fare applicazione di tale criterio al caso concreto, così che, esclusa l’interferenza di fattori alternativi, la pronuncia sarà di addebito ove, all’esito del ragionamento probatorio, risulti “processualmente certa” la conclusione che la condotta del medico sia stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica” (Cass. Pen., SS.UU., n. 30328 del 2002 cit.).

Alla luce dei richiamati principi, occorre ora passare all’esame della fattispecie concreta sottoposta all’attenzione di questo Collegio e valutare gli elementi probatori offerti dalla Procura attrice a sostegno dell’affermazione di responsabilità delle convenute.
In merito, la relazione fornita dal C.T.P. Dott. Buzzi nell’ambito del giudizio civile offre sicuri elementi di riferimento, sotto un profilo medico-scientifico, per un corretto inquadramento eziologico della vicenda in esame.
Infatti, nella citata relazione (pag. 6) si legge per quanto riguarda la R. che “le prestazioni diagnostico-terapeutiche e gli interventi chirurgici di cui abbisognò la signora [omissis] dopo l’assistenza al parto ricevuta presso l’ospedale di Alzano Lombardo il 30.12.04 dimostrano in maniera assolutamente inequivoca che la lacerazione perineale ivi verificatasi aveva seriamente interessato anche lo sfintere anale (v. C, D, E ed F del paragrafo I).
Si trattava dunque di una lacerazione di entità superiore rispetto a quella registrata nella cartella di Alzano e che non fu ivi suturata a regola d’arte”, mentre per quanto concerne la G. che “la lacerazione perineale è stata sicuramente determinata da un’imperita assistenza al parto. …”.

In proposito il Collegio deve rilevare che mentre risulta provato in atti il nesso eziologico fra la condotta della ginecologa R. ed il danno in questione, stessa cosa non è possibile affermare in ordine alla condotta dell’ostetrica G..
Infatti per quanto riguarda la R. dalle risultanze emerse dalle successive visite mediche effettuate dalla [omissis] emerge chiaramente che la lacerazione perineale fosse di entità effettivamente superiore a quella registrata nella cartella clinica del parto arrivando ad interessare anche lo sfintere anale.

Diversamente invece per la G. non è possibile affermare con certezza, ne risultano tali evidenze in atti, che la menzionata lesione sia stata effettivamente determinata da un’errata manovra ostetrica posta in essere da quest’ultima.
A tal proposito deve evidenziarsi che ben possono verificarsi evenienze del genere in un parto spontaneo (fra l’altro tale viene qualificato nella stessa cartella medica) ove appunto non sono poste in essere manovre ostetriche invasive.
Né le deduzioni probabilistiche del Dott. Buzzi (a pag. 6 della relazione medicolegale) secondo cui “… il verificarsi di una lacerazione del genere non è altrimenti spiegabile in una secondipara, che quattro anni prima aveva partorito (nello stesso ospedale) da primipara per via vaginale e in maniera del tutto eutocica, senza necessità di episiotomia e senza derivarne alcuna lacerazione, pur essendo il neonato di peso superiore ai 3 kg” possono risultare dirimenti nel caso di specie, né a maggior ragione può valere quanto evidenziato a pag. 3 della menzionata relazione ovvero che la Sig.ra [omissis] “… non ricorda bene in che modo … mentre ricorda vividamente la sensazione, anche intensamente dolorosa che le procurò la lacerazione perineale che si accompagno allo “sblocco” dell’espulsione del feto”.
Ciò perché, come efficacemente evidenziato anche dalla difesa della G., il parto può sempre presentare elementi di imprevedibilità che sfuggono a qualsiasi storia clinica precedente della partoriente.
Inoltre, la stessa distocia di spalle del neonato di cui parla il Dott. Buzzi non solo non risulta provata in atti, ma anche se vi fossero evidenze in tal senso in ogni caso non sarebbe possibile attribuire con certezza la causa della stessa ad un’imperizia dell’ostetrica nell’esercizio di manovre invasive, in quanto è fatto notorio nella letteratura scientifica che tale dismorfismo può essere anche causato ad esempio dalla necessità del nascituro di adeguarsi alle dimensioni del bacino della madre.

Di conseguenza, per quanto riguarda la sola G. non risulta provato il nesso di causalità fra la condotta posta in essere da quest’ultima ed il danno in questione.
Pertanto, l’esito invalidante subito dalla paziente, può essere affermato con un “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”, alla luce della richiamata relazione del Dott. Buzzi solo in riferimento alla R..

Occorre, infine, ora esaminare l’ulteriore elemento della configurabilità o meno di una condotta gravemente colposa di quest’ultima.
In proposito si rammenta che, in materia di responsabilità medica, l’orientamento della Suprema Corte, risulta espresso nelle recenti sentenze (Sez. III° n. 24791/2008 e n. 8826/2007) in cui, in conformità a precedente giurisprudenza, si afferma: “La responsabilità del medico in ordine al danno subito dal paziente presuppone la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra cui il dovere di diligenza da valutarsi in riferimento alla natura della specifica attività esercitata; tale diligenza non è quella del buon padre di famiglia ma quella del debitore qualificato ai sensi dell’art.1176 c.c., comma 2, che comporta il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obbiettivamente connesse all’esercizio della professione… con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi”.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il medico e l’ente sanitario sono contrattualmente impegnati al risultato dovuto (cfr. Cass. n. 9471 del 19 maggio 2004), quello cioè conseguibile secondo criteri di normalità, da apprezzarsi in relazione alle condizioni del paziente, alla abilità tecnica del primo e alla capacità tecnico-organizzativa del secondo (cfr. Cass., n. 589 del 22 dicembre 1999 e n. 103 dell’8 gennaio 1999).
Il normale esito della prestazione dipende allora da una pluralità di fattori, quali il tipo di patologia, le condizioni generali del paziente, lo stato della tecnica e delle conoscenze scientifiche (stato dell’arte), l’organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, ecc..

Di conseguenza, la diligenza del professionista, o la difficoltà di un intervento, vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicché il medesimo deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all’ausilio di un consulto (se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo), e, dall’altro, deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento, e laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, eventualmente consigliandogli, se manca l’urgenza di intervenire, il ricovero in una struttura più idonea (cfr. Cass. n. 12273 del 5 luglio 2004, n. 11316 del 21 luglio 2003 e n. 6318 del 16 maggio 2000).

Tale orientamento della giurisprudenza civile in ordine al contenuto dell’obbligazione professionale del sanitario ed al grado di diligenza, trova ulteriore corollario nella posizione della giurisprudenza di questa Corte, altrettanto univoca nel definire, nel più specifico ambito della responsabilità amministrativa in campo medico, il concetto di colpa grave.

Significative appaiono, in proposito, le affermazioni – alle quali questo Collegio ritiene di aderire – secondo cui (Sez. III° n. 662/2005) “Ai fini dell’individuazione del grado di colpevolezza, il Giudice contabile non può e non deve valutare il rapporto in contestazione alla stregua di immutabili canoni prefissati, non rinvenibili peraltro in alcuna norma dettata al riguardo; egli deve invece prefigurare, nel concreto, l’insieme dei doveri connessi all’esercizio delle funzioni cui l’agente è preposto, attraverso un’indagine che tenga conto dell’organizzazione amministrativa nel suo complesso e delle finalità da perseguire, alla luce di parametri di riferimento da porsi come limite negativo di tollerabilità, potendosi ritenere realizzata una ipotesi di colpa grave ove la condotta posta in essere se ne discosti notevolmente. In definitiva, con particolare riferimento alle attività materiali, quale appunto quella tipicamente sanitaria, la condotta può essere valutata come gravemente colposa allorché il comportamento sia stato del tutto anomalo e inadeguato, tale cioè da costituire una devianza macroscopica dai canoni di diligenza e perizia tecnica e da collocarsi in posizione di sostanziale estraneità rispetto al più elementare modello di attività volta alla realizzazione degli interessi cui i pubblici operatori sono preposti. Ne consegue che, per configurare un’ipotesi di responsabilità a carico di un medico, non basta che il comportamento appaia riprovevole in quanto non rispondente in tutto alle regole della scienza e dell’esperienza, ma è necessario che il sanitario, usando la dovuta diligenza, sia stato in condizione di prevedere e prevenire l’evento verificatosi: perché quindi possa parlarsi di colpa grave occorre accertare che si siano verificati errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione, ovvero abbia difettato quel minimo di perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione medica, oppure vi sia stata ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari affidati alle cure di tali prestatori d’opera”.

Tanto premesso, il Collegio rileva che il Requirente fa essenzialmente discendere la prova del connaturarsi della colpa grave, nella condotta della R., nella seguente affermazione resa dal Prof. Buzzi nella C.T.P., ovvero che: “ … le prestazioni diagnostico-terapeutiche e gli interventi chirurgici, di cui abbisognò la Sig.ra [omissis] dopo l’assistenza al parto ricevuta presso l’ospedale di Alzano Lombardo il 30.12.04 dimostrano in maniera assolutamente inequivoca che la lacerazione perineale ivi verificatasi aveva seriamente interessato anche lo sfintere anale. Si trattava dunque di una lacerazione di entità superiore rispetto a quella registrata nella cartella di Alzano e che non fu ivi suturata a regola d’arte …”.

Al riguardo il Collegio deve effettivamente rilevare la grave imperizia della Dott.ssa R. nel non essersi accorta dell’entità effettiva della lacerazione subita dalla partoriente.
In sostanza, trattasi di un caso d’inescusabile superficialità di cui si è resa responsabile la convenuta, difettando nel caso di specie il minimo grado di perizia tecnica utile per rendersi conto che “… quell’eccessiva perdita di sangue dall’utero …” (cfr. dichiarazioni rese dalla R. nel verbale di audizione personale), ragion per cui era stata chiamata in sala parto, era dovuta ad una lacerazione di tale gravità da arrivare ad interessare lo sfintere anale.
Dunque quello sbaglio grossolano ipotizzato dalla stessa R. in sede di audizione personale: “… se non ho sbagliato grossolanamente non avendo visto la lesione dello sfintere anale …”  vi è purtroppo stato, determinando i gravi problemi di salute in cui è incorsa la Sig.ra [omissis].
Di conseguenza, il Collegio rileva che da tutta la documentazione in atti risultano concordi e sufficienti elementi idonei a provare l’elemento soggettivo della colpa grave in capo alla Dott.ssa R..

Pertanto per tutte le ragioni sopra esposte l’ipotesi di danno erariale avanzata dalla Procura deve essere accolta solo nei confronti di quest’ultima.

Infine per quanto riguarda la quantificazione del predetto danno il Collegio ritiene di dover comunque tener conto del lungo periodo di tempo trascorso (oltre cinque mesi) fra la data in cui la Sig.ra [omissis] partorì (30 dicembre 2004) e la data in cui per la prima volta si rivolse ad un ginecologo (5 giugno 2005) in conseguenza dei disturbi fisici avuti dopo il parto. Infatti, risulta evidente che tale lungo lasso di tempo ha quantomeno certamente aggravato gli esiti negati della lesione in questione.
Pertanto il collegio ritiene di dover definitivamente quantificare il danno causato dalla condotta gravemente imperita della Dott.ssa R. in euro 4.500,00 (euro quattromilacinquecento//00).
La condanna alle spese segue la soccombenza.

Diversamente, per quanto riguarda la G. vanno liquidati onorari e diritti nei riguardi della difesa della convenuta, stante il proscioglimento nel merito.
A tal proposito il Collegio, tenuto conto della natura e dell’oggetto della causa, ritiene che dette competenze possano essere liquidate nell’importo complessivo pari ad euro 2.000,00 (euro duemila//00), di cui euro 1.500,00 (euro millecinquecento//00) per onorari ed euro 500,00 (euro cinquecento//00) per i diritti spettanti al difensore del convenuto. Ai predetti importi deve anche aggiungersi il 12,50% di spese generali, l’I.V.A. e la C.P.A..

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando:
· rigetta la domanda proposta nei confronti della Sig.ra S.G.. Pone a carico dell’Azienda Ospedaliera Bolognini Seriate, ai fini del rimborso previsto dall’art. 3, comma 2-bis del D.L. n. 543 del 23 ottobre 1996, conv. con legge n. 639 del 20 dicembre 1996, le somme che detta Amministrazione è tenuta a pagare per onorari e diritti di difesa, così come liquidate in motivazione;
· condanna la Dott.ssa D.R. al risarcimento in favore dell’Azienda Ospedaliera Bolognini Seriate per la somma complessiva di euro 4.500,00 (quattromilacinquecento//00).
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in euro  684,11 (seicentoottantaquattro/11).  Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 25 febbraio 2015.

Il Presidente – Claudio Galtieri

Il Giudice Estensore – Eugenio Madeo)

Depositata in Segreteria il 18/03/2015

I commenti sono chiusi.