Il danno catastrofale dipende unicamente dalla sofferenza che la vittima può percepire dell’avvicinarsi del momento terminale, mentre la durata di tale sofferenza incide solo sulla misura del risarcimento. Il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del congiunto è da ritenenersi comprensivo di ogni pregiudizio che non abbia carattere patrimoniale [Cassazione Civile, Sez. III, Sent., 24 marzo 2015 n. 5866]

Ciò che rileva per la sussistenza del danno cd. catastrofale, quale scaturente dalla percezione che la vittima può avere dell’inesorabile avvicinamento della morte, è l’effettiva esistenza dello sconvolgimento psichico patito da chi si trovi a cogliere – anche per un periodo di breve durata – il proprio momento terminale, mentre la durata di tale sofferenza può incidere unicamente sulla quantificazione del risarcimento (la decisione censurata aveva negato il danno catastrofale, sull’assunto che la vittima non fosse consapevole di ciò che stava accadendo poichè si esprimeva ripetitivamente in lingua straniera e rimase cosciente per circa due ore).
Il risarcimento del danno non patrimoniale, chiesto iure proprio per la perdita del congiunto, deve intendersi comprensivo di ogni profilo non patrimoniale e, quindi, non solo della sofferenza conseguente alla scomparsa della persona amata, ma anche della perdita di ogni utilità personale che dalla persistenza del rapporto familiare sarebbe derivata. [SP]
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio – Presidente -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere -
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere -
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere -
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15189-2011 proposto da: S.M. [omissis], S.P.S. [omissis], elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Augusto Imperatore 22, presso lo studio dell’avvocato Cuccia Andrea, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Zauli Carlo giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -

contro

UCI UFFICIO CENTRALE ITALIANO a R.L., in persona del suo Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante dott. P.R., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe Ferrari 35, presso lo studio dell’avvocato Vincenti Marco, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Gianoglio Giorgio, Di Luca Vito giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -

e contro

S.C., C.L.M.;
- intimati -

avverso la sentenza n. 183/2011 della Corte d’Appello di Bologna, depositata il 03/02/2011 R.G.N. 1848/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2014 dal Consigliere Dott. Danilo Sestini;
udito l’Avvocato Gian Marco Spani per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Basile Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

F.A. decedette all’Ospedale di [omissis] alle ore 12,20 del [omissis], a seguito delle lesioni riportate nel sinistro stradale verificatosi – tre ore prima – a causa dello scoppio di uno pneumatico dell’autofurgone in cui era trasportata (condotto dal convivente S.C. e di proprietà di un terzo).
Per il risarcimento del danno – da parte del conducente, del proprietario del mezzo e dell’U.C.I. – Ufficio Centrale Italiano- agirono (oltre ad altri congiunti) anche i figli della deceduta, S.M., P.S. e M.C..
Costituitosi in giudizio il solo U.C.I., il Tribunale di Forlì liquidò in misura diversificata il risarcimento del danno ai tre figli, accogliendo solo parzialmente le domande formulate da S. M. e P..
Pronunciando sull’impugnazione proposta da questi ultimi, la Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado.
Ricorrono per cassazione S.M. e P.S., affidandosi a dieci motivi illustrati da memoria; resiste, a mezzo di controricorso, l’U.C.I. Soc. Cons. a r.l..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 75 c.p.c., prospettandosi “difetto di legitimatio ad processum del direttore dell’UCI” sul rilievo che la società “è rappresentata solo dall’amministratore che ne ha la legale rappresentanza”, mentre non risultava che il direttore L.S. – che aveva sottoscritto la procura a mezzo della quale l’U.C.I. si era costituito nei gradi di merito – fosse anch’egli munito di poteri rappresentativi.
Il motivo è inammissibile in quanto introduce una questione nuova, che non risulta trattata dalla sentenza impugnata ed in relazione alla quale i ricorrenti non hanno assolto l’onere di allegare l’avvenuta deduzione nei gradi di merito e di indicare in quale atto dei precedenti giudizi sia stata proposta (cfr. Cass. n. 12025/2000).

2. Il secondo motivo (“violazione dell’art. 2 della Convenzione di Roma e dell’art. 2 della Carta di Nizza e dunque dell’art. 111 Cost. e art. 117 Cost. , comma 1″) prospetta una questione (attinente alla mancata predisposizione, da parte degli ospedali, di “misure idonee ad assicurare la protezione della salute degli ammalati”, con specifico riferimento alla mancanza di un servizio di traduzione della lingua per lo straniero) che è del tutto inconferente, giacchè non investe la responsabilità dei soggetti evocati in giudizio.

3. I motivi dal terzo al quinto investono la tematica del danno catastrofale richiesto, iure hereditatis, dai ricorrenti.

Il terzo motivo deduce la contraddittorietà della motivazione della Corte di merito laddove ha escluso lo stato di coscienza della donna, pur dando atto che la stessa si esprimeva parlando in tedesco, con ciò attribuendo “ad un elemento emerso in corso di causa un significato del tutto avulso dal suo significato oggettivo”.

Il quarto motivo censura, per “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. “, l’affermazione secondo cui il tempo intercorso fra le lesioni e la morte fu talmente esiguo da non giustificare il riconoscimento del danno catastrofale.

Col quinto motivo (che deduce genericamente “violazione del regime probatorio: vulnerazione del riparto degli oneri probatori”), i ricorrenti assumono che “il diritto civile è retto dal principio del più probabile che non” e che l’applicazione di tale principio avrebbe dovuto comportare la conclusione che la donna – che parlava, pur ripetendo una stessa frase – era lucida al momento in cui giunse in ospedale.

3.1. Al riguardo, la Corte ha rilevato che dal diario clinico del Pronto Soccorso emergeva: “la paziente è vigile, ma non riesce a stabilire un contatto (è straniera) perchè ripete continuamente la stessa frase alle domande che le vengono rivolte”; ciò premesso, ha ritenuto che non potesse “affermarsi che la vittima fosse in stato di lucidità… in quanto vi era ripetitività delle risposte” ed ha osservato che “la circostanza che poco dopo l’apprestamento dei primi presidi medici le condizioni della paziente si fossero aggravate al punto da rendere necessario un intervento di rianimazione” della durata di circa un’ora, “non soltanto conferma la inesistenza di certezza sullo stato di lucidità della vittima, ma anzi evidenzia come il lasso di tempo intercorrente tra le lesioni e la morte sia stato veramente esiguo e tale da non legittimare la fondatezza di alcuna richiesta di ristoro da parte dei parenti, nè a titolo di danno biologico, nè a titolo di danno morale”.

Le censure sono fondate, nei termini di seguito illustrati.

E’ palesemente incongrua la motivazione laddove, indicata la paziente come “vigile” e capace di esprimersi, perviene alla conclusione che la stessa non fosse lucida per il fatto che non riusciva a stabilire un contatto con i medici e ripeteva la stessa frase in tedesco.
Premesso che la difficoltà di stabilire il contatto era reciproca (giacchè la paziente non parlava italiano e nessuno dei sanitari conosceva la lingua tedesca), non risulta sufficiente a giustificare una valutazione di assenza di lucidità il mero fatto che la donna ripetesse sempre la stessa frase, in quanto, lungi dall’escludere lo stato coscienza, tale ripetitività (peraltro attestata da chi non conosceva la lingua tedesca) poteva piuttosto costituire espressione di uno stato di drammatico spavento, del tutto compatibile con la condizione di chi sentiva di trovarsi in pericolo di vita.

Non è, poi, giuridicamente corretto escludere la risarcibilità del danno catastrofale per il solo fatto che la donna restò vigile per non più di due ore (nella terza si procedette al tentativo di rianimazione dopo l’improvviso peggioramento dello stato di coscienza”): ciò che rileva per affermare il diritto al risarcimento non è tanto la durata quanto l’effettiva esistenza di un danno catastrofale (ossia dello sconvolgimento psichico patito da chi si trovi a cogliere -anche per un periodo di breve durata – il proprio momento terminale), mentre l’elemento della durata della sofferenza può incidere unicamente sulla quantificazione del risarcimento (cfr., ex multis, Cass. n. 7126/2013 e Cass. n. 2564/2012).

4. Col sesto motivo (che deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059, 2043 e 1226 c.c. ), i ricorrenti si dolgono che non sia stato liquidato ad essi – a differenza di quanto avvenuto in relazione alla posizione del fratello C.M. – il danno biologico psichico richiesto iure proprio, a fronte della invalidità temporanea attestata dal C.T.U..

4.1. Sul punto, la Corte ha affermato -in termini generali- che la morte di un congiunto può causare, oltre ad una “sofferenza morale per la perdita del rapporto parentale”, anche “un danno biologico vero e proprio… in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi la invoca”, ma ha ritenuto che -nel caso in esame- il primo giudice avesse correttamente escluso l’esistenza del danno psichico nei due figli più grandi “in quanto il disagio legato alla perdita parentale, pur avendo determinato nei richiedenti la necessità della somministrazione di psicofarmaci, non si era mai tramutato in un trauma psico-fisico permanente, ma era rimasto allo stato di mero disagio psichico transeunte”, di cui si era “tenuto conto… nella liquidazione del danno morale”.
Il motivo è infondato.

La conclusione della Corte di merito -non censurata sotto il profilo motivazionale- non contiene erronee affermazioni in punto di diritto, giacchè -senza negare in astratto la possibilità che il congiunto del deceduto possa subire anche un pregiudizio biologico iure proprio- ha escluso in concreto (disattendendo motivatamente le conclusioni del C.T.U.) che lo stato di sofferenza provocato dalla morte della madre avesse superato, nei due figli maggiori, la soglia del danno morale fino ad integrare una patologia psichica, dando atto che le loro sofferenze erano state peraltro considerate nella complessiva liquidazione del danno non patrimoniale.

5. Il settimo motivo (“violazione dell’art. 2059 c.c. “) concerne il mancato riconoscimento del danno esistenziale per la perdita della madre e assume l’insufficienza del mero ristoro del danno morale a risarcire i figli della “perdita di opportunità future, collegate alla figura genitoriale e riguardanti l’istruzione e l’educazione, l’aiuto ad esplicare la propria personalità”.
Il motivo è infondato giacchè il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del congiunto deve intendersi comprensivo di ogni profilo non patrimoniale e, quindi, non solo della sofferenza conseguente alla scomparsa della persona amata, ma anche della perdita di ogni utilità personale che dalla persistenza del rapporto familiare sarebbe derivata.

6. L’ottavo motivo deduce anch’esso “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. “, ma -in questo caso- censura la decisione della Corte bolognese per essersi limitata “a reputare i parametri utilizzati dal primo giudice conformi alla tabella della Corte di Appello di Bologna” senza farsi carico della necessità di applicare le tabelle del Tribunale di Milano “per evitare discriminazioni a livello nazionale e per esigenze di uniformità”.
Il motivo è inammissibile in quanto non risulta che -in conformità alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità – il ricorrente “si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano” e che “quelle tabelle abbia anche versato in atti” (Cass. n. 12408/2011).

7. Col nono motivo (dedotto sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione), S.M. si duole gli si stato riconosciuto – per la perdita della madre – un risarcimento inferiore a quello liquidato alla sorella ed al fratello: assume che appare “non solo apodittico ma contraddittorio e soprattutto contrario a logica sostenere che un figlio, sol perchè da poco maggiorenne, debba subire un trattamento sperequato rispetto ad una sorella di cinque anni più giovane quanto alla liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto”.
Sul punto, la Corte ha ritenuto che il primo giudice abbia opportunamente considerato la “circostanza che maggiore era il bisogno della figura materna da parte dei minori rispetto al maggiore di età”.
La doglianza va disattesa: la decisione non risulta censurabile, in quanto costituisce espressione di un apprezzamento di merito che, in quanto congruamente motivato, non risulta sindacabile in sede di legittimità.

10. L’ultimo motivo (“motivazione contraddittoria”) censura la sentenza per aver negato a S.M. il risarcimento del danno patrimoniale determinato dal venir meno delle prestazioni rese dalla madre casalinga (risarcimento riconosciuto -invece- ai due fratelli).
La motivazione della Corte non presta il fianco -neppure su questo punto- alle dedotte censure di contraddittorietà, giacchè l’apprezzamento risulta plausibilmente giustificato -per un verso- dalla valutazione che i figli minori avrebbero avuto bisogno delle prestazioni della madre “presumibilmente fino al raggiungimento della maggiore età” e -per altro verso- dal rilievo che il figlio maggiorenne non aveva “dimostrato che, nonostante la sua maggiore età all’epoca della perdita della madre, usufruisse ancora delle prestazioni rese da costei in relazione alla sua attività di casalinga”.

11. La sentenza va dunque cassata in relazione ai tre motivi accolti, con rinvio alla Corte territoriale che riesaminerà la domanda relativa al danno catastrofale sulla base dei principi sopra indicati.

12. La Corte di rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo e rigetta i restanti; cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2015

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